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Il progetto di ricerca ha previsto due differenti scenari, per tipologia e dimensioni per testare la formula in ogni sua parte ed applicazione. Da un lato uno scenario di tipo idrogeologico, legato al territorio del Comune di Ancona, dall’altro il progetto Life- PRIMES coinvolgente dieci comuni di Emilia Romagna, Marche ed Abruzzo soggetti a rischio idraulico.

La scelta del test apripista è ricaduta sulla zona di Ancona per i seguenti motivi:  la frana di Ancona è un importante caso studio internazionale sotto molteplici

punti di vista: è un fenomeno attivo; interessa una porzione strategica del territorio di Ancona; è strettamente monitorata con sistemi innovativi;

Il caso studio di Ancona ha permesso inoltre di:

 testare la ricerca su un territorio relativamente piccolo;

 testare la formula in un contesto-sistema-comunità in cui le autorità locali hanno da tempo avviato un approccio di tipo adattivo, o se vogliamo resiliente, in linea con le indicazioni internazionali.

5.5.1- Ancona e la sua frana.

La città di Ancona lega parte della sua storia ai numerosi fenomeni franosi che hanno interessato il suo territorio compreso tra la zona collinare del Montagnolo, il quartiere Posatora (nord della città) e la zona costiera. La natura franosa dei luoghi non è stata una scoperta recente. Dall’epoca romana fino ai tempi recenti, non si era mai realizzato un progetto stradale litoraneo in direzione nord, consapevoli dell’instabilità di quel tratto di territorio. Tuttavia, nei secoli queste valutazioni non impedirono almeno la costruzione di insediamenti abitativi, o postazioni di guardia, in quelle porzioni più elevate del territorio denominate Montagnolo o Posatora. Dal IX secolo in poi si ha memoria storica documentata di numerosi episodi di frane a discapito di Ancona e del territorio circostante. In particolare sul finire del ’700, a causa dei sempre più frequenti cedimenti del terreno, iniziarono a manifestarsi in modo sempre più diffuso problematiche di viabilità sulle strade del Montagnolo. A partire dai primi dell’ ’800 la zona iniziò ad essere sempre più urbanizzata, con una forte differenziazione sociale ed economica tra coloro che vivevano entro le mura e le comunità di queste periferirie. La disponibilità di abitazioni economiche, unite alla presenza di un vivace settore artigianale o pre-industriale portarono infatti ad una rapida espansione dell’area nord, caratterizzandosi spesso con edifici popolari di bassa qualità costruttiva. Allo stesso tempo tornò in auge la costruzione di grandi ville in

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collina, per allontantarsi dallo ”stress” della vita in città. Tra il 1812 e il 1858, si verificarono continui dissesti sia nel versante est del Montagnolo, sia dalla zona di Torrette in direzione della città. Il fronte di movimenti era stimato in 3 km. Nelle relazioni dei tecnici dell’epoca fu subito chiara la porzione del territorio interessata dalla grande frana, i meccanismi di attivazione e le caratteristiche di movimento che avrebbe assunto la frana. De Bois nel 1858 scrisse: ”La superfice minacciata del nostro Montagnolo non si limita a piccola estensione; che anzi dietro alcuni calcoli fatti sopra una carta topografica la ritrovo non minore di 2000 tavole censuarie, comprendendo la nascente Borgata di Posatora, molte case coloniche e di delizia, oltre le fornaci ed altre case di pigionamenti lungo la strada litorale.”(Suardi 2002). Nel 1940 in seguito a piogge e nevicate, il movimento franoso riprese, in particolare quello della frana Barducci (dal nome della villa presente nel quartiere di Posatora), causando dissesti a strade, ferrovia, tranvia ed acquedotto. Venticinque anni dopo, tra il mese di marzo 1964 ed aprile 1965, si ebbero cedimenti a monte delle Aziende Chimiche Riunite Angelini sulla statale Flaminia e dalla stazione fino alla frana Barducci. Pochi anno dopo, nel 1972, i cittadini del quartiere di Posatora iniziarono a segnalare la formazione di continue crepe sugli edifici, ed il cedimento di una vasta area verso il mare (Suardi 2002).

5.5.2-La grande frana del 1982.

La notte tra il 12 ed il 13 dicembre 1982 alle ore 22,45, dopo circa 10 giorni di abbondanti piogge, si verificò un grande movimento franoso (180 milioni di m3) che

andò ad interessare una vasta area (pari all’11% dell’intera area urbana) situata a nord-ovest del promontorio anconetano. In sei ore la frana si mosse nella zona compresa tra la collina del Montagnolo ed il mare, per una lunghezza di circa 2 km di costa ed un’estensione di circa 220 ettari (Catani et al. 2012). Il movimento franoso colpì duramente la città, rendendo inagibili centinaia di case e richiedendo l’evacuazione immediata di due ospedali ed una casa di riposo. Il mattino seguente apparvero più chiare le dimensioni del disastro: 1071 le famiglie sfollate, per un totale di 3661 persone. Di queste 2500 non potereno più tornare nelle loro case. Gli edifici rimasti lesionati furono 865, l'80% dei quali dichiarati irrecuperabili: due interi quartieri erano andati completamente distrutti. Crollò anche parte dell’ospedale oncologico e della facoltà di medicina, 3 industrie, 31 laboratori, 42 negozi (Catani et al. 2012). La frana aveva inoltre interrotto le condotte del gas metano e dell’acqua che alimentavano la città. I binari della linea Ancona-Bologna e la statale 16 furono trascinate verso il mare, con pesanti ripercussioni per l’intera comunità anconetana. I

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giornali dell’epoca parlarono di un disastro annunciato, in cui deformazioni evidenti del terreno, scricchiolii nelle abitazioni ed aumento della permeabilità dei terreni furono all’epoca troppo rapidamente liquidati come ”cronici”, nonostante l’area fosse storicamente soggetta fin dall’antichità a fenomeni franosi.

foto: fonte Comune di Ancona

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5.5.3- Gli interventi per la gestione post-emergenziale.

Dal punto di vista tecnico, una prima stabilizzazione del versante si ebbe con interventi mirati, volti ad abbassare la falda; bloccare al piede la frana per impedirne il basculamento; drenare la frana con trincee e pozzi, mentre dal punto di vista normativo la legge regionale n.41 del 26.12.83 definì la concessione delle provvidenze a favore delle popolazioni colpite, indicando l’area rossa non più abitabile o edificabile. Fu invece abbandonata l’idea di grandi opere di contenimento e stabilizzazione, a causa degli elevatissimi costi (60 milioni di €) e relativi scarse possibilità d’arresto per un fenomeno dalle dimensioni imponenti. Non potendo quindi impedire il corso naturale del fenomeno si decise di convivere con esso adottando opportune strategie di monitoraggio continuo ad un costo di soli 3 milioni di euro. Nel 2002 la regione Marche assegnò al comune di Ancona la responsabilità di creare un sistema di Allerta Precoce ed il relativo Piano d’Emegenza, per la popolazione residente nell’area di frana

(L.R. n.5 del 3 aprile), introducendo il concetto di ”abiltabilità monitorata”(Catani et al. 2012). Ciò permise ai cittadini del luogo di potervi resiedere in relativa sicurezza, grazie alla presenza di un sofisticato sistema di monitoraggio ed allarme.

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5.5.4 – Risultati finali: le soglie territoriali.

Comune di Ancona

Regione Marche Provincia Ancona

Coordinate 43.604397 N 13.477917 E

Quota 16 m Kmq 124,84 abitanti 100.861