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Esterovestizione societaria e libertà di stabilimento nell'Unione Europea: il caso Dolce & Gabbana.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA E

LIBERTA’ DI STABILIMENTO NELL’UNIONE

EUROPEA: IL CASO DOLCE E GABBANA

Relatore:

Chiar.mo Prof. Antonio Marcello Calamia

Candidato:

Filomena Aloe

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INDICE

INTRODUZIONE

5

I. CAPITOLO

10

IL CONCETTO DI RESIDENZA FISCALE QUALE CRITERIO

DI COLLEGAMENTO CON IL TERRITORIO NAZIONALE:

LA NORMATIVA INTERNA E IL DELICATO RAPPORTO

CON ALTRE REALTÀ INTERNAZIONALI

1.1 Premessa 10

1.2 Il concetto di residenza fiscale 12 1.3 L’inversione onere probatorio 19

1.4 La Circolare 4 Agosto 2006, N 28/E 24 1.5 La compatibilità della norma con l’ordinamento comunitario e convenzione contro doppie imposizioni 31

II. CAPITOLO

35

IL FENOMENO DELL’ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA

2.1 Premessa 35

2.2 La sede dell’Amministrazione 40

(3)

III. CAPITOLO

46

ANALISI DELL’EVOLUZIONE SOVRANAZIONALE IN

TEMA DI TRASFERIMENTO DI RESIDENZA DELLE

IMPRESE VERSO PAESI ESTERI: GLI INTERVENTI DEGLI

ORGANI COMUNITARI

A. L’importanza del diritto di stabilimento nella materia

delle fattispecie fiscali transnazionali

3.1 Premessa 46 3.2 La libertà di stabilimento nell’Unione Europea 51

B. L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in

tema di exit taxation

3.3 Il caso Daily Mail and General Trust (causa C-81/87) 58 3.4 Il caso Überseering (causa C-208/00) 63 3.5 Il caso De Lasteyrie du Saillant (causa C-9/02) 73

3.6 Il caso N (causa C-470/04) 80

3.7 Il caso Cartesio (C-210/06) 86

3.8 Il caso National Grid Indus B.V. (causa C-371/10) 94 3.9 Il caso Vale Èpìtèsi (causa C-378/10) 112 3.10 L’intervento della Commissione e del Consiglio europeo 116

(4)

IV. CAPITOLO

128

IL CASO DOLCE E GABBANA

4.1 Introduzione 128

4.2 Il caso Dolce & Gabbana 131

4.3 La vicenda giudiziaria 133

4.4 Il verbale di constatazione e la riorganizzazione del gruppo 133 4.5 L’origine del contenzioso tributario 135 4.6 Il contenzioso penale e la prima pronuncia di Cassazione 137 4.7 Elusione fiscale, abuso del diritto ed evasione 140

4.8 Il primo grado di giudizio 150

4.9 Il secondo grado di giudizio penale 152 4.10 L’assoluzione con la sentenza n. 43809 del 2015 153 4.11 I temi legati alla vicenda: le motivazioni della sentenza e le

conseguenze sottese 155

CONCLUSIONE

158

(5)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di illustrare la disciplina del trasferimento di residenza fiscale delle società, analizzandone principalmente il profilo di compatibilità con l’ordinamento comunitario, affrontando così uno degli aspetti del più ampio campo d’indagine inerente al rapporto tra gli ordinamenti tributari dei singoli Stati membri e i principi fondamentali vigenti a livello comunitario, enunciati nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Lo svilupparsi di un contesto sempre più internazionale nel quale sono chiamate ad operare le imprese, a seguito di un processo di globalizzazione che le obbliga a confrontarsi con un livello sovranazionale, genera una maggiore mobilità delle stesse nell’ambiente comunitario, nonché mondiale.

Se questo fenomeno in tempi meno recenti aveva interessato solo le imprese di grandi dimensioni, le uniche ad avere le possibilità finanziarie, ma non solo, per affrontare un tale cambiamento; oggi sta diventando un fenomeno sempre più diffuso che interessa anche le piccole medie imprese, rappresentazione della struttura portante del nostro Paese; talvolta per queste ultime, in particolare, l’internazionalizzazione si pone come passo obbligato per affrontare il momento di congiuntura del mercato al fine di ottenere nuove possibilità di investimento e sopravvivere alla pressione dei grandi gruppi multinazionali.

Da un punto di vista fiscale, il riconoscimento dell’importanza di tale fenomeno tardò ad arrivare da parte del nostro legislatore rispetto a quelli degli altri ordinamenti comunitari, ma il numero sempre più crescente di tali operazioni, correlato alla consapevolezza che queste generavano conseguenze non irrilevanti

(6)

sotto il profilo strettamente tributario, portò lo stesso legislatore interno ad introdurre, nel 1995, una normativa ad hoc, l’art. 20 del d.p.r. 917/1986.

Il fenomeno del trasferimento di residenza, infatti, non può essere tralasciato e studiato o compreso per il suo aspetto meramente economico, tanto più se si considera che le ragioni alla base dello stesso, nel tempo, non sono più solamente ragioni economico-strategiche, ma sono accompagnate sempre più anche da motivazioni di tipo fiscale. Se si considera, oltre al momento di congiuntura economica, anche il perpetuante aumento del livello d’imposizione fiscale interna, è ragionevole pensare che le stesse imprese cerchino, qualora le condizioni finanziarie, piuttosto che strategiche lo permettano, di abbattere il costo fiscale.

È possibile prefiggersi il raggiungimento di tale fine mediante una “via interna”, cercando quindi la giusta configurazione di capitale di debito e capitale proprio per usufruire del c.d. “scudo fiscale del debito”

(il quale presuppone la deducibilità fiscale degli interessi passivi, vigente nel nostro paese), o attraverso una “via esterna”, ed è la modalità che qui c’accingiamo ad analizzare; posto che il criterio soggettivo adottato per tassare un soggetto è lo status di residente, tale seconda modalità si sostanzia nella localizzazione della residenza fiscale in quegli Stati dove le legislazioni tributarie sono più vantaggiose, prevendendo una tassazione media inferiore, nonché la totale esenzione per talune poste contabili.

Ed è proprio in occasione di quest’ultima modalità che si inserisce lo snodo della trattazione.

Con il trasferimento all’estero della residenza fiscale viene intaccata la potestà impositiva dello Stato esercitabile su quei componenti di redditi maturati nel suo territorio, ma poi realizzati nel territorio di un altro Stato.

(7)

La questione fulcro del seguente lavoro è proprio rappresentata dal conflitto d’interessi che un’operazione, quale è il trasferimento di residenza da uno Stato membro all’altro, può generare.

La trattazione si occupa del trasferimento di sede all’interno della Spazio comune, poiché il trasferimento verso paesi terzi non potrebbe essere sottoposto al giudizio di compatibilità con i principi comunitari, valenti appunto solo per i Paesi che a tale Accordo hanno aderito.

Da un punto di vista meramente fiscale, per lo Stato di partenza il trasferimento all’estero si traduce in una perdita di gettito fiscale in entrata derivante dal fatto di non avere più il diritto di tassare i redditi di successiva realizzazione, ma già latenti nei beni che il soggetto trasferisce.

Ecco che, per porre rimedio a tale situazione, gli Stati hanno introdotto delle normative apposite volte a contrastare tale rischio, le c.d. exit tax, al fine di garantire il rispetto, in modo quanto mai rigoroso, del principio di territorialità.

