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4. C ALLIGRAMMI : CORTOCISCUITI SEMIOTICI TRA ESPRESSIONE E CONTENUTO

5.8 A PPROSSIMARSI AL LIMITE

Sottrarre l’unico dalla molteplicità da costituire; scrivere in n – 1. (Gilles Deleuze & Felix Guattari)

Per quanto stretta in questo circolo vizioso – generato dal vuoto che organizza e neutralizza la struttura, attira il soggetto e gli si ritrae – la totalità di senso che Calvino

252 La questione del gioco verrà affrontata ampiamente, nei suoi aspetti topologici e in relazione ai principi di strategia e tattica, nel cap. 7.

tanto ammirava in quest’opera254 non è veramente negata, se non come stato effettivamente

realizzato. In quanto effetto di senso, in quanto fine di una tensione narrativa, essa sopravvive, evocata e affermata virtualmente dalla sua stessa negazione.

La Vie prevede in effetti grazie al suo apparato paratestuale molteplici modalità di

lettura. Si può naturalmente leggere l’intero testo in maniera sequenziale, ignorando ogni invito a una fruizione reticolare. Si possono individuare ed estrapolare dal co-testo le storie interne “localizzate” dal sommario secondario: “la storia del trapezista che non voleva scendere dal trapezio”, “la storia dell’antropologo che inseguiva la tribù indigena” e così via. Si possono persino ricostruire separatamente in modo retrospettivo le vicende interne disseminate tra i capitoli, un po’ come si è fatto per Winckler: l’indice analitico permette infatti di rintracciare tutti i capitoli dedicati a un personaggio in particolare, anche quelli secondari.

[…] è un libro con cui si gioca, credo, come si gioca con un puzzle. È per questa ragione che c’è un indice alla fine. Perché si possano ricostruire da sé delle storie o seguire storie che non ci sono raccontate per intero. (PEREC 1983b : 105)

Ma si prendano appunto le due linee narrative principali, quella di Bartlebooth e quella di Winckler. Il dispositivo testuale permette, e anzi incoraggia, come si è visto, una lettura scorporata, di queste come di altre vicende interne. Prese separatamente, le due vicende presentano punti di salienza in parte divergenti e possono dunque essere viste come “forme” a sé stanti, dotate di una propria individuale pregnanza.

Ad esempio, nella vicenda di Winckler, un evento come l’incontro con la moglie Marguerite o con l’ebanista che gli dischiuderà i segreti del mestiere, individuano altrettanti picchi tensivi nello svolgimento narrativo che non hanno nessuna ingerenza nella vicenda parallela di Bartlebooth. Così per l’Inglese, i rilievi generati dalle vicissitudini incontrate durante il suo “giro del mondo in 500 marine” non si incrociano in nessun modo con la sorte di Winckler e non influiscono affatto sul suo andamento ritmico-tensivo.

In termini morfogenetici, il polo Winckler e il polo Bartlebooth funzionano come due attrattori distinti responsabili di altrettanti stati stabili dell’equilibrio discorsivo, definiti in base un dato potenziale semantico (detto altrimenti, una dominante isotopica). Ciascuno dei poli individua una propria caratteristica rete di salienze semantiche e un proprio caratteristico percorso di sviluppo ritmico, o tensivo, delle stesse.

Tuttavia, considerando la rete di relazioni semantiche del testo da un punto di vista globale, le due linee tensive e le due organizzazioni di salienze rivelano almeno un’area di sovrapposizione. Tale area in comune è discorsivamente ricoperta e saturata dalle configurazioni della sfida e della vendetta, entrambe in qualche modo implicanti una 254 Così Calvino commentò l’apparizione del romanzo, in occasione della prima, tardiva, traduzione italiana: “l’ultimo vero avvenimento nella storia del romanzo, non solo francese, per molti motivi: il disegno sterminato e insieme compiuto, la novità della resa letteraria, il compendio di una tradizione narrativa e la summa enciclopedica di saperi che questo libro convoglia in un’immagine del mondo, il senso dell’oggi che trasmette come accumulazione di passato e come vertigine di vuoto, la compresenza continua d’ironia e d’angoscia, insomma il modo in cui il perseguimento di un progetto strutturale e l’imponderabilità della poesia diventano una cosa sola” (CALVINO 1984b : 1393).

dialettica tra principio strategico e principio tattico. L’asse strategia-tattica appare dunque come il potenziale semantico o dominante isotopica di tale area in comune.

