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L’intervento della Commissione e del Consiglio europeo

ANALISI DELL’EVOLUZIONE SOVRANAZIONALE IN TEMA DI TRASFERIMENTO DI RESIDENZA DELLE IMPRESE VERSO

3.10 L’intervento della Commissione e del Consiglio europeo

Si interseca rispetto al ruolo che ha assunto la Corte di Giustizia attraverso le pronunce appena descritte l’intervento della Commissione europea, nel suo ruolo di promotrice della legislazione da adottare.

Essa iniziò ad attivarsi in merito a tale argomento interpellando dapprima il Consiglio, il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale europeo e, in seguito, rivolgendosi ai singoli Stati membri dotati di regimi di exit tax ritenuti lesivi della libertà di stabilimento mediante l’avvio di procedure di infrazione.

Il primo documento è la Comunicazione del 19 dicembre 2006, COM(2006) 825 intitolata “Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri”, nella quale sono stati analizzati i requisiti giuridici contenuti nel Trattato rispetto ai regimi di tassazione in uscita, alla luce delle pronunce relative alle cause de Lasteyrie du Saillant e N, traendo importanti conclusioni non solo in merito alla casistica delle persone fisiche, bensì anche verso gli enti giuridici.

Viene presentata una valutazione generale della tassazione in uscita dove i princìpi a cui la Corte è addivenuta sono da considerarsi di portata generale, nonostante essi scaturiscano da specifici casi di specie riguardanti contribuenti persone fisiche.

Si constata un’estensione degli stessi all’intera platea di contribuenti, includendovi tra questi anche le società.

È l’avvio di un processo di uniformazione rispetto a quelle che sono le regole vigenti dall’8 ottobre 2001 in ambito comunitario per l’istituto della Società Europea, introdotta con il Regolamento n. 2157/2001. A tale figura viene concesso il diritto di trasferire la propria sede in uno Stato membro senza che tale operazione determini la liquidazione

dell’istituto o l’insorgere di una tassazione basata sui plusvalori maturati nel corso dell’esercizio dell’attività.

Lo stesso dicasi per le operazioni di fusione che, così come il trasferimento di residenza, rientrano nel campo della riorganizzazione societaria e i cui effetti, sostanzialmente equivalenti a quelli di un trasferimento, sono stati ampliati alla Società europea e alla Società cooperativa europea con la Direttiva del 17 febbraio 20015, n. 19/CE/2005.

Essenzialmente vengono esposti quattro concetti chiave.

In primo luogo, le disposizioni che prevedono una tassazione immediata restringono la libertà di stabilimento, in quanto introducono un effettuo dissuasivo per coloro i quali intendano stabilirsi in un altro Stato membro, in ragione anche della discriminazione di trattamento che generano sul piano fiscale tra i soggetti che si muovono all’interno dei confini nazionali rispetto a coloro i quali li oltrepassano.

Il riconoscimento di un differimento fiscale su attivi che si spostano da una sede ad un’altra nello stesso ambito territoriale non dovrebbe essere sottoposto ad un trattamento di maggior o minor favore.

In linea generica, l’esigenza manifestata dagli Stati membri nel garantirsi entrate fiscali su plusvalori che hanno avuto maturazione sul territorio nazionale non appare di per sé illegittima, ma lo diventa, e non intitola gli Stati ad assoggettare ad imposizione immediata o ad imporre condizioni per ottenere il differimento, qualora le misure non siano proporzionali rispetto all’obiettivo di una corretta allocazione dei poteri impositivi126.

Secondo, le amministrazioni possono legittimamente calcolare l’ammontare del reddito su cui applicare la tassazione al momento del

trasferimento sulla base di un criterio pro-rata temporis, in quanto questa misura rappresenta uno strumento idoneo a preservare il riconoscimento della potestà impositiva in accordo con il principio di territorialità fiscale affiancato ad un elemento temporale di permanenza nel territorio in cui la base imponibile si è formata.

Terzo, le disposizioni che prevedono la costituzione di una garanzia per ottenere il rinvio del pagamento comportano anch’esse l’introduzione di un effetto restrittivo alla libertà di stabilimento visto che privano il contribuente della disponibilità di una parte del proprio patrimonio, con l’accortezza però che la garanzia del credito fiscale può considerarsi adeguata nella misura in cui essa risulti proporzionata alla finalità per cui essa viene costituita, senza perciò che si configuri alcun abuso.