Occorre però considerare che queste stesse normative ostacolano, o comunque rendono meno conveniente, la mobilità societaria nel contesto comunitario.

Quello che qui cercheremo di analizzare è come da un lato tali normative, proprio in ragione del divieto/disincentivo che contengono, siano capace di porsi in contrasto con la libertà di stabilimento; ma come d’altro canto sia necessario considerare che le restrizioni sono comunque supportate da valide ragioni a cui, di volta in volta, gli Stati adducono per giustificarne l’introduzione (ad esempio la volontà di evitare fenomeni elusivi ed evasivi, di garantire un’equa ripartizione del potere impositivo, di non generare la riduzione di entrate tributarie, e da ultima, ma non meno importante, di mantenere una coerenza del sistema fiscale interno), ma che non sono ritenute, nella maggioranza dei casi, sufficienti a motivare violazioni dei fondamenti comunitari.

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Vedremo che tassazioni di questo tipo sono presenti, con conformazioni diverse, nella quasi totalità degli ordinamenti statali dell’Unione Europea; si possono

distinguere principalmente gli Stati nei quali la tassazione colpisce solamente le società (che sono la maggioranza), da quelli nei quali destinatari ne sono sia le società, che le persone fisiche.

Nel presente lavoro tre sono i grandi temi che si intrecciano e si analizzeranno in modo più approfondito: il concetto di residenza fiscale, il fenomeno dell’esterovestizione societaria e il diritto di stabilimento. In primis, con riferimento al concetto della residenza fiscale delle società, la questione che emerge riguarda la definizione dei criteri che i singoli legislatori nazionali ritengono indicativi di un collegamento della società con l’ordinamento di quello Stato e che, dunque, permettono di attribuire il diritto allo Stato stesso di tassare quel soggetto.

In particolare, si cercherà di capire se tale potestà, ritenuta da sempre esclusiva dei legislatori statali, subisca oggi una qualche limitazione alla luce di un diritto comunitario sempre più dirompente nelle discipline interne, in particolare non subisca delle limitazioni alla luce del diritto di stabilimento.

Si accenna al fatto che i criteri di collegamento adottabili dagli Stati si rifanno a due grandi teorie: la teoria dell’incorporazione e la teoria della sede reale; e con preciso riferimento al trasferimento di residenza all’estero l’adozione dell’una, piuttosto che dell’altra, si traduce in un differente approcciarsi alla medesima vicenda da parte degli Stati, ammettendo o meno il trasferimento di sede.

Si analizzeranno i fenomeni della mobilità degli enti societari nel contesto dell’Unione Europea, dove i singoli criteri adottati dagli Stati non sono tra loro omogenei, generando così il rischio di situazioni di doppia residenza, la cui soluzione va ricercata affiancando alla

(9)

definizione interna di residenza, quella vigente a livello convenzionale e le tie-break rule ivi contenute.

Con particolare riferimento alla disciplina interna sul trasferimento di residenza si avrà modo di confermare come la stessa assolva principalmente a due finalità: garantire la coerenza del sistema fiscale interno e contrastare fenomeni di elusione fiscale (esterovestizione societaria), assumendo la duplice natura di misura strutturale e misura antielusiva.

Tali motivazioni, meglio note come cause di giustificazione, sono proposte dallo Stato italiano a tutela della propria iniziativa legislativa, considerato che più volte la stessa è stata accusata di incompatibilità con la libertà di stabilimento.

Le cause addotte dagli Stati, vedremo, sono tra le più diverse, nella trattazione si presentano quelle che ricorrono più di frequente nelle questioni rimesse alla Corte di giustizia, le cui pronunce rappresentano il modo attraverso il quale la stessa Corte, seguendo un’integrazione di tipo negativo, enuncia la propria posizione con riferimento a determinate questioni.

Inoltre, analizzeremo come la Corte affronta,

di volta in volta, le questioni a essa rimesse in merito alla dubbia compatibilità di disposizioni interne con i postulati comunitari, nonché cercheremo di capire se dall’evoluzione delle sue pronunce sia possibile ricavare una risposta univoca al quesito.

Infine, andremo ad analizzare il caso dei due noti stilisti Dolce & Gabbana che ci permetterà di individuare le tematiche chiave relative ai casi di esterovestizione.

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I. CAPITOLO

IL CONCETTO DI RESIDENZA FISCALE QUALE CRITERIO DI COLLEGAMENTO CON IL TERRITORIO NAZIONALE: LA NORMATIVA INTERNA E IL DELICATO RAPPORTO CON ALTRE REALTÀ INTERNAZIONALI

1.1 Premessa- 1.2 Il concetto di residenza fiscale- 1.3 L’inversione dell’onere probatorio- 1.4 La Circolare 4 Agosto 2006, N28/ E- 1.5 La compatibilità della norma con l’ordinamento comunitario e la Convenzione contro le doppie imposizioni

1.1 Premessa

All’interno del primo capitolo introduttivo al lavoro vengono illustrati i criteri di collegamento istituiti da parte del legislatore nazionale ai fini della corretta definizione e rilevazione della residenza fiscale.

Il tema della residenza fiscale ha assunto particolare importanza nell’attualità tributaria, anche per effetto dell’introduzione dell’art 73, comma5-bis, del TUIR, ad opera del D.L.n. 223, del 4 luglio 2006, contenente “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e il contrasto all’evasione fiscale”. Al fine di contrastare il fenomeno delle società “Esterovestite”, l’art 35 comma 13, del citato D.L., ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una presunzione legale relativa, in base alla quale, in presenza di determinate condizioni, la sede dell’amministrazione di società e di

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enti (formalmente non residenti) si considera, salvo prova contraria, esistente nel territorio dello Stato1.

Indipendentemente dalla circostanza che la Società abbia una holding di riferimento in Italia o dalla residenza fiscale italiana dei singoli membri del consiglio di amministrazione, è quindi necessario dimostrare che la società in questione è di fatto amministrata al di fuori del territorio italiano2.

La nuova disposizione nulla dice rispetto alla disciplina generale in tema di residenza dei soggetti passivi IRES (ex art 73, co 3, del TUIR), in quanto la norma di riferimento resta quella della radicazione sul territorio (tra le altre) delle entità estere che vi abbiano “la sede dell’amministrazione “; l’unica novità è che, in presenza dei requisiti di controllo di cui sopra, la radicazione sul territorio nazionale si considera, come detto, presunta salvo prova contraria.

Nulla però può impedire all’Amministrazione Finanziaria di provare il contrario e quindi di dimostrare la sede dell’amministrazione della società o ente in Italia. In questo caso l’onere della prova grava sulla stessa Amministrazione.

1 L’ art 73 del TUIR 5-bis. “Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio

dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma , del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.

2 D. L. 223/2006 Art 35 co.14 “La disposizione di cui al precedente comma ha effetto a

decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.”

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1.2 IL CONCETTO DI RESIDENZA FISCALE

Ai sensi dell’art 73, comma 3, del TUIR, “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato” .

Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia e, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

Si considerano ,inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168 bis,quando,successivamente alla loro costituzione ,un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi”.

I requisiti della normativa sopra menzionata sono tra loro alternativi3

,in quanto è sufficiente che almeno uno solo di essi sia rispettato affinché il soggetto possa essere considerato fiscalmente residente in Italia.