Il polo attrattore di tale area comune, relativa a un nuovo stato stabile, è a questo punto identificabile con la coppia attoriale Bartlebooth-Winckler, che individua sul piano discorsivo il punto di fusione delle determinazioni singolari B e W e dei rispettivi stati stabili. È a questo livello che interviene l’effetto anamorfico: una volta individuato il punto anche solo ideale di fusione tra i due attrattori, questi non si presenteranno più come stati stabili indipendenti, ma come poli tra loro vincolati sulla base di un campo comune di salienze. Le due determinazioni singolari si rivelano come due attualizzazioni alternative potenzialmente discendenti da un’unica matrice fusionale.

Così, posto che le salienze che compongono le configurazioni W e B possono essere di due tipi, divergenti o convergenti, l’attivazione delle prime farà risalire le configurazioni verso l’origine comune, mentre l’attivazione delle seconde provocherà l’emergenza delle due forme differenziate. Ma anche seguendo il cammino divergente della differenziazione, una volta che si è stabilita la presenza di una base di convergenza, non è possibile neutralizzare il doppio legame che lega i poli W e B. È in questo doppio legame che risiede l’effetto anamorfico o di ambiguità delle forme: oscillando da W a B, come in effetti avviene nel corso della lettura, si attivano e disattivano alternativamente i punti salienti caratteristici di ciascuno dei due poli, esattamente come avviene nella percezione anamorfica, in cui formanti salienti per la forma di partenza vengono narcotizzati in quella di arrivo.

Ad ogni passaggio, tuttavia, alcuni punti salienti – quelli “convergenti” – “resistono” all’oscillazione anamorfica, andando a delineare progressivamente le salienze proprie della base comune ai due poli: più aumenta il grado di connettività tra questi, più si rinforza la consistenza isotopica afferente alla loro area in comune, aumentandone il potenziale semantico, il quale a sua volta, in un circolo virtuoso, rende sempre più stringente il legame trasversale tra i poli stessi.

Vedremo nel dettaglio questo processo nell’ultimo paragrafo. Per ora, è essenziale mettere in rilievo il ruolo unificante del punto di fusione che è anche il ponte di passaggio a una nuovo ordine di coerenza semantica, in cui tale polo con le sue determinazioni semantiche non sia più matrice di determinazioni, ma a sua volta prodotto della determinazione di un’altra matrice. Non è difficile riconoscere ancora una volta in questa fuga di piani il déplacement proprio della casella vuota: è al vuoto che corrisponde esattamente il punto di fusione ed è questo, in ultima analisi, ciò che per il momento ci preme mostrare.

In effetti, una volta chiarito il ruolo del vuoto in termini più rigorosamente topologici, è possibile riconsiderare la dialettica Bartlebooth-Winckler sotto una nuova luce, chiedendosi innanzitutto – per non correre il rischio di proporre interpretazioni non supportate da dati testuali – se e in che modo il testo fornisca al lettore l’accesso a questo punto di fusione. Il che equivale a chiedersi quale sia il luogo testuale che permette di risolvere l’oscillazione ambigua delle due vicende, di “ricomporle” rivelandone il legame.

Alla luce di quanto detto, pensiamo di poter affermare senza forzature che tale punto di fusione si rivela solo nel finale e converge esattamente sul “trou noir” di cui si è tanto

parlato e di cui abbiamo trovato una manifestazione testualizzata nel “corpo del testo”. In ultima analisi, a collegare le due organizzazioni di salienze – forme al contempo ritmiche ed impressive – è il centro organizzatore della struttura, inaccessibile se non come vuoto.

Tuttavia, è bene sottolinearlo, solo chi possiede uno sguardo panottico è in grado di “vedere” il vuoto, e soprattutto di vederlo in rapporto alle parti che organizza. La vicenda pragmatica del lettore è in questo senso esemplare: nel momento in cui l’evidenza del doppio legame tra B e W gli esplode tra le mani, con un’improvvisa impressione di inevitabilità e di “pienezza” narrativa, esattamente in quel momento il lettore si avvede del vuoto che fonda tale pienezza. In altri termini, la potenza del vuoto si libera solo “un attimo prima” che tutti i pezzi prendano posto, nel momento – terminale, da un punto di vista ritmico – in cui si conquista quella visione d’insieme che, fuor di metafora e da un punto di vista interpretativo, è condizione necessaria all’esercizio di una prensione semantica.