Al contrario deve considerarsi proporzionale un eventuale obbligo informativo che venga imposto dal legislatore con cadenza periodica, utile al monitoraggio circa la conservazione o l’alienazione degli attivi trasferiti127.

Per ultimo, appare necessario che qualunque variazione di valore, in aumento ma soprattutto in diminuzione, che intervenga nel periodo intercorrente dal trasferimento al momento della realizzazione degli assets, sia preso in considerazione ai fini della determinazione dell’imposta definitiva da liquidare in quanto “il diritto alla libera circolazione non può tradursi nell’imposizione delle plusvalenze per un

127 Precisa la Commissione europea che misure proporzionali possono configurarsi in “dichiarazioni di conferma della mancata cessione di attivi, o […] in una dichiarazione

annuale indicante che la sua stabile organizzazione situata nell’altro Stato membro continua a detenere gli attivi trasferiti, seguita da una dichiarazione al momento della cessione effettiva, o dell’ulteriore trasferimento verso un Paese terzo”. Anche il

semplice scambio di informazioni o l’assistenza nella riscossione tra Stati membri sono misure che vengono incoraggiate e rilevate sotto un’ottica positiva.

importo superiore a quello che sarebbe stato tassabile se il contribuente non avesse trasferito al propria residenza”128.

Nella stessa occasione, la Commissione anticipa di circa quattro anni l’indirizzo a cui la Corte di Giustizia è pervenuta con la sentenza National Grid Indus, o meglio ne fornisce gli spunti di analisi nel punto in cui afferma che “se uno Stato membro intende minimizzare gli oneri amministrativi, potrebbe concedere ai suoi contribuenti la possibilità di rinunciare al recupero differito dell’imposta e di optare per il suo pagamento immediato al trasferimento”.

È forse uno dei punti principali su cui viene focalizzata l’attenzione in quanto per la prima volta viene valutata, in maniera ufficiale, la possibilità di costruire una normativa fondata sulla possibilità di scelta del contribuente, in relazione a valutazioni soggettive proprie, economiche o meno.

La Commissione in tale occasione si è espressa anche in merito alla problematica relativa al fenomeno della doppia imposizione o doppia assenza di imposizione.

Quando la potestà impositiva sul medesimo soggetto, e di conseguenza sulla medesima materia imponibile, si trasferisce da uno Stato all’altro, non è raro il prefigurarsi di due tipologie di scenari: da un lato la situazione in cui entrambi ritengono di avere la facoltà, o meglio il diritto, ad eseguire il prelievo fiscale e dall’altro il caso in cui nessuno dei due Stati interviene in termini tributari, lasciando libero il contribuente da qualsiasi onere.

Le due fattispecie sono strettamente connesse al tipo di valorizzazione che viene seguita per la valutazione degli attivi oggetto del

128 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo, Tassazione in uscita e necessità di

coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri, COM (2006) 825 del 19

trasferimento e alla rinuncia o meno, da parte delle amministrazioni fiscali, al proprio diritto impositivo.

Se all’asset trasferito nel Paese di destinazione viene riconosciuto un valore fiscalmente rilevante pari al valore contabile patrimoniale iscritto originariamente in bilancio, nel caso in cui entrambi gli Stati decidano di esercitare il proprio diritto di imposizione si verificherà una doppia imposizione della plusvalenza generatasi dal confronto dato tra il valore contabile e il valore di mercato o il prezzo di vendita, a seconda del tipo di operazione realizzativa che viene posta in essere. Lo stesso dicasi se il valore d’entrata del bene riconosciuto dovesse risultare inferiore rispetto al valore contabile.

Al contrario, si avrà un salto d’imposta nel caso in cui il valore di entrata nello Stato di arrivo risulti superiore rispetto al valore contabile.

La differenza che si genera in occasione del trasferimento rappresenta un valore che non sarà soggetto ad imposizione in nessuno dei due Stati, valore che inoltre determinerà un effetto a catena nel futuro: ad ogni successiva cessione dell’attivo il valore della plusvalenza risulterà inferiore essendo stata erosa la base imponibile in origine129.