In tal senso, i criteri di collegamento rappresentano il mezzo con cui i rapporti a contenuto economico vengono ad essere giuridicamente

3 Circolare 28/E del 4 agosto 2006, dell’Agenzia delle Entrate, conferma che “. Tali criteri sono alternativi ed è sufficiente che venga soddisfatto anche uno solo di essi perché il soggetto possa considerarsi residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato”.

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localizzati nel territorio e si evidenzia come la sede sia stata da sempre considerata elemento rilevante ai fini dell’individuazione del diritto applicabile all’ente giuridico, ossia criterio di giurisdizione che consente l’esercizio della potestà impositiva, assumendo essa però tre differenti significati.

In particolare, il legislatore ha introdotto un criterio formale, rinvenibile nella sede legale, e due criteri sostanziali, configurabili nella sede dell’amministrazione e nell’oggetto principale dell’attività, rispecchiando in tal modo la tendenza all’utilizzo di un criterio misto in termini di teoria dell’incorporazione e teoria della sede reale.

Quindi, quando una società o ente può essere considerata residente nello stato italiano?

I requisiti che bisogna rispettare sono:

la sede legale4 o statutaria deve intendersi l’elemento cartolare o

formale che risulta indicato nell’atto costitutivo, nello statuto originario o in altri atti della società previsti per legge, anche se successivi5.

4 Nell’ ipotesi di trasferimento, nel corso del periodo di imposta, della sede legale in Italia dall’estero (o viceversa), al fine di determinare il Paese di residenza della società o dell’ente, occorre assumere, quale data di trasferimento, quella giudicata rilevante, ai fini fiscali, dall’ordinamento tributario di provenienza. L’ agenzia delle Entrate ,infatti, con Risoluzione 17 gennaio 2006 n 9, ha rilevato che , al fine di evitare soluzioni di continuità nel periodo di imposta, la data di trasferimento fiscale della sede statutaria deve essere la stessa nei due ordinamenti: in tale ottica, il considerare, quale momento rilevante ai fini dell’acquisto della residenza, la data di iscrizione nel registro delle imprese del Pese di destinazione potrebbe portare, per quell’esercizio, la società a non essere soggetta ad imposizione né nel nostro Paese , né all’estero posto che:

a) La cancellazione dal registro delle imprese dello stato di provenienza potrebbe intervenire nella prima metà del periodo di imposta;

b) L’iscrizione nel registro delle imprese dello Stato di destinazione potrebbe intervenire soltanto nella seconda parte del periodo di imposta.

5 In tal senso MARINO, G., La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999, pag. 101; art. 2328 cod. civ. “Atto costitutivo: 2. L'atto costitutivo deve essere redatto per atto

pubblico e deve indicare: 1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, […]; 2) la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie […]”. La stessa Agenzia delle Entrate, con propria circolare del 4 agosto

2006, n. 28/E, ha chiarito che “la sede legale si identifica con la sede sociale indicata

(14)

Nel TUIR non è contenuta la definizione di sede legale e pertanto occorre tener presente delle varie definizioni di sede societaria contemplate nel codice civile ( si fa riferimento ,in particolare, agli artt. 16, coma 1 , c.c., “atto costitutivo e statuto”; art 46 c.c. “sede delle persone giuridiche” ; art 2197 c.c. “ sedi secondarie “ ; art 2330 c.c. “deposito dell’atto costitutivo ed iscrizione della società”; artt 2328 e 2475, i quali prevedono che nell’atto costitutivo devono essere indicati gli elementi fondamentali della società, tra i quali la “sede sociale”). Si tratta dell’elemento che presenta un processo di individuazione semplice, libero da dubbi e agevole, in particolare per l’espletamento delle attività accertative dell’Amministrazione finanziaria, non necessitando dell’avvio di alcuna valutazione sul fatto.

La principale critica che può essere mossa riguarda la carenza della sua capacità di individuare il reale collegamento con il territorio e con l’ordinamento dello Stato, prestandosi quale facile mezzo di elusione, soprattutto in un contesto in cui l’internazionalizzazione ha spinto le imprese a localizzare la propria presenza anche all’estero.

Per questo la sede legale, considerata quale criterio di collegamento isolato, non può più essere considerata come fattore utile all’identificazione della residenza di un soggetto e, per tale ragione, viene affiancata dai seguenti criteri sostanziali.

-La sede dell’amministrazione, che è il luogo dove si svolgono le attività di amministrazione e di controllo.

Per stabilire l’individuazione della residenza con tale criterio è necessario esaminare congiuntamente la normativa tributaria e quella civilistica.

Si nota come sia stata presa la distanza rispetto al criterio del luogo di costituzione della società previsto dalla L. n. 218/1995, il quale in un momento iniziale potrebbe coincidere con la sede legale, ma in un tempo successivo, a causa del trasferimento, potrebbe mutare.

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Secondo l’articolo 25 ex legge 218/95 “Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione.

Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti”. Anche il modello convenzionale OCSE, all’articolo 4, comma 3, individua un criterio di attribuzione della residenza in base alla sede della direzione effettiva, ovvero del luogo in cui si assumono le decisioni più rilevanti, sia di management commerciali, necessarie per la gestione dell’impresa.

La giurisprudenza conformemente alle indicazioni OCSE ha recepito che “luogo in cui hanno concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove operano i suoi organi rappresentativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi, ossia il luogo deputato, o stabilimento utilizzato, per l’accertamento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente6”.

Alla luce di ciò, la sede dell’amministrazione rappresenta un elemento molto importante nel contesto fiscale, in quanto configura la traduzione del concetto di sede di direzione effettiva che viene utilizzato sul piano convenzionale ai fini della risoluzione delle problematiche di dual residence.

ln riferimento all’oggetto principale, o centro principale degli affari dell’impresa, invece, richiama il luogo in cui viene concretamente svolta l’attività da un soggetto diverso dalle persone fisiche.

Per oggetto principale dell’impresa si intende, quella attività che l’ente svolge per raggiungere lo scopo sociale.

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Secondo l’articolo 73 del TUIR comma 4 “L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata.

Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto”; mentre il successivo comma 5 “in mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica agli enti non residenti”.

Il luogo dell’esercizio della Società o Ente deve essere individuato dove effettivamente viene svolta l’attività e non solo tenendo conto degli atti formali (atto Costitutivo o Statuto).

Possiamo essere di fronte ad un caso in cui una Società abbia sede legale all’estero ma con oggetto sociale o sede di amministrazione in Italia, in questo caso ciò che bisogna prendere in considerazione è la sede dell’amministrazione.

La nozione di residenza poi è strettamente collegata alla coesistenza di un elemento temporale7 rinvenibile all’interno dello stesso art. 73,

terzo comma, del T.U.I.R., il quale prevede la permanenza di almeno uno dei tre criteri di collegamento in precedenza identificati “per la maggior parte del periodo d’imposta”, intendendosi per tale un arco

7 Anche in passato era presente all’interno dell’ordinamento tributario un riferimento temporale, il quale però operava limitatamente alle persone fisiche, anche se in maniera non completa - richiamando la sola dimora - e non ben formulata - richiedendo la necessaria permanenza della stessa all’interno dei confini territoriali per un arco temporale superiore a “sei mesi all’anno”. Nulla veniva previsto, invece, con riferimento ai soggetti diversi dalle persone fisiche. Solo con l’entrata in vigore del nuovo TUIR avvenuta nel 1988 il testo fu modificato per favorire l’accertamento di un obbligo di periodo.