È esattamente sull’epifania del vuoto che abbiamo aperto in origine la nostra analisi. In quella fase, la messa in rilievo del vuoto era apparsa come semplice stato terminativo della vicenda interpretativa del lettore, la sua “tappa finale”, che possiamo ormai far coincidere col raggiungimento di uno sguardo panottico. Vale la pena ora tornare su questo punto di approdo per focalizzarne più nel dettaglio i dintorni, ovvero il processo di avvicinamento al vuoto come limite estremo. In altri termini, tenteremo di analizzare la resa discorsiva di tale processo, per rilevarne la costruzione tensiva e – soprattutto – per apprezzarne la finezza strategica.

Nella sequenza che chiude il romanzo, l’effetto di senso, fortissimo, di

approssimazione progressiva, di raggiungimento di una vetta semantica, è costruito su una

doppia progressione. Ritmica, innanzitutto, e secondariamente aspettuale. Il capitolo XCIX alterna infatti due spazi testuali ben delineati: la descrizione di Bartlebooth alla sua scrivania, nel suo studio (un vero e proprio antro a cui per la prima volta l’autore permette l’accesso – altro indice di rilievo, per novità) e l’esplosione di alcuni frammenti della vita che si agita intorno, in concomitanza di tempo e di spazio. Si vedano gli incipit dei paragrafi del primo sotto-spazio, che denominiamo A:

A1) accesso allo studio di Bartlebooth:

Le bureau de Bartlebooth est une pièce rectangulaire aux murs couverts d’étagères de bois

sombre; la plus part d’entre elles son aujourd’hui vides, mais il reste encore 61 boites noires, identiquement fermées avec des rubans gris […] (PEREC 1978a : 574)

A2) descrizione minuziosa, con effetto di zoom, dell’ultimo puzzle:

La côte est une bande de sable, crayeuse, aride, plantée de genets rare set d’arbres nains; […] (ibid.)

A3) descrizione della scrivania di Bartlebooth255

Bartlebooth est assis devant la table, dans le fauteuil de son grand-oncle Sherwood, un

fauteuil Napoléon III, basculant et tournant, en acajou et cuir lie-de-vin. […] (ivi : 575)

255 La descrizione dettagliata degli oggetti sulla scrivania è un vero e proprio topos dell’opera di Perec (cfr. par. 7.7.

A4) per la prima volta, la descrizione di Bartlebooth, la cui caratterizzazione è interamente volta a rafforzare figurativamente i temi e patemi dell’ossessione, della consunzione, dell’ostinazione.

Bartlebooth est assis devant son puzzle. C’est un vieillard maigre, presque décharné, au

crâne chauve, au teint cireux, aux yeux éteints […] ; la tête très légèrement renversée en arrière, la bouche entrouverte, il agrippe de la main droite l’accoudoir du fauteuil cependant que sa main gauche, posée sur la table dans une posture peu naturelle, presque à la limite de la contorsion, tient entre le pouce et l’index l’ultime pièce du puzzle. (ivi : 576)

I primi quattro paragrafi sviluppano un raffinato gioco di prospettiva intorno a Bartlebooth: una descrizione che, coprendo diversi punti di vista con precisione estrema, produce un effetto a metà tra il “cubista” e l’iper-realistico. Anche Bartlebooth è trattato come una “natura morta”. A livello semantico profondo, l’isotopia dominante è quella della non-vita; a livello discorsivo, invece, le dominanti di questo spazio testuale sono attoriali (la coppia polemica Bartlebooth-puzzle) e figurative (studio-antro, caratterizzato da /eccesso/ e /pienezza/) e tematiche (ossessione)

La variazione del punto di vista non è casuale: procede attraverso un doppio restringimento sui due poli dell’interazione – il puzzle e Bartlebooth – a partire dai loro

dintorni – lo studio e la scrivania. Questa doppia specificazione aspettuale, di tipo

metonimico (dal tutto alla parte) provoca un’intensificazione tensiva nella percezione della struttura spaziale:

aspettualizzazione spaziale (doppia metonimia)

A1:A2 (studio : puzzle) = A3 : A4 (scrivania : Bartlebooth) = tutto : parte

A questo dispositivo si aggiunge un’analoga intensificazione sul piano ritmico, dovuta alle evidenti rime espressive. L’elemento variante rispetto alla ripetizione è proprio la determinazione spaziale; la variazione produce un’ulteriore effetto cinematografico di restringimento di campo.

