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Il nominativo pro vocativo in ittita

4.4. Strutture peculiari dell’ittita

4.4.1 Casus absolutus

Si è visto come il puro tema corrisponda formalmente al vocativo comune singolare (eccetto per i pochi temi che ricorrono alla desinenza), nonché al nominativo comune singolare dei temi in -l e in -r, e al nominativo-vocativo neutro singolare.

Più in generale, il tema puro è attestato frequentemente in testi accadici o in testi ittiti in cui un nome proprio segue un accadogramma o un sumerogramma (ad esempio, DUMU IMurši-li StBoT 24, Vs. I 2)276.

Esso, tuttavia, viene usato anche per introdurre un nuovo nome proprio nella narrazione. Si osservino i seguenti esempi:

1)mTuttu ŠUM-ŠU

Tuttu.ABS. nome-suo ‘Tuttu è (era) il suo nome’277;

2) MUNUS-aš ŠUM⸗šet fŠintalimeni

Donna.NOM. nome-suo.POSS.NOM.n. Sintalimeni.ABS.

‘(C’era) una donna, il suo nome era Šintalimeni’ (KUB 33.121 II 5);

3) URU-aš ŠUM-an⸗šet UR[UŠ]udul

Città.NOM. nome.NOM.n.-suo POSS.NOM.n. Šudul.ABS ‘(C’era) una città, il suo nome era Šudul’

(KUB 24.8 I 7);

4) nu⸗kan šer LÚ-aš mAppu

e-Part.LOC. lassù.AVV. uomo.NOM. Appu.ABS.

ŠUM-an⸗šet

276

Francia (2013: 108); Güterbock (1945: 249).

277

nome.NOM.n.-suo.POSS.NOM.n.

‘E lassù (c’era) un uomo, Appu (era) il suo nome’ (KUB 14.8+ I 9–10) 278;

5)DUllikummi ŠUM-an ešdu

Ullikummi.ABS. nome.NOM.n. essere.IMP.3SG. ‘Che Ullikummi sia il nome!’

(KUB 33. 93 III 29);

6) nu⸗šši [šanez]zi lamanḪUL-lu

e-egli.encl.DAT dolce-ACC.n. nome.ACC.n. Cattivo.ABS

daiš

porre.IND.PRET.3SG.

‘Ed egli pose su di lui il dolce nome di Cattivo’ (KUB 34. 8 III 7);

7) nu⸗šši[⸗ššanḪUL-l]u ŠUM-an

e-egli.encl.DAT SING.-Part. Cattivo.ABS. nome.NOM.n.

ešdu

essere.IMP.3SG.

‘Che Cattivo sia il suo nome!’ (KUB 34. 8 III 10);

8) nu⸗šši⸗kan NÍG.SI.SÁ-an ŠUM-an

e-egli.encl.DAT.SING.-Part.LOC. Giusto.ABS. nome.ACC.n.

daiš[…]-šan NÍG. SI. SÁ-an ŠUM-an

porre.IND.PRET.3SG[…]-Part. Giusto.ABS. nome.ACC.n.

ḫalzeššandu

chiamare.IMP.3PL.

‘Ed egli pose su di lui il nome Giusto (dicendo): «chiamiamo il suo nome Giusto”»’ (KUB 34. 8 III 13);

278

9) NÍG.SI.SÁ-an ŠUM-an ešdu

Giusto.ABS. nome.NOM.n. essere.IMP.3SG.

‘Che Giusto sia il nome!’ (KUB 34. 8 III 16)279.

A questo particolare impiego del puro tema, peculiare dell’ittita, sono state attribuite diverse denominazioni e motivazioni.

Güterbock, ad esempio, parla di «absolute form (for names introduced into the story or bestowes on a child)»280, spiegandone la ricorrenza nei testi accadici come una convenzione adottata dagli scribi ittiti per riprodurre un nome proprio in un’altra lingua.

Luraghi e Hoffner-Melchert si limitano a riportare il fatto che le forme radicali in questione si trovino nelle cosiddette naming construction, caratterizzate dalla struttura “X è il suo nome”281.

Stefanini, a partire dalla denominazione di cas absolu, introdotta da Laroche (1969), si avvicina alla tesi di Güterbock e ritiene tali forme «forme rigide e invariabili, coincidenti quasi sempre con i rispettivi temi onomastici, tipiche della cosiddetta grafia accadizzante»282.