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temporale di almeno 183 giorni, in combinazione con quanto contenuto all’interno dell’art. 76, secondo comma, del TUIR.8.

Si tratta di un periodo temporale che non necessariamente deve essere dotato del requisito della continuità e che, come visto in precedenza, risulta di semplice rilevazione con riferimento alla sede legale al contrario di quanto avviene per i due requisiti sostanziali. Il concetto di residenza, oltre a rivestire profili nazionali, viene richiamato anche in ambito internazionale9, soprattutto con

riferimento alle realtà economiche che si presentano dislocate in più Paesi, ognuno dei quali, in ragione dei propri autonomi criteri di collegamento, intenda esercitare la potestà impositiva nei confronti dello stesso soggetto giuridico o sullo stesso reddito.

Le norme convenzionali ottemperano ad un duplice ruolo: da un lato costituiscono limiti alla libera operatività e alla piena autonomia del legislatore nazionale, occupandosi della definizione delle modalità di risoluzione di eventuali conflitti nelle situazioni in cui sussista un legame di appartenenza a più Stati, andando ad eligere l'autorità autorizzata ad esercitare la propria pretesa impositiva.

Dall'altro lato, rappresentano un parametro di legittimità per tutte quelle norme interne che appongono ostacoli al trasferimento della residenza in uno Stato con il quale sia in essere una convenzione contro la doppia imposizione10.

8 Si riporta in nota il contenuto dell’art. 76 del TUIR “Periodo d’imposta: 2. Il periodo

d’imposta è costituito dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, determinato dalla legge o dall’atto costitutivo. Se la durata dell’esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall’atto costitutivo, […] il periodo d’imposta è costituito dall’anno solare”.

9 Anche le norme convenzionali, che nella prassi assumono la forma delle convenzioni internazionali in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, trovano la propria collocazione all'interno del sistema delle fonti e rappresentano perciò una variabile rilevante nella regolamentazione delle fattispecie oggetto di analisi. Esse trattano l'incontro di volontà impositive manifestate contemporaneamente da più Stati, con l’intento di dare soluzione ai contrasti emergenti da disposizioni in conflitto.

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In tema di residenza fiscale, la definizione convenzionale si occupa di individuare lo Stato a cui spetta l’esercizio del potere impositivo nella situazione in cui, al medesimo soggetto giuridico, sia attribuita la qualifica di residente in due o più Stati e permette di limitare e coordinare le giurisdizioni.

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1.3 L’ INVERSIONE DELL’ONERE PROBATORIO

Consapevoli che il rispetto delle norme assunte a livello convenzionale si misura in relazione al grado di conformità che tali accordi ritrovano sul piano legislativo interno degli Stati, problemi si pongono in particolare con riferimento alle norme statali antielusive, esse difatti prevedendo, sulla base di un collegamento ragionevole col territorio dello Stato, di estendere i loro effetti a fattispecie articolate su base internazionale11 .

È proprio con riferimento a tale affermazione che c’accingiamo ad affrontare, nel prossimo capitolo, il fenomeno della c.d. esterovestizione, nel quale alla complessità che caratterizza il concetto stesso di residenza, si associa la difficoltà (per il contribuente) di darne prova della stessa.

La c.d. esterovestizione consiste nel dar vita a un soggetto, a una società, che apparentemente risulta residente all’estero, ma nella sostanza è come se fosse a tutti gli effetti un soggetto nazionale12 . Tale

finzione non è ammessa in sé dall’ordinamento.

11 MELIS G., Trasferimento della residenza fiscale e imposizione sui redditi, Roma, 2009, p.

328.

12 Vi sono con riferimento a tale fenomeno esempi, anche in tempi in recenti, che hanno

avuto l’onore delle cronache giornaliste, di società note che sono state ritenute esterovestite. Tra i più recenti il caso D&G (la sentenza di primo grado del novembre 2011 è stata confermata a marzo 2013 dalla Commissione tributaria di Milano a favore dell’agenzia delle entrate). Brevemente il caso era il seguente: la società italiana ha ceduto il marchio a una società lussemburghese (dove il Lussemburgo è un paradiso fiscale), per circa 300.000.000 di euro (la Procura della Repubblica di Milano ha stimato invece un valore oltre un miliardo di euro), la quale beneficiava dei proventi derivanti dall’utilizzo del marchio da parte della società italiana (l’entità delle royalties annue circa coincideva con la rata di mutuo che la lussemburghese doveva rimborsare alla banca che l’aveva finanziata per comprare il marchio, così da azzerare il reddito in capo alla lussemburghese). L’accusa, si è avvalsa di tutta una serie di fax, appunti, atti dai quali si poteva evincere che in realtà la società era amministrata a Milano, perché il cda si riuniva a Milano, le decisioni era sostanzialmente prese a Milano e si recavano a Lussemburgo solo per redigere i

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Il tema generale dell’esterovestizione si presenta, in realtà, come un tema più vasto, con una dimensione ben più ampia di quella presa in esame dalla norma che andiamo a commentare, la quale si limita a risolvere una parte del problema.

Il precetto di cui si parla è l’articolo 73 comma 5 bis TUIR “Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: a) sono controllati anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.

La norma inserita nel comma 5 bis ha carattere esclusivamente procedurale, inserendo una presunzione relativa, la quale determina l’inversione dell’onere della prova a carico della società o degli enti esteri- che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società italiane- gestiti ovvero controllati, anche indirettamente, da parte di soggetti d’imposta italiani13.

Nel dettaglio la presunzione relativa in norma trova applicazione nei casi in cui la società o l’ente non residenti:

• Detengano direttamente partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359 comma 1 del c.c. nei confronti della società, trust o

verbali. Il caso riproduce perfettamente il fenomeno dell’esterovestizione che ora andremo ad esaminare.

13 In applicazione della presunzione relativa introdotta dal D.L. 223/2006. Il soggetto estero si considera a tutti gli effetti residente nel territorio dello Stato. Di conseguenza, come già accennato, in ossequio al principio di tassazione nel Paese della “sede di direzione effettiva, i redditi conseguiti dal soggetto esterovestito saranno assoggettati a tassazione in Italia”.

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enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali residenti nel territorio dello Stato;

• Alternative siano:

 Controllati, anche direttamente, ai sensi del richiamato articolo 2359 c.c. da soggetti residenti nel territorio dello Stato, tenendo conto: della situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o del periodo del soggetto controllato estero; per le persone fisiche, anche dei voti spettanti al coniuge, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo grado;

 Amministrati da un consiglio di amministrazione o da un altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

In sintesi, la norma trova applicazione per le società o enti che controllano direttamente, attraverso un vincolo partecipativo, società, trust o enti residenti, caratterizzati dal requisito della commercialità; ma anche per quelle società o enti che vengono indirettamente controllati da soggetti residenti o sono amministrati, in prevalenza, da persone residenti.

Quanto detto viene confermato da legislatore che ha ritenuto sussistente la “sede dell’amministrazione” con il verificarsi delle circostanze sopra menzionate, rappresentando così il criterio predominante ai fini dell’attribuzione della residenza fiscale da ritenersi, radicata sul territorio nazionale.

