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ANALISI DELL’EVOLUZIONE SOVRANAZIONALE IN TEMA DI TRASFERIMENTO DI RESIDENZA DELLE IMPRESE VERSO

3.4 Il caso Überseering (causa C-208/00)

La causa in oggetto nasce da una dichiarazione di inammissibilità di una azione processuale e si occupa di immigrazione cross-border.

La società Überseering, costituita regolarmente a norma del diritto dei Paesi Bassi, risultava proprietaria di un immobile e di un parcheggio in Germania e, in accordo con tale diritto, risultava iscritta presso il registro immobiliare tedesco.

Dopo aver incaricato la società NCC (Nordic Construction Company Baumanagement GmbH) ad eseguire alcune opere sugli immobili, riscontrando dei vizi conveniva in giudizio tale ditta, al fine di ottenere un risarcimento danni in ragione dei difetti sui lavori eseguiti. È a questo punto che la società ricorrente non vide accettata la propria azione in quanto priva della capacità giuridica e processuale a norma del diritto tedesco.

La ragione risiedeva nel fatto che durante il periodo intercorrente tra l’incarico dei lavori e l’inizio dell’azione processuale, le quote sociali erano state totalmente cedute a due soggetti residenti in Germania, determinando, secondo le regole del diritto tedesco, uno spostamento del luogo di insediamento della sede amministrativa effettiva. L’applicazione della teoria della sede reale da parte dell’ordinamento tedesco implicava la necessità di estinguere la società nel Paese di costituzione per ricostituire la stessa, ex novo, nel Paese di destinazione.

La questione fondamentale su cui verteva la pronuncia pregiudiziale consisteva quindi nel comprendere se il diritto di stabilimento potesse opporsi al collegamento che il diritto tedesco istituiva tra il luogo di insediamento della sede amministrativa effettiva e il riconoscimento della capacità giuridica e processuale.

Il governo tedesco sosteneva che l’assegnazione di rilevanza alla sede effettiva garantiva dall’esercizio di operazioni elusive del diritto delle società dello Stato in cui tale sede veniva istituita, tutelando perciò gli interessi fondamentali di tutti i soggetti che si trovano ad intrattenere rapporti, di qualunque genere, con l’ente giuridico.

Ai fini risolutivi, vennero richiamate due sentenze antecedenti: Daily Mail and General Trust e Centros Ltd.

La prima, in accordo con quanto riportato precedentemente, sanciva la possibilità per le società di fruire della libertà di stabilimento al fine di costituire agenzie, filiali o succursali in altri Stati membri, ma allo stesso tempo subordinava le condizioni del trasferimento alle previsioni della normativa nazionale.

Contrariamente ad una persona fisica, l’ente giuridico si considerava esistente solamente in forza del diritto societario nazionale mancando a livello comunitario una normativa diretta a regolarlo.

In aggiunta, le differenze che emergevano dall’autonomia legislativa venivano avvallate dal Trattato nel momento in cui si sosteneva che le diversità delle legislazioni dovevano trovare soluzione per il tramite della conclusione di iniziative legislative o pattizie e non all’interno delle norme sul diritto di stabilimento. Ossia, dagli artt. 52 e 58 del Trattato CEE non poteva evincersi l’attribuzione ad una società di un diritto a trasferire la direzione e l’amministrazione effettiva conservando al contempo la qualità di società dello Stato membro secondo la cui legislazione essa era stata costituita.

Allo stesso tempo, veniva poi richiamata la previsione dell’art. 293 del Trattato per inserire una riserva di competenza a disposizione degli Stati, al fine di condizionare l’esercizio della libertà di stabilimento all’adozione di convenzioni, interpretazione questa del tutto contraria alla reale portata della disposizione, la quale doveva essere invocata solo “per quanto occorra”.