Si tratta di disparità di trattamento che determinano un’interruzione del corretto funzionamento del mercato poiché incidono sulle scelte d’investimento dei soggetti e per tale ragione gli Stati membri

129 Diversa valutazione di uno stesso asset, oltre che a determinare in maniera diretta una differente quantificazione dell’effettiva plusvalenza che si registrerà alla cessione per il tramite della semplice differenza tra valore normale e valore contabile possono determinare effetti ancora più importanti. Basti pensare ai beni soggetti al processo di ammortamento per i quali una valorizzazione superiore porterà al calcolo e all’iscrizione di maggiori quote di ammortamento, con conseguente tassazione di un importo inferiore, non solo da un punto di vista della mera plusvalenza, bensì anche per il reddito di periodo. Lo stesso ragionamento si presenta, al contrario, in occasione del riconoscimento di un valore inferiore. Si tratta di considerazioni di non poco conto essendo essi aspetti dei fenomeni di pianificazione fiscale.

interessati dovrebbero adottare misure idonee ad evitare un duplice onere del contribuente o, al contrario, un salto d’imposta130.

In merito a questo aspetto la Commissione suggerisce una molteplicità di misure alle quali è possibile far ricorso, in ragione del fatto che lo Stato di partenza rinunci o meno all’esercizio della propria potestà impositiva.

Nel primo caso, sarebbe funzionale che lo Stato in cui l’attivo viene trasferito riconosca al bene una valorizzazione pari al valore contabile così come determinato nel Paese di origine, in maniera tale da eliminare ogni possibile salto d’imposta.

Nel secondo caso potrebbe essere efficace il riconoscimento di un credito d’imposta che trovi capienza fino a concorrenza del carico fiscale sopportato nel Paese di destinazione, in maniera tale da vanificare l’onere tributario sopportato con l’imposizione da parte dello Stato di origine.

Sarebbe auspicabile anche un coordinamento tra gli Stati affinché si registri una perfetta coincidenza tra i valori di entrata e di uscita, ossia vengano accettati e riconosciuti i valori contabili o di mercato.

È pur vero però che l’ultima soluzione, basata sul concetto del reciproco riconoscimento presenta alcune problematiche, da un lato perché tuttora i sistemi fiscali sono autonomi e non armonizzati131 e

dall’altro perché potrebbero verificarsi fenomeni di arbitraggio fiscale: i contribuenti infatti cercherebbero di sfruttare le differenze esistenti

130 “La Commissione ha auspicato che i due Stati eventualmente coinvolti in un

trasferimento di sede evitino che la persona (fisica o giuridica) sia penalizzata da disposizioni di carattere fiscale, dato che altrimenti vi sarebbe una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento”, così IANNACCONE, A., La relazione tra valore normale ed exit tax nel caso di trasferimento dell’impresa in Italia: profili di criticità e questioni irrisolte, in Dir. Prat. Trib., 2009, V, pag. 37.

131Si vuol dire che se anche gli Stati dovessero adeguarsi seguendo una stessa impostazione teorica, i risultati in termini di calcolo del valore contabile e del valore normale potrebbero differire da Paese a Paese in ragione dei metodi di valorizzazione applicati. A conferma MIELE, L., Necessità di coordinamento degli Stati membri sulla

nelle valutazioni tra Stati membri per massimizzare le plusvalenze tassate nello Stato membro con l’aliquota più bassa.

Ecco allora che, in alternativa, gli Stati membri potrebbero “continuare a determinare il valore degli attivi secondo le proprie regole, istituendo però una procedura per la risoluzione delle differenze nella valutazione”132, con un meccanismo di funzionamento simile alla

Convenzione d’arbitrato.

Più in generale, si suggerisce la conclusione di accordi tra i Paesi interessati dall’operazione ai fini della suddivisione dei diritti di imposizione in relazione al periodo di residenza.

In ogni caso la cooperazione amministrativa assume un ruolo centrale e decisivo per la concreta e positiva attuazione delle misure.