In tale ambito ,appare il caso di sottolineare fin d’ora che laddove, come è verosimile da ritenere, i soggetti esteri interessati non abbiano proceduto a porre in essere nello Stato componenti dichiarativi, si renderebbe applicabile l’ulteriore disposizione contenuta nell’ articolo 41, comma1 e comma 2 del D.P.R. 29 Settembre 1973, n 600, che consente agli uffici impositori di avvalersi di presunzioni anche prive dei requisiti della gravità, della precisone e della concordanza per

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procedere all’accertamento d’ufficio dei redditi di contribuenti che abbiano omesso la dichiarazione.

A questo punto sembra opportuno fare una precisazione che in assenza di espressa previsione normativa, si ritiene che la prova circa l’esistenza all’estero della sede dell’amministrazione debba essere fornita in sede di accertamento.

La norma, infatti, non prevede la possibilità di dimostrare in via preventiva l’inapplicabilità della norma al caso concreto, né consente di anticipare il momento del contraddittorio entro termini utili per l’adempimento spontaneo.

Per “vincere” la presunzione in commento, non sembra possibile formulare istanza di interpello preventivo, posto che il superamento della presunzione di residenza verte su questioni di fatto, mentre la procedura di interpello ordinario prevista dall’articolo 11 della Legge 27 Luglio del 2000. n. 21214 , si riferisce a “obiettive condizioni di

incertezza sulla corretta interpretazione” di una norma15.

Le questioni relative all’individuazione della sede dell’amministrazione e, quindi, della residenza di un soggetto economico, infatti, sono da ricondurre nell’alveo di un quadro probatorio da valutare “case by case”, non potendosi considerare di carattere “interpretativo”.

Tuttavia, sotto il profilo dell’efficacia e della opportunità di addivenire alla procedura di interpello ordinario ex Legge n. 212/2000 è comunque lecito porsi alcuni interrogativi.

Vero è che le questioni che potrebbero essere prospettate in tema di individuazione della sede dell’amministrazione - in presenza di una

14 La circolare n. 9/E del 13 febbraio 2003 dell’Agenzia delle Entrate- Direzione Generale Normativa e Contenzioso-ha esplicitamente ammesso i soggetti esteri alla presentazione di istanze di interpello e ne ha disciplinato le modalità, anche con riferimento all’Agenzia territorialmente competente a ricevere dette istanze, indicata nella sede di Roma dell’Agenzia stessa.

15 In tal senso, si è espressa l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 312/E del 5 novembre 2007.

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norma avente contenuto non equivoca -non sarebbero di carattere interpretativo, ma fattuale (attinenti al mero fatto), ovvero di valutazione dell’efficacia di riscontri materiali e probatori.

È proprio su tali basi, infatti, che è possibile ritenere che l’Amministrazione finanziaria si sottragga a dare una pertinente risposta sulle singole fattispecie, proprio in quanto l’interpello è asservito a fornire riscontro a dubbi interpretativi e non a valutazioni fattuali.

Ma è sulla scia di questi ragionamenti che si dovrebbe poter giungere alla conclusione che l’istanza di interpello, ad esempio, potrebbe essere presentata con riferimento a situazioni di fatto in cui possano nutrirsi dubbi in ordine alla sussistenza o meno del requisito del controllo ( si pensi ai casi di controllo contrattuale e di controllo di fatto, oppure a configurazioni strutturali delle catene partecipative che prevedono forme di controllo congiunto ovvero casi di asimmetria tra controllo di diritto e controllo di fatto)16.

Resta fermo il fatto che, ove la questione di residenza fiscale della società o ente estero rientri in un più ampio progetto di riorganizzazione dell’impresa, il percorso privilegiato dovrebbe essere l’interpello antielusivo di cui all’articolo 21 della Legge n . 413/1991.

16 In questo caso l’Amministrazione finanziaria non sarebbe chiamata a pronunciarsi su credibilità, efficacia e ragionevolezza delle prove contrarie che il contribuente potrebbe opporre difronte ad un’eventuale azione accertativa.

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1.4 LA CIRCOLARE 4 AGOSTO 2006, N. 28/E

Con la presente Circolare l’Agenzia delle Entrate ha voluto fornire importanti istruzioni in merito alla presunzione di residenza fiscale degli enti esterovestiti.

La sua importanza deriva dal fatto che rende più agevole la funzione di accertamento della residenza delle società in contrasto con le pratiche elusive.

Tale Circolare n. 28/E del 2006, paragrafo n. 8, indica le disposizioni di carattere tributario introdotte dal D.L. n. 223 del 4 Luglio 2006.

È stato precisato che l’effetto immediato dell’individuazione della residenza fiscale delle società in Italia risulta essere:

• L’assoggettamento al regime di imponibilità o di esenzione ai sensi degli artt. 86 ed 87 del TUIR delle plusvalenze realizzate dalla cessione di partecipazioni;

• La tassazione piena degli utili di partecipazione provenienti da società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata.

I flussi di dividendi, interessi e Royalties in uscita dall’Italia non saranno assoggettati a ritenuta e quelle eventualmente subite nel periodo d’imposta per il quale tali soggetti sono considerati residenti potranno essere scomputate in sede di dichiarazione annuale.

Circolare n 28/ E del 2006 “Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione delle società in esame.

Si tratta, infatti, di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale.

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Essi si ispirano sia a criteri di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.

La norma prevede, in definitiva, l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede dell’amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue l ‘ obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società.

In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle così dette esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.

Come sottolinea la Relazione illustrativa, le disposizioni in esame si applicano alle società ed enti che presentano due rilevanti e continuativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato, in quanto:

• Detengono partecipazioni di controllo, di diritto o di fatto ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, in società ed enti residenti;

• Sono, a loro volta, controllati anche indirettamente ovvero amministrati da soggetti residenti.

La norma è applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere.

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La presunzione di residenza in Italia della società estera che direttamente controlla una società italiana, renderà operativa, infatti, la presunzione anche per la società estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria; quest’ultima si troverà, infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia”.

L’accertamento della sede legale di una società non reca particolari problematiche in quanto si identifica nell’atto costitutivo o nello statuto, al contrario molto più difficile risulta l’individuazione della sede amministrativa o dell’oggetto principale risulta più complessa, rapportando a un criterio sostanziale che prescinde dalle evidenze formali.

Le norme in argomento recepiscono, sul piano normativo, una regola che potremmo definire di esperienza comune secondo la quale, se i soci di controllo di una entità estera con investimenti partecipativi in Italia sono italiani, ovvero la maggioranza dei componenti dell’organo volitivo risiede in Italia, è lecito desumere secondo “l’id quod plerumque accidit”, che anche il centro decisionale delle società ovvero la sede dell’amministrazione è localizzato nel territorio dello Stato. La presunzione relativa sopra citata determina una inversione dell’onere della prova, nel territorio Nazionale, della sede dell’amministrazione e, quindi della residenza del soggetto estero.

Contrariamente alla regola generale dove è l’Amministrazione finanziaria a dimostrare il fondamento della propria pretesa impositoria, viene traslato sul soggetto estero, che deve dimostrare che, nonostante la sussistenza dei particolari elementi di collegamento con il territorio nazionale, non è possibile localizzare in Italia la propria residenza fiscale.