Ma come è subito emerso, il caso analizzava il rapporto esistente tra la società e lo Stato membro nella quale essa si era costituita, occupandosi delle conseguenze giuridiche che si configuravano a seguito del trasferimento in capo allo Stato membro di costituzione. Conseguenze che non sembra possibile trasporre in rapporto al legame società e Stato membro di destinazione. Ossia non è possibile affermare che così come il diritto comunitario non disciplina in maniera diretta il mantenimento della capacità giuridica di una società sul rapporto “in uscita”, allora lo stesso possa dirsi con riferimento al rapporto “in entrata”48.

Al legislatore britannico era stato concesso il diritto di disciplinare il momento della costituzione e del trasferimento in accordo con le regole del proprio diritto privato internazionale poiché le società sono enti di creazione del diritto interno, ma nella stessa sentenza non veniva fornita alcuna soluzione al problema del riconoscimento giuridico a valle.

Pertanto, la pronuncia contenuta nella causa C-81/87 “non ha inteso riconoscere agli Stati membri la facoltà di subordinare al rispetto del loro diritto nazionale delle società l’esercizio effettivo […] della libertà di stabilimento da parte di società, validamente costituite in altri Stati

48 Sul punto appare necessaria una precisazione. Il governo tedesco, italiano e la stessa società convenuta sostenevano la non opponibilità delle norme del Trattato rispetto ad una valutazione puramente nazionale sul mantenimento della capacità giuridica. Interpretazione sostenuta dalla formulazione dell’art. 293 T.C.E. che lasciava intendere, appunto, che la conservazione della personalità giuridica non fosse automatica a seguito del trasferimento della sede, ma piuttosto subordinata alla sottoscrizione di convenzioni. Perciò la stessa normativa comunitaria ammetteva la perdita della personalità giuridica. In mancanza di una armonizzazione e con la combinata presenza degli articoli 43 e 48 T.C.E., che avevano cognizione della differenziazione delle normative, si ammetteva l’applicazione della teoria della sede reale piuttosto che di quella dell’incorporazione, con le dirette conseguenze che ne derivavano.

membri, relativamente alle quali ritengono che esse abbiano trasferito la loro sede nel detto territorio”49.

In concreto, il giudice comunitario riconosceva allo Stato membro di costituzione il diritto di disciplinare sia la costituzione e sia il trasferimento in conformità alle proprie regole nazionali, ma non risolveva la questione se ad una società spettava il diritto di essere riconosciuta da un altro Stato membro.

Il tutto in presenza di un soggetto dotato di personalità giuridica a norma di un altro ordinamento, che peraltro non ne aveva mai messo in discussione l’esistenza.

“Un conto è ritenere che gli ordinamenti interni possano determinare […] la perdita di “nazionalità” del soggetto che si trasferisce, altro è ammettere che lo Stato di destinazione possa disconoscere la “capacità” riconosciuta da un altro ordinamento comunitario ed obbligare la società ad un “re-establishment”50.

La seconda questione invece appariva più conforme ai fini dell’equiparazione dei casi.

La sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros Ltd, verteva sulla compatibilità tra l’art. 52 del Trattato CE e il diniego di registrazione da parte dell’autorità danese di una succursale di una società con sede nel Regno Unito.

Il riconoscimento ad una società di diritto inglese della possibilità di costituire in territorio estero uno stabilimento secondario, mediante il quale svolgere un’attività economica, rappresenta certamente un tema che rientra nella competenza dell’articolo sopra citato, nonostante il

49 Corte giust. com. eur., 5 novembre 2002, causa C-208/00, Überseering, punto 72. 50 MELIS, G., Op. cit., pag. 21.

volontario mancato svolgimento da parte della sede primaria di una attività economica51.

L’oggetto, il diritto allo stabilimento secondario, veniva negato dall’autorità dello Stato membro di destinazione a causa della lettura di un comportamento volto ad eludere norme nazionali in tema di diritto societario danese.

Norme considerate più stringenti rispetto a quelle previste nel Paese di origine in tema di conferimenti e soglia minima di capitale sociale a garanzia dello Stato e dei terzi creditori.

Sul punto il governo danese muoveva le proprie considerazioni sulla base del contenuto di una precedente sentenza, il caso Van Binsbergen, secondo cui “uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni cittadini tentino di sottrarsi all’impero delle leggi nazionali e che […] non possano avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario”.