Si nota come, secondo l’opinione della Commissione, non esista uno specifico strumento deputato ad essere qualificato come migliore e quindi ad essere utilizzato in via esclusiva per il raggiungimento degli obiettivi ricercati, ma nonostante ciò essa si rende disponibile nell’offrire il proprio supporto all’elaborazione di soluzioni coordinate, in particolare in tema di raccomandazioni.

Proposta di collaborazione che non ha mai trovato riscontro concreto nella realtà nel corso degli ultimi nove anni.

A distanza di due anni, sulla scia delle indicazioni di coordinamento formulate dalla Commissione, interviene anche il Consiglio Ecofin con la risoluzione del 2 dicembre 2008, n. 2008/C 323/01.

Con tale documento sono stati approvati alcune guidelines rivolte ai trasferimenti d’impresa transfrontalieri, con il duplice obiettivo di garantire ad ogni Stato la facoltà di strutturare il proprio sistema impositivo in ragione delle necessità di politica interna e di evitare

132 Commissione delle Comunità Europee, 19 dicembre 2012, “Comunicazione della

Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo. Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri”, pag. 8.

fenomeni di doppia imposizione in presenza della realizzazione di un’operazione che vede l’applicazione consecutiva di differenti giurisdizioni fiscali.

La previsione si rivolge ai contribuenti soggetti ad imposta sulle società e alle persone fisiche che esercitano un’attività d’impresa133 e

coinvolge coloro i quali cessano di essere residenti in uno Stato diventando, al tempo stesso, residenti di altro Stato, ovvero coloro i quali trasferiscono una combinazione di attività e passività da una sede o da una stabile organizzazione verso altro Stato.

Con l’intervento in oggetto il Consiglio ha riconosciuto allo Stato di partenza il diritto di esercitare la propria potestà impositiva con la conseguenza che, per evitare successivi fenomeni di doppia imposizione in occasione dell’effettiva realizzazione dei cespiti, lo Stato di destinazione, ai fini del successivo calcolo della plusvalenza, sarà tenuto a considerare quale valore di entrata il valore venale alla data del trasferimento.

Non si esprime però un obbligo posto in capo al Paese di accoglienza poiché nel documento si prevede anche che, nel caso in cui non sia possibile raggiungere un accordo circa la determinazione di un tale valore, gli Stati vengono lasciati liberi nella scelta dello strumento più appropriato ai fini della risoluzione della controversia.

Il valore che viene attribuito all’asset non configura una prerogativa dello Stato di partenza potendo essere lo stesso il prodotto di un accordo tra amministrazioni134.

133 A differenza di quanto avveniva nel precedente documento della Commissione che traeva le proprie considerazioni dalle pronunce della Corte di Giustizia in tema di contribuenti persone fisiche non esercenti attività d’impresa. In tal senso la risoluzione mostra come per le imprese, una previsione di exit taxation sia irrinunciabile.

134 In tal senso SORRENTINO, P., La risoluzione dell’Ecofin sull’exit taxation. Alcune

note sui contenuti e le prospettive delle prime linee guida in materia di coordinamento fiscale tra Stati membri della Ue, in Dir. Prat. Trib. Int., 2009, III, pag.

Come si può notare, la centralità dell’intervento viene focalizzata sulla necessità di costruire un sistema all’interno del quale i Paesi agiscano in maniera coordinata con lo scopo di evitare operazioni che pregiudicano il corretto funzionamento del mercato e per far ciò si prevede che, in favore dello Stato di accoglienza, sia i contribuenti e sia lo Stato di uscita si facciano carico di alcuni oneri.

Nello specifico i primi saranno tenuti a presentare la prova dell’avvenuto, o dell’imminente, esercizio della potestà impositiva da parte dello Stato di uscita, ovvero informazioni circa la costruzione del valore di mercato applicato ai beni trasferiti.

I secondi, invece, dovranno attenersi alle previsioni in tema di reciproca assistenza tra amministrazioni, sia livello informativo che a livello di riscossione dei crediti da imposte.

La previsione rappresenta un importante segno di accoglimento dell’orientamento della Commissione, ma non risulta affatto completa in quanto considera il solo profilo della doppia imposizione, tralasciando i fenomeni di incompatibilità e di doppia assenza di imposizione.

Allo stesso tempo non può essere tralasciata un’importante critica mossa dalla dottrina.