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Tale presunzione opera nei confronti del soggetto estero a prescindere dalla configurazione o meno di holding, sia dalle caratteristiche dell’ordinamento tributario del Paese in cui è ubicata la sede legale. La società residente con sede estera, partecipate da soggetti residenti, dovrà provare oltre agli elementi di natura formale17 ,idonei di per se a

dimostrare il radicamento sul territorio estero dell’entità ivi localizzata, ma anche gli elementi di natura sostanziale cioè dovrà dimostrare di avere come oggetto fatti e circostanze incontrovertibili che comprovino ,l’autonomia giuridica, contrattuale, finanziaria e soprattutto funzionale della legale entità estera, oltre che le motivazioni imprenditoriali sottostanti alla configurazione di gruppo. I documenti di prova:

1) Effettività degli insediamenti produttivi/commerciali all’estero e delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;

2) Modello organizzativo e funzionale del gruppo di imprese della quale le società e gli enti esteri fanno parte, con evidenza della “specializzazione” di queste ultime, non solo in senso geografico, anche

17 Tra i requisiti di carattere formale rilevano: - Segni distintivi della sede sociale;

- L’oggetto sociale suscettibile di dare luogo ad un’attività imprenditoriale reale compatibile con la struttura societari;

- Regolarità delle attività relative alla vita sociale (CdA e assemblee soci); - Maggioranza dei componenti del CdA residenti;

- L’attività amministrativa centralizzata nel luogo della sede sociale. Tra i requisiti di carattere sostanziale si citano:

- L’assoggettamento effettivo alle imposte estere (per effetto della effettiva residenza fiscale);

- La gestione operativa effettuata sul posto;

- Il possesso delle idonee autorizzazioni amministrative per l’esercizio dell’attività concesse dalle autorità locali;

- L’assunzione di personale e relative mansioni svolte;

- La disponibilità di locali ad uso civile o industrial e relativi contratti di locazione;

- I controcorrenti bancari presso istituti locali; - Altri contatti ed utenze;

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strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate;

3) Descrizione dei flussi formativi e contrattuali intercompany , dalla quale potrebbe desumersi la (pressoché) totale indipendenza economica delle partecipate estere rispetto alla holding;

4) Esistenza o meno di sistemi di tesoreria centralizzata (c.d. “cash pooling “), rilevanti ai fini della dimostrazione dell’autonomia finanziaria delle società o enti esteri rispetto all’ente controllante;

5) Grado di autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero (c.d. Country manager) in termini di organizzazione del personale, di poteri di spesa, di approvigionamento e di negoziazione di contratti con i clienti esteri;

Con riferimento alla prova contraria, la citata Circolare dell’Agenzia delle Entrate18 precisa che “Il contribuente, per vincere la presunzione,

dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’ estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva dello Stato estero “.

Per superare la presunzione di residenza occorre provare all’ente accertatore, adeguata documentazione diretta a dare evidenza dell‘effettiva sostanza della società o ente estero, secondo i termini sopra evidenziati.

È importante rilevare che la presunzione non potrebbe essere vinta con la prova dell’insussistenza di altri elementi, diversi dalla “sede dell’amministrazione”, ciò perché secondo l’articolo 73, comma 3, del TUIR, i criteri sono alternativi tra loro ed è di fatto lasciata

(29)

all’amministrazione finanziaria, in caso di accertamento, la scelta del requisito su cui confrontarsi nell’eventuale contenzioso19.

Una particolare disciplina merita di essere esaminata ed è quella della “CFC”20.

Nell’ipotesi in cui il soggetto residente controlli una società o un ente residente in un territorio a fiscalità privilegiata che, a sua volta, detenga partecipazioni di controllo in società di capitali o enti commerciali residenti in Italia, la disposizione in esame potrebbe “interferire” con le misure adottate dal legislatore in tema di “CFC”. La presunzione di residenza, nel territorio dello Stato dell’entità estera rende inoperabile la disciplina dell’articolo 167 del TUIR, poiché non è possibile imputare al soggetto controllante il reddito che la controllata stessa, residente in Italia, è tenuta a dichiarare già nel territorio dello Stato.

Qualora fosse fornita, con esito positivo per il contribuente, la prova contraria, resa l’applicazione della disciplina, “CFC”, poiché il concetto di residenza non esclude il reddito della controllata estera black list sia comunque nella disponibilità della controllante.

Questo perché, a differenza del fine giuridico della norma in commento, le disposizioni sulle imprese estere controllate rispondono sostanzialmente all’esigenza di contrastare fenomeni di tax deferral, in cui un soggetto residente, rimanendo dominus dell’attività produttiva delocalizzata in un paese a fiscalità privilegiata, possa rinviare sine die la tassazione in Italia degli utili predetti in tali Paesi.

19 Una conseguenza di non scarsa importanza della notifica di un avviso di accertamento sarebbe l’eventuale iscrizione a ruolo provvisoria (parziale) dei tributi relativi, in base alle disposizioni vigenti. Tale inconveniente può essere ovviato dalla richiesta di sospensione cautelare dell’atto impugnato-previa dimostrazione del

periculum in mora e del fumus boni iuris- da formulare alla commissione competente

e dalla richiesta di trattazione urgente del procedimento. 20 Controlled Foreign Companies;

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La normativa dell’articolo 73 del TUIR ha posto alcuni problemi di compatibilità della normativa interna con il tessuto normativo comunitario con particolare riferimento alla così detta “libertà di stabilimento” ed alla definizione sostanzialistica di residenza fornita nell’ambito delle convenzioni contro le doppie imposizioni.

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1.5 LA COMPATIBILITA’ DELLA NORMA CON L’ORDINAMENTO COMUNITARIO E LA CONVENZIONE CONTRO DOPPIE IMPOSIZIONI

Tra le libertà fondamentali previste dall’ordinamento comunitario rientra la libertà di stabilimento delle imprese, che consente a tali entità di “collocare” la propria sede in uno degli Stati membri, in assenza di vincoli o misure restrittive che penalizzano lo spostamento della sede societaria.

La Commissione Europea aveva ritenuto che “nella misura in cui i commi 5-bis, ter e quater dell’art. 73 del TUIR applicano in via generale una presunzione di residenza in Italia nei confronti di società ed enti residenti nell’UE che si trovano in determinate situazioni oggettive ,non necessariamente indice di una direzione effettiva in Italia, obbligano le stesse ad un eccessivo carico di prova (contraria) ai fini di dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero ,tali disposizioni potrebbero costituire un ostacolo all’esercizio delle libertà fondamentali di stabilimento, di circolazione dei lavoratori e dei movimenti di capitali nell’UE”.

In merito al principio di “libertà di stabilimento”, alla base degli artt. 43 e 48 del Trattato CE (ora artt. 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), occorre evidenziare che i confini tra le diverse norme antielusive volte ad evitare la sottrazione di materia imponibile in Italia, mediante l’utilizzo di artificiose realtà imprenditoriali all’estero, sono spesso molto labili e tali disposizioni si pongono in forte contrasto con detto principio.

È fuor di dubbio che la disposizione in argomento potrebbe apparire, almeno prima face, in contrasto con tale principio, poiché inserisce un “ostacolo” normativo o meglio “un onere” alle imprese che” migrano” la propria residenza, anche nell’ambito degli Stati dell’Unione.

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Infatti, è stato osservato come” spostare” sul contribuente l’onere della prova contraria può rivelarsi particolarmente gravoso, soprattutto per particolari tipologie di enti societari.