Nelle proprie conclusioni, la Corte si era pronunciata enunciando il divieto ad opporre il proprio diritto nazionale delle società nei confronti di un ente regolarmente costituito in altro Stato membro, ammettendo il diritto dello stesso di veder costituito e riconosciuto, mediante registrazione, una filiale, una succursale o uno stabilimento secondario, per il tramite del quale sviluppare la propria attività economica.

51 Si tratta di una formulazione a cui la Corte era già pervenuta con la sentenza 10 luglio 1986, causa C-79/85, Segers, dove affermava che “il fatto che una società non

svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede e svolga invece le sue attività unicamente nello Stato membro della sua succursale non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento che consenta […] di negare a tale società di fruire delle disposizioni comunitarie relative al diritto di stabilimento”.

Formulazione questa derivante dall’equiparazione, contenuta nell’art. 49 T.F.U.E., degli enti giuridici alle persone fisiche per le quali vige il diritto alla libera circolazione.

Inoltre, le norme comunitarie che sanciscono il diritto alla libertà di stabilimento sono norme relative alla costituzione di società e non norme relative all’esercizio di determinate attività professionali, indipendentemente dalle ragioni che soggiacciono ad una scelta di delocalizzazione, anche se volta a sfruttare favorevolmente le asimmetrie degli ordinamenti nazionali.

La scelta del luogo in cui incardinare giuridicamente la propria società sulla base delle norme di diritto societario che appaiono meno severe, creando poi succursali in altri Stati, non può configurare abuso della libertà di stabilimento52, bensì rimane una condotta inerente

all’esercizio di tale diritto.

Per tale ragione, il diniego all’iscrizione e al riconoscimento di uno stabilimento di una società costituita ai sensi dell’ordinamento di altro Stato membro deve considerarsi contrario alle disposizioni comunitarie.

Viene lasciata libera però la facoltà per lo Stato di adottare eventuali misure idonee a prevenire o sanzionare comportamenti fraudolenti, ma solamente su base interna.

In accordo con le precedenti argomentazioni nasce quindi una forma di concorrenza nazionale e sovranazionale del diritto, tra ordinamenti statali e armonizzazione, dove da un lato viene prevista l’immediata efficacia delle norme sul libero stabilimento da applicarsi ai movimenti societari, con conseguente relativizzazione della riserva di cui all’art. 293 T.C.E., mentre dall’altro gli Stati continuano a mantenere una certa libertà nella definizione delle norme di conflitto53. Concorrenza che

52 MUCCIARELLI, F., M., Op. cit., pag. 561. 53 Si veda BALLARINO, T., Op. cit., pag. 681

muove dalla presenza contrapposta della teoria della sede amministrativa e della teoria dell’incorporazione.

Difatti, ritornando alla causa Überseering, è possibile rifarsi alla decisione della causa Centros Ltd, adottando però una prospettiva differente: ci troviamo nel contesto normativo tedesco ancorato alla teoria della sede reale, a cui consegue l’inesistenza della società estera che sposta la propria sede amministrativa all’interno dei confini nazionali, o al massimo una riqualificazione a società di persone di fatto.

Per essere più chiari, quando la Corte nel dibattito di concorrenza tra legislazioni ammette il difetto di competenza della Comunità europea rispetto al diritto internazionale privato, svolge un’operazione che assicura una certa immunità comunitaria alle norme nazionali, soprattutto in ambito fiscale e societario54.

Questo implica che in uno Stato come la Germania, che al contrario della Danimarca pone rilievo al luogo in cui viene insediata la sede amministrativa della società, non potrebbe mai essere avanzata alcuna critica in merito ad una mancata iscrizione di una società estera all’interno del proprio registro delle imprese.

Il mancato riconoscimento di capacità giuridica rimarrebbe una questione limitata ai confini nazionali. Solamente gli enti che vengono riconosciuti sulla base del proprio ordinamento internazionale privato potrebbero accedere alla fruizione del diritto alla libertà di stabilimento.