La Risoluzione Ecofin non costituisce in alcuna maniera un impegno vincolante dal punto di vista giuridico, ed è lo stesso documento a chiarirlo.

Nelle considerazioni introduttive, il Consiglio chiarisce che “i principi guida rappresentano un impegno politico […] e lasciano impregiudicati i diritti e gli obblighi degli Stati membri, come pure le rispettive competenze”135.

135 Consiglio dell’Unione Europea, Risoluzione del 2 dicembre 2008, n. 2008/C 323/01, Sul coordinamento in materia di tassazione in uscita.

Non è chiaro il motivo per cui gli Stati vengono lasciati liberi nell’implementazione o meno delle indicazioni fornite, soprattutto alla luce del fatto che una loro adozione coordinata potrebbe evitare possibili contenziosi o aperture di procedure di infrazione.

Proprio su quest’ultimo aspetto si è riflettuto l’operato degli organi comunitari, i quali hanno dato avvio ad una serie di procedure d’infrazione avanzate da parte della Commissione nei confronti di alcuni Stati membri che non avevano aderito all’adeguamento delle norme nazionali in conformità alle indicazioni fornite in ambito comunitario, le quali si occupavano di equiparare la figura della persona fisica e degli enti giuridici.

Anche l’Italia fu interessata da questi procedimenti.

Il nostro Paese presentava una normativa che simulava il realizzo al valore normale dei componenti d’azienda o del complesso aziendale in occasione del trasferimento della residenza di soggetti esercenti attività commerciale, la quale prevedeva come unica causa di sospensione la costituzione di una stabile organizzazione nello Stato di uscita in cui far confluire i beni.

Come si esaminerà nel capitolo dedicato allo studio dell’evoluzione della normativa interna, rappresentava una misura eccessiva e sproporzionata, dotata degli estremi per l’identificazione di una restrizione all’uscita.

Per tale ragione l’Italia, nel corso del 2010, fu uno dei Paesi136

interessati da una procedura d’infrazione, in particolare la n. 4141/2010 nella quale si riteneva che il riconoscimento del diritto alla libertà di stabilimento, previsto dall’art. 49 del T.F.U.E., ed esteso ad opera dell’art. 31 dell’Accordo SEE a tutti i Paesi facenti parte dello

stesso Spazio Economico Europeo137, “verrebbe inficiato dalla disciplina

fiscale italiana applicabile quando un’impresa commerciale trasferisce la propria sede legale o la sede effettiva dall’Italia ad un diverso Stato UE o SEE, ovvero quando la stessa impresa dispone la cessazione dell’attività di una sua organizzazione stabile posta in Italia”.

La tassazione di plusvalenze latenti, combinata al trattamento discriminatorio tra mobilità nazionale e cross-border ha portato la Commissione a ritiene che “la exit tax disincentivi l’espansione delle imprese italiane nel mercato estero in quanto quest’ultima risulta fiscalmente più onerosa rispetto alle ipotesi del trasferimento esclusivamente nell’ambito del territorio italiano”.

Il Governo italiano, il 3 maggio del 2010, presentò alla Commissione le proprie osservazioni nelle quali veniva evidenziata la ragione della costruzione di una tale norma: veniva posto l’accento sul fatto che la disposizione costituisse uno strumento di chiusura del sistema in grado di tassare i maggiori valori generatisi in un momento e in un luogo ai quali l’ordinamento nazionale attribuiva rilevanza fiscale.

Il trasferimento finisce per costituire il momento ultimo al verificarsi del quale è possibile esercitare la propria potestà impositiva, in conformità con quanto indicato anche all’interno della Direttiva n. 90/434/CEE relativa al regime fiscale da applicare alle fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni in cui si afferma il diritto dello

137 All’interno dello Spazio Economico Europeo non trova applicazione il diritto derivato e quindi non trovano applicazione le Direttive che sostengono e promuovono lo scambio d’informazioni così come l’assistenza nella riscossione dei crediti. Si dovrebbe quindi concludere che in mancanza di tali strumenti un eventuale restrizione alla libertà di stabilimento, nonostante essa venga pienamente riconosciuta, potrebbe essere giustificata? In altre parole, l’apposizione di condizioni che considererebbero sproporzionate all’interno della Comunità possono