A titolo esemplificativo, si pensi alle holding, la cui attività di impresa riguarda i c.d. “beni di secondo grado”, ovvero la gestione (generalmente in via prevalente) di partecipazioni. Proprio in funzione della tipologia dell’attività che svolgono, la localizzazione della loro sede è, in linea di massima, sensibile a due fondamentali variabili: il trattamento tributario delle passive income (principale fonte di reddito) ed il più favorevole network convenzionale con numerosi Paesi, diretto a regolamentare i flussi transnazionali di reddito.

La configurazione della residenza fiscale di una holding, alla luce del meccanismo presuntivo, pone non pochi problemi applicativi e interpretativi, in considerazione del fatto che, come detto, l’oggetto sociale, salvo che nel caso di holding miste, è la gestione di beni di secondo grado, caratterizzati dalla loro immaterialità, nonché assenza di fisicità, che è in contrapposizione con il concetto di radicamento con un luogo. Esse, pertanto, presentano un collegamento con il territorio poco marcato, dal momento che fisiologicamente non necessitano di particolari strutture utili all’esercizio della pertinente attività sociale. È evidente che, in un siffatto contesto, il quadro normativo in argomento pone delle “barriere” non facilmente superabili per il contribuente.

Sul punto, tuttavia, occorre rilevare che, secondo la Corte di Giustizia, gli Stati membri possono introdurre misure, anche presuntive, che comportino una restrizione della libertà di stabilimento, alla duplice condizione che dette misure:

 Siano dirette a contrastare costruzioni artificiose, finalizzate ad abusare di tale diritto, eludendo l’applicazione della legislazione nazionale;

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 Siano tali da rispettare il principio di “proporzionalità”, ovvero il c.d. principio dell’utilità marginale: tutto ciò che non risponde al criterio di utilità marginale sfocia nell’eccesso rispetto a quanto necessario per ottenere il prefissato obbiettivo21 e, quindi, è censurabile in ambito

europeo.

In questa prospettiva, a parere della Commissione europea, l’inversione dell’onere della prova avrebbe potuto costituire una misura sproporzionata ed eccessiva rispetto al fine perseguito, in quanto confliggente con il “principio di proporzionalità” più volte affermato dalla Corte di Giustizia, secondo il quale, gli Stati membri devono ricorrere a mezzi che arrechino il minor pregiudizio possibile agli obbiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria.

Ciò detto l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto, argomentandola, la coerenza della presunzione di residenza di cui trattasi con l’indirizzo della Corte di Giustizia.

In particolare, nella circolare in commento, l’Agenzia delle Entrate ha dapprima richiamato l’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia in due, specifici contesti22, da cui si sarebbe evinto il principio secondo cui

gli Stati membri sono liberi di determinare il criterio di collegamento di una società con il territorio dello Stato. Inoltre, qualora fosse latente o potenziale il rischio di evasione fiscale, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare i criteri generali predeterminati, ma devono procedere caso per caso, ad un esame generale dell’operazione, e tale esame deve poter essere oggetto di sindacato giurisdizionale.

21 Il principio di proporzionalità può essere considerato immanente negli ordinamenti giuridici sia di common law che di civil law, tanto da poterlo definire come un” grande principio costituzionale di carattere generale” (cfr in tal senso, Vassalli G., “Diritto penale e giurisprudenza costituzionale “, Napoli, 2006 ).

Costituisce l’alveo nel quale si dipanano i pubblici poteri, tra i quali anche il diritto tributario, e costituisce- nella pratica normativa- un criterio per valutare se l’intervento statale è arbitrario e “parametrato” all’insieme dei diritti soggettivi. 22 Sentenze emesse nell’ambito della Causa C-81/87 e della Causa C-208/00.

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Alla luce di ciò la stessa Amministrazione finanziaria ha affermato che la possibilità di fornire la prova contraria garantisce una valutazione case by case e, quindi, il pieno rispetto del principio di proporzionalità, necessario per mitigare, secondo la Suprema Corte, la portata generale delle disposizioni antielusive.

Per quanto riguarda la compatibilità della norma con le Convenzioni contro le doppie imposizioni, l’ Agenzia delle Entrate ha affermato la piena compatibilità della presunzione di residenza con il regime delle Convenzioni internazionali, richiamando il Commentario al Modello OCSE di Convezione , secondo cui, peraltro, al fine di individuare la sede di direzione effettiva, deve aversi riguardo anche al luogo di svolgimento dell’attività principale ,in linea con un’osservazione formulata in tal senso dall’Italia.

In quest’ambito, è stato sottolineato come le Convenzioni contro le doppie imposizioni non interferiscono con i differenti criteri di collegamento soggettivo che ciascuno Stato seleziona per stabilire la residenza di un soggetto sul proprio territorio, limitandosi a indicare quali elementi e circostanze devono essere, prioritariamente, valutati in ipotesi di doppia residenza.

In definitiva, la “struttura presuntiva” è tale in quanto ammette la prova contraria e, parlando di “struttura”, evidentemente nulla aggiunge ai criteri sostanziali utili ad individuare la sede dell’amministrazione, cui gli accordi internazionali ed il Modello OCSE fanno riferimento.

La norma, quindi, non incide su cosa debba intendersi per place of effective management, che coincide con quanto sancito dal Modello OCSE, bensì mira a “facilitare” l’attività ispettiva attraverso un’innovazione/integrazione procedurale.

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II. CAPITOLO

IL FENOMENO DELL’ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA

2.1 Premessa- 2.2 La sede dell’Amministrazione- 2.3 L’Oggetto sociale

2.1 PREMESSA

Il trasferimento della residenza societaria all’estero, comportamento sempre più diffuso da parte delle imprese del nostro Paese, è conseguenza naturale allo svilupparsi di un mercato moderno globalizzato, ricco di opportunità strategiche ed economiche al di fuori dei confini nazionali.

Le aziende molto spesso non hanno alternative, essendo l’internazionalizzazione scelta obbligata per il mantenimento della competitività e per la sopravvivenza sul lungo termine.

Se detto tipo di motivazione è lecita espressione del diritto di stabilimento, che consente a ciascun soggetto economico di domiciliare la propria attività ove lo ritenga più opportuno, sfruttando le occasioni che ciascun sistema legislativo offre, occorre evidenziare come il legislatore abbia voluto contrastare i trasferimenti non strategici, ma dipendenti da mere ragioni di risparmio fiscale.

L’obiettivo di chi agisce, in questi casi è quello di sottrarsi all’imposizione del nostro paese, giacché ritenuta troppo severa, trasferendosi in Paesi che consentano una tassazione più leggera, incrementando così la remuneratività del reddito prodotto.

Non si possono ignorare, a tal proposito, le evidenti disarmonie che esistono tra i diversi sistemi fiscali, con Stati che applicano aliquote contenute o addirittura non tassano tout court determinati componenti positivi di reddito, al fine di attrarre gli investimenti da parte degli operatori stranieri.

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In tale contesto va letto l’intervento del legislatore, volto a controllare ed arginare i trasferimenti all’estero di Società privi di sostanza economica, al solo fine di eludere il nostro sistema impositivo.

Alla luce di ciò bisogna analizzare nel dettaglio il fenomeno dell’esterovestizione societaria.

Con il termine “Esterovestizione” si intende il tentativo, posto in essere da parte dei soggetti di imposta italiani, di sottrarre alla legge tributaria dello Stato italiano:

- Fonti di reddito, astrattamente imponibili nel territorio dello Stato; - Attività d’impresa, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia; Il problema della corretta individuazione della residenza fiscale (ai sensi dell’art. 73 co.3 e 5 bis del TUIR) può porsi per le società holding di gestione di partecipazioni, la cui attività è necessariamente collegata con il territorio dello Stato in cui sono costituite.