A1: Le bureau de Bartlebooth est une pièce rectangulaire A3: Bartlebooth est assis devant la table

A4: Bartlebooth est assis devant son puzzle256

Aggiungiamo quindi alle dominanti sopra indicate lo schema figurale concentrico (rapporto contenente-contenuto) afferente al livello spaziale astratto:

256 A rigore nell’effetto complessivo, ovvero sommando la progressione ritmica a quella aspettuale, il movimento di restringimento non culmina sul puzzle come semplice oggetto percettivo – alla cui descrizione è dedicato il par. A2 – ma come vero e proprio partner dell’interazione polemica con Bartlebooth. In questo senso, l’enfasi che viene data al lessema “puzzle” dal suo porsi come elemento differenziale della struttura ritmica, è finalizzata a riconvocare e ri-presentificare la descrizione precedente – marcata dai caratteri del banale e dell’infraordinario (“una semplice marina”) – facendola stridere con quella ben più eccentrica – anche se allo stesso modo presentata in modo analitico – del vecchio e ossessionato Bartlebooth.

A = (dominante semio-narr. profonda) non vita; (dom. semio-narr. sup) schema polemico; (dom. attoriale) Bartlebooth/puzzle; (dom. tematica) ossessione; (dom. figurativa) pienezza; (dom. spaziale) contenente/contenuto

Nel secondo spazio testuale, B, la strutturazione ritmica è ancora più evidente.

B1) C’est le vingt-trois juin mille neuf cent soixante-quinze et il n’est pas loin de huit

heures du soir. Madame Berger revenue de son dispensaire prépare le repas […]

B2) C’est le vingt-trois juin mille neuf cent soixante-quinze et il serait bientôt huit

heures du soir. Dans sa cuisine Cinoc ouvre une boite de pilchards aux aromates en

consultant les fiches de ses mots périmés […]

B3) C’est le vingt-trois juin mille neuf cent soixante-quinze et il est près de huit heures

du soir. Mademoiselle Crespi dort ; dans le salon du Docteur Dinteville deux clients

attendent encore […]

B4) C’est le vingt-trois juin mille neuf cent soixante-quinze et il est presque huit heures

du soir. Joseph Nieto et Ethel Rogers se préparent à descendre chez les Altamonts […]

B5) C’est le vingt-trois juin mille neuf cent soixante-quinze et il sera dans un instant

huit heures du soir ; les ouvriers qui aménagent l’ancienne chambre de Morellet ont fini

leur journée […]

B6) C’est le vingt-trois juin mille neuf cent soixante-quinze et il va être huit heures du

soir. Assis devant son puzzle, Bartlebooth vient de mourir […]

L’incipit si ripete identico, con una variazione nel secondo emistichio. Dopo ogni incipit, brevi e lapidarie descrizioni di vita colte “in fermo immagine”. Solo nell’ultima, si affaccia la morte (di Bartlebooth).

Ad una prima analisi, escludendo per ora l’elemento variante del secondo emistichio di ciascun sotto-spazio, l’intero spazio testuale appare dunque semanticamente dominato da un ancoraggio spazio-temporale ben preciso (23 giugno 1975 alle otto di sera257). Su

questo sfondo di invarianza, la disgiunzione vita/morte inserisce il primo discrimine all’interno del sintagma ritmico

B12345 : B6 = vita : morte

Peraltro, la pregnanza semantica dello spazio B6 è ulteriormente sottolineata da un indice di salienza di tipo, ancora una volta, ritmico: il sintagma finale dello spazio B riprende infatti chiaramente (e chiasticamente) quello iniziale dello spazio A:

B P

257 Una curiosità: nel Pendolo di Foucault Eco, citando questa data (è il giorno in cui si scopre che “il Piano” è reale), fa un omaggio a Perec e al suo personaggio-feticcio.

A4: Bartlebooth est / assis devant son puzzle

B6: Assis devant son puzzle, / Bartlebooth vient de mourir

P B

Si noti tuttavia che se le due frasi hanno la stessa struttura grammaticale e attanziale, la sintassi è invertita. Bartlebooth e il puzzle, ovvero i due poli della struttura attanziale, appaiono legati da una relazione spaziale sul piano espressivo, il cui orientamento lineare sembra inevitabilmente trovare origine nel termine che tra i due precede l’altro. L’inversione dei termini di tale relazione espressiva orientata (da B-P a P-B) porta inevitabilmente con sé l’effetto di una parallela inversione nell’orientamento della vis polemica che tale relazione spaziale orientata esprime. In altri termini, se in A4 era ancora Bartlebooth a sfidare il puzzle tenacemente, con le ultime forze, ora è il puzzle che in qualche modo “gli sopravvive”. E in questo modo lo vince.