Diversamente, Hahn afferma che alcuni nomi, generalmente tradotti come nomi propri nelle naming construction, rappresentino piuttosto, a livello morfologico, degli aggettivi neutri al nominativo-accusativo accordati con il sostantivo neutro laman o ŠUM-an ‘nome’ e non forme radicali283: una frase come NÍG.SI.SÁ-an ŠUM-an (es. 9) andrebbe pertanto tradotta come ‘un buon nome’, ‘un giusto nome’; la studiosa aggiunge, poi, che «the only declension that has an inflectional ending for the nominative-accusative neuter

279 Esempi 5-9 tratti da Güterbock (1945: 250). Güterbock giustifica il nome proprio uscente in -

an dei casi 8-9, come una forma radicale di un tema in -nt-.

280

Güterbock (1945: 250).

281

Luraghi (1997: 18), tuttavia, le distingue dalle forme di vocativo («The discovery of forms with a specific ending for the vocative has made it possible to distinguish occurrences of true vocative from occurrences of the bare stem in naming constructions») mentre Hoffner e Melchert (2008: 244) le ritengono forme vocativali con una funzione diversa dai vocativi canonici («Also exhibiting the form of the bare stem […], but not serving the purpose of direct address, is the form used for the introduction of new names»).

282

Stefanini (1974: 41-42).

283

is that of the -a stems […], where we find -an»284. Proprio a partire da ciò Neu si oppone ad Hahn, citando i casi in cui il nome proprio di un tema in -a ricorre con l’uscita -a e non -an, nello stesso tipo di costruzione, come, ad esempio,fNi-ṷa ŠUM-ŠU285.

Per giustificare le forme in -a che avversano la tesi di Hahn e dimostrare che esse sono effettivamente di genere neutro, Eichner286 ritiene che tale desinenza sia propria del neutro plurale e che, in virtù del suo originario valore collettivo, possa trovarsi anche al singolare. Secondo lo studioso, inoltre, si sarebbe verificata un’attrazione di genere, causata dal sostantivo ittita per ‘nome’, che avrebbe reso neutro il nome proprio.

Nonostante tale argomentazione, Neu contesta, con un lungo trattato sull’argomento, sia la tesi di Hahn sia quella di Eichner, considerate spiegazioni ad hoc e, prima di esporre la sua tesi, passa in rassegna quanto detto da Neumann e da Laroche.

Il primo sosteneva che le forme radicali dei nomi propri fossero dei vocativi con funzione di nominazione, dunque degli effettivi vocativi usati in luogo di un nominativo. Per distinguerli dai vocativi canonici con funzione di appello, lo studioso introdusse la categoria del vocativus commemorativus, che identificava i vocativi in questo particolare uso287. Laroche, invece, non vedeva in queste forme dei vocativi ma attribuiva loro l’etichetta di cas absolu, «un cas absolu nominal, identique au thème flexionnel; ce cas sert à désigner une personne hors de toute construction syntaxique: c’est proprement un “nominatif”» 288.

Neu si prefigge di risolvere la questione considerando i temi nominali come forme residuali di un casus indefinitus289, equivalente nominale dell’ingiuntivo, postulato per l’indoeuropeo e precedente alla formazione del sistema dei casi nelle singole lingue. Dallo stesso caso indefinito si sarebbero poi sviluppati sia il vocativo, specializzandosi nella funzione di appello, sia il commemorativus – entrato anch’esso nel sistema senza però assumere le normali desinenze di caso –, privo della funzione di appello.

284 Hahn (1969: 36). 285 Neu (1979: 180). 286 Eichner (1975: 51-52).

287 «Man könnte erwägen, den heth. Kasus mit Null-Morphem als “Vocativus-Commemorativus”

oder ähnlich zu bezeichnen, um seine gelegentliche Zweitfunktion auch terminologisch anzudeuten» Neumann (1976: 313).

288

Laroche (1969: 173).

289

L’argomentazione di Neu potrebbe risolvere il problema per cui i temi puri non siano identificabili formalmente né con i vocativi né con i nominativi ma, poiché un tale uso delle forme in questione non trova riscontro in altre lingue indoeuropee, la sua tesi rimane altamente speculativa.

L’unicità delle suddette forme radicali, considerate in sincronia, risiede nel fatto che non esprimono una funzione allocutiva, diversamente da un vocativo canonico. Allo stesso tempo, pur svolgendo una funzione molto più vicina al nominativo, sono prive della desinenza di quest’ultimo. Morfologicamente, tuttavia, non sono sempre identificabili con le forme di vocativo: i temi in -u, ad esempio, mostrano ugualmente il puro tema nonostante possiedano un vocativo con desinenze specifiche.

Il dato interessante, in questi contesti esclusivamente predicativi, va visto piuttosto nel fatto che il nominativo, caso funzionalmente non marcato, impiegato come default in funzione non argomentale, venga qui sostituito da una forma ancora meno marcata; alla non marcatezza funzionale, infatti, si somma la non marcatezza morfologica, trattandosi di forme pure a desinenza zero, che non possiedono, dunque, le marche morfologiche proprie del nominativo e del vocativo.