Il fenomeno dell’Esterovestizione può verificarsi nel caso in cui una holding23 sia costituita nel territorio di Stati che prevedono un regime

23 Nell’ambito della configurazione del gruppo la holding ha come finalità la detenzione in portafoglio dei titoli delle società appartenenti al gruppo. La holding definirsi come:

- “pura” (o finanziaria), la holding non svolge alcuna attività industriale e si limita alla gestione delle partecipazioni, al coordinamento delle attività delle società del gruppo ed al loro finanziamento;

- “mista” (o industriale) la holding svolge anche attività industriale. Relativamente alle modalità di controllo sin distingue tra:

- “orizzontali” non esiste una società capogruppo e la direzione unitaria si realizza attraverso accordi tra le imprese:

- “verticali” una società capogruppo acquisisce partecipazioni dirette e indirette in società sussidiarie.

In particolare, la struttura di gruppo “verticale” può realizzarsi attraverso l’acquisizione di partecipazioni dirette e indirette in altre società da parte di una società capogruppo o holding e può configurarsi nei seguenti modi:

- Struttura semplice: controllo diretto da parte della capogruppo su una o più controllate;

- Struttura complessa: controllo diretto da parte della capogruppo sulle

sub-holding ed indiretto sulle società controllate dalle sub-sub-holding;

- Struttura a catena: partecipazioni reciproche detenute dalle società nei limiti di cui agli art.2359-bis, ter, quater, quiquies, e dagli art. 2360 e 2360-bis;

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di esenzione totale delle (eventuali) plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni.

Nel caso di società industriali o commerciali costituite all’estero, mediante la cd. Esterovestizione di attività, solitamente si tende a collocare all’estero, il luogo di produzione del reddito di impresa, onde consentire la sottrazione dello stesso alla potestà impositiva dello Stato italiano.

Le costruzioni di strutture societarie estere possono presentare le seguenti caratteristiche alternative, tutte strettamente connesse al grado di intensità del rapporto intercorrente tra l’iniziativa imprenditoriale e il territorio dello Stato estero:

-allineamento degli elementi formali e sostanziali (cd.”substance and form”): tale caratteristica-propria di società nelle quali “sostanza” e “forma” sono modulate secondo il medesimo registro- è solitamente presente in strutture nelle quali sussiste un forte legame con il territorio dello Stato di localizzazione, accompagnato da un bilanciamento ed equilibrato rispetto del requisito della forma (es. coincidenza della sede legale con quella ove viene perseguito l’oggetto sociale e svolta l’attività di gestione dell’attività d’impresa; adeguata formalizzazione delle decisioni strategiche dell’organo amministrativo e dell’assemblea dei soci);

- assenza di sostanza, in presenza di forma ( cd “ form over substance” ovvero “form without substance”): nelle configurazioni strutturali formate per ragioni di mera convenienza fiscale, spesso si assiste all’assenza dell’elemento sostanziale nel Paese di costituzione della società (es., assenza di qualsiasi voglia organizzazione di uomini e mezzi, astrattamente idonea al perseguimento delle finalità economiche d’impresa),alla quale fa da contraltare l’ineccepibile formalizzazione della vita societaria della legal entity, per lo più

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attraverso l’attività esercitata in outsourcing da società di consulenza locali24.

Ci si riferisce, in particolare, alle holding di mera gestione di partecipazioni in società italiane (cd “holding passive” o “statiche”), che non svolgono alcuna attività economica di particolare rilievo25;

- assenza di forma, in presenza di sostanza (cd. “substance over form”):

per le strutture societarie organizzate in entità commerciali o industriali, localizzate all’ estero con l’effettiva esistenza di nuclei aziendali autonomi più o meno ampi, può non accompagnarsi dalla non presenza dell’elemento formale (assenza di procedure interne riguardanti aspetti rilevanti della vita e scelte dell’impresa).

Ciò accade soprattutto nelle fasi di avvio dell’impresa all’estero (cd. “start-up”) o di espansione della stessa in nuovi mercati, nonché nelle piccole e medie imprese con attività internazionale.

In presenza di attività di impresa condotte in proprio all’estero da società:

24 A tal riguardo, si evidenzia quanto osservato da Assonime nelle Circolare 31/10/2007, n°67, secondo cui si dovrebbe escludere la configurabilità del presupposto della sede di amministrazione nelle ipotesi, invero non infrequenti, di società estere domiciliate presso studi professionali o società di servizi, i quali curano altresì la contabilità e sono designati quali amministratori del socio italiano , ma, sotto il profilo gestionale, si limitano “a svolgere un’attività di replica di decisioni assunte altrove ”. Diverso discorso dovrebbe farsi nell’ipotesi in cui la designazione quali amministratori di professionisti locali sia giustificata dalle specifiche competenze degli stessi: in tal caso, si potrebbe argomentare che l’attività da questi presentata è idonea a radicare la sede dell’amministrazione, rilevando, in particolare, la loro indipendenza rispetto all’organo amministrativo della controllante o la conformità del loro operato agli obiettivi interessi della società.

E’ la stessa amministrazione finanziaria ad osservare che, per le società di servizi che assumono, nei confronti di una pluralità di soggetti, la gestione di società off-shore, “è evidente come le decisioni gestionali effettive promanino comunque dall’azionista

ovvero dall’amministratore effettivo, che provvede di volta in volta a fornire istruzioni alla medesima società di servizi” (Documento ”L’esterovestizione della residenza

fiscale”, in Fisco Oggi- Rivista telematica dell’agenzia delle Entrate del 7 luglio 2003). 25 Cfr. P. Valente “Convenzioni Internazionali”, Milano 2012, solitamente le Holding estere sono formalmente domiciliate presso studi professionali o società di servizi specializzate, i quali provvedono altresì alla regolare tenuta dei libri sociali. In tali casi la sovrabbondanza di forma tende a mascherare l’assenza di sostanza.

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• Effettivamente localizzate nel territorio di uno Stato estero;

• Aventi significativi patrimoni investiti in attività industriali, commerciali o finanziarie effettivamente esercitate nel territorio dello Stato estero;

• Dotate di autonomia gestionale (sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello amministrativo), nonché di autonomia finanziaria e contabile adeguata alla specifica attività d’impresa;

può risultare difficilmente sostenibile la residenza delle predette legal entities nell’ambito del territorio dello Stato italiano.

Secondo la Commissione tributaria provinciale di Roma (Sentenza del 3 febbraio 2014, n°1694/41/14) precisa che vi è abuso di libertà di stabilimento e quindi di Esterovestizione quando “l‘operazione sia meramente artificiosa( wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica”(cioè quando l’indirizzo dell’impresa non corrisponde ad alcuna realtà economica, cioè né alla sede dell’attività economica del soggetto né a un centro di attività stabile dal quale quest’ultimo svolge le operazioni).

Nella stessa direzione si pone la Corte di Cassazione che con la Sentenza del 7 febbraio 2013, n. 2869 ha statuito che l’esterovestizione rientra nel più ampio concetto di “abuso del diritto”.

Per esterovestizione si intende “la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare, in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente di sottrarsi al più gravoso regime nazionale”.

Ai fini della configurazione di un “abuso del diritto di stabilimento” è necessario accertare se l’operazione posta in essere è “meramente artificiosa”.

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