L’effetto di senso complessivo di quest’ultima rima è quello di una sutura finale con lo spazio precedente A. La sutura, evidenziando la solidarietà dei due spazi contigui, fa tuttavia emergere per contrasto un percorso di senso che va dalla /non vita/, dominante in A, verso il polo /morte/, dominante in B6, passando, per contrasto, attraverso la /vita/ che continua indifferente nello stabile (B1-B5). Di questi percorso semantico va tuttavia specificata la modulazione aspettuale, improntata sulla figura dell’approssimazione, in quanto avvicinamento graduale e reiterato ad un punto terminativo.

Conformemente agli habits interpretativi tipici dell’intelligenza narrativa, fondata sul legame sintagmatico (post hoc ergo propter hoc), per cui i carichi semantici veicolati da spazi testuali successivi sul piano espressivo vengono interpretati come causalmente orientati sul piano del contenuto, la successione degli spazi A-B appare inevitabilmente come una trasformazione semantica orientata.

La /non vita/ dominante nello spazio testuale A viene discorsivamente percepita, a questo punto, come “quasi-morte”. O meglio, in termini semici, /non (ancora) morte/. Si tende così a reinterpetare le caratterizzazioni dell’ossessività e della consunzione nella descrizione di Bartlebooth come connesse al ruolo tematico di /moribondo/. È inevitabile a questo punto la sovrapposizione della configurazione discorsiva dell’ossessione (dominante in A) a quella della morte (su cui si conclude B) attraverso l’attivazione delle costellazioni semiche che i due temi hanno in comune. In altri termini, il ribaltamento dell’effetto di senso di A da “sospensione della vita” a “ad un passo dalla morte” dipende dall’improvvisa e perentoria comparsa finale della /morte/ al termine di uno spazio testuale successivo – lo spazio B – sino a quel momento dominato dalla /vita/.

Una precisazione precauzionale: chiunque conosca la semiotica sa che lavorare sull’opposizione vita/morte è un gioco al contempo troppo profondo e troppo facile. Ogni testo, scavando adeguatamente, finisce per parlare di morte e vita, se non altro in quanto archetipi dell’essere e del non essere, e dunque della condizione differenziale fondatrice del senso. Tuttavia, in questo caso ci sembra che l’isotopia vitalistica abbia una pertinenza indubitabile: a partire dal titolo del romanzo per arrivare al ruolo, di cui parleremo meglio più avanti, dello “still life”.

Si consideri infine la variazione nel secondo emistichio di ognuno di sotto-spazi in B. È evidente la natura aspettuale (intensiva e terminativa) di tale variazione:

il n’est pas loin de … il serait bientôt … il est près de … il est presque … il sera dans un instant … il va être

Ciò che viene reiterato e ribadito attraverso la ripetizione variata è una condizione di “stare per”, sempre più stringente. Si noti che la variazione delle scelte espressive va, rispetto alla resa semantica, verso un’intensificazione dell’effetto di approssimazione: da “non lontano” a “tra un istante” fino a quella forma tipicamente francese – va être – intraducibile in italiano se non con un “sta per essere” che però perde inevitabilmente dell’incisività che l’uso molto più frequente in francese gli conferisce. Al contrario, l’ancoraggio spazio temporale – il 23 giugno 1975 alle otto di sera –rimane invariante; anzi, quanto più questo punto terminativo viene rimarcato, tanto più assume rilevanza, per contrasto, questa collocazione in un “quasi”: quasi lì, quasi allora.

Questo gioco aspettuale è fondamentale per la risemantizzazione finale dell’isotopia dominante in A di cui si diceva. Solo riconoscendo come dominante dello spazio B la condizione dello “stare per” e mettendola in relazione col suo punto terminativo è possibile compiere lo slittamento semantico dell’isotopia dominante in A dal valore di /non (più) vita/ a quello di /non (ancora) morte/. Detto altrimenti, la dominante tematica di A, che in corso di lettura sembrava essere qualcosa come la “sospensione della vita” (Bartlebooth fermo davanti al puzzle in uno studio dominato da oggetti inerti) viene reinterpretata successivamente come “approssimazione alla morte”. Ma questa approssimazione non è rappresentata direttamente, viene piuttosto evocata per contrasto attraverso la rappresentazione in B di un’approssimazione contemporanea, che rimanda agli altri abitanti dello stabile e alla quale effettivamente si riferisce il gioco aspettuale, ma che è al contrario accompagnata da un tripudio vitalistico.

È come si vi fossero due processi paralleli, entrambi approssimati verso un punto di esplosione; ma il primo processo – quello degli abitanti dello stabile – è permeato di vita, il secondo – quello di Bartlebooth, è, per contrasto, permeato di una vita volontariamente