In realtà, nel corso degli anni il criterio della sede amministrativa ha iniziato ad essere discusso e criticato come incompatibile con la libertà di stabilimento, sulla base di due questioni.

54 Conclusioni che muovono anche dalla pronuncia della sentenza Daily Mail and General Trust, dove si ammetteva la prevalenza delle norme statali su quelle comunitarie.

Primo perché introduce una forma di discriminazione tra le società che si costituiscono all’interno dei confini territoriali rispetto a quelle che si costituiscono altrove, spostando solo in un momento successivo la sede amministrativa principale.

Secondo perché, non permettendo lo spostamento della sede amministrativa in altro Stato, o meglio permettendolo pena l’estinzione dell’ente giuridico, introduce una forma di restrizione all’art. 54 T.F.U.E., non motivata da alcuna necessità di dover proteggere interessi preminenti55.

La sentenza Centros Ltd ha introdotto una limitazione della teoria della sede effettiva nel senso che la sua operatività dovrebbe essere utilizzata per rispondere ad una funzione interna: per i Paesi che la adottano, la società può acquisire correttamente e validamente la personalità giuridica solo se colloca la sede dell’amministrazione nello Stato e se segue le regole proprie del procedimento di costituzione. Si nega, invece, un’operatività comunitaria nei confronti degli altri Paesi membri56.

Esiste perciò una soggezione del diritto internazionale privato al diritto comunitario.

Nel caso concreto, quindi, la riqualificazione dell’operazione a trasferimento di sede effettiva, originata dalla cessione di quote sociali a cittadini residenti in territorio tedesco, non consente l’esercizio della libertà di stabilimento che, al contrario, diviene un obbligo di stabilimento al fine di preservare la capacità giuridica e processuale57.

Volontà, quella di trasferire la residenza, per di più, mai resa nota dalla stessa Überseering, che non ha mai attivato alcuna procedura capace

55 MUCCIARELLI, F., M., Op. cit., pag. 566-567. 56 MUCCIARELLI, F., M., Op. cit., pag. 569 57 Ibidem, punto 47.

di mettere in discussione la sua esistenza nello stesso Paese di costituzione.

La stessa vendita delle quote sociali non ha determinato alcuna perdita di capacità giuridica nei Paesi Bassi.

Riconoscere o meno la capacità giuridica non può dipendere da normativa, prassi, dottrina o giurisprudenza interna, in quanto esercitare la libertà di stabilimento significa da un lato poter dislocare la propria attività economica, ma, allo stesso tempo, mantenere in essere lo stabilimento originario.

Il divieto di negare l’iscrizione di uno stabilimento di una società avente sede nella Comunità dev’essere interpretato come obbligo generale di riconoscimento, in connessione con la valida costituzione dell’ente giuridico in un Paese della Comunità.

Dalla presente sentenza è nato un dibattito: la Corte ha voluto mettere da parte la teoria della sede reale in favore di quella contrapposta? La risposta corretta non va ricercata nella contrarietà di uno o dell’altro principio, dal momento che entrambi non prevalgono sul diritto comunitario.

Si può dire piuttosto che da tale sentenza nasce un nuovo concetto conosciuto come la «teoria della costituzione comunitaria» secondo cui, “quando una società si costituisce secondo l’ordinamento di uno Stato membro, tutti gli altri Stati membri devono ammetterla nel loro territorio, anche se la società non è più qualificabile come società domestica per l’ordinamento di originaria costituzione”58.

È un approccio nuovo che non attribuisce potere ad alcuna norma di conflitto nazionale, bensì ascrive importanza al contenuto dell’art. 48 (ora 54 T.F.U.E.) del Trattato verso l’adozione di un approccio capeggiato dal diritto comunitario. Limitarsi al riconoscimento della

58 WYMEERSCH, E., Op. cit., pag. 748.

mobilità di una società solamente previo operazioni di scioglimento non è più permesso in ragione dell’onerosità a cui l’ente e i suoi soci sono costretti a sottoporsi in vista della liquidazione del patrimonio.