Il nominativo pro vocativo in greco e in latino
35) ὦ φίλος (N), εἰπέ ‘O amico, dimmi’
3.4 Il mancato accordo e la Conjunction Reduction
Il mancato accordo, da un lato, e la sostituzione riguardante un singolo nominale, dall’altro, risultano essere le due macrocategorie in cui il fenomeno in esame è distinguibile.
Il mancato accordo può verificarsi sia all’interno di un unico sintagma nominale tra una testa e un modificatore, sia in sintagmi nominali diversi, posti in costrutti sequenziali coordinati per asindeto (SN coreferenti in sequenze appositive) o per polisindeto (SN non coreferenti, uniti dalla congiunzione coordinante).
Alcuni tra i primi tentativi di spiegazione dell’assenza di accordo prendono avvio dalle sequenze allocutive coordinate dalla congiunzione *kwe (cfr. §3.3.4).
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Schwyzer (1950: 62): «Jahrhundert erscheinen Städtnamen im Vokativ, gewöhnlich in der Nominativform».
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Schwyzer (1950: 64): «Nur selten ist wirklicher Nom für Vok. Auch bei Wörtern, die gewöhnlich einen Vokativ bilden».
3.4.1 Tesi di Gonda
Gonda considera la particella *kwe come un mezzo per indicare un’unità complementare e attribuisce a essa uno specifico valore semantico: «*kwe was essentially a marker pointing to, or emphasizing, the fact that two (or more) elements of the same category (nouns, verbs, word groups etc.) were not only regarded as belonging together, but constituted a complementary pair (or set)»211. Un simile significato di complementarità viene espresso dal duale ellittico, una speciale forma di duale, indicante un solo membro di una coppia, usata però per riferirsi a entrambi.
L’uso del duale ellittico sarebbe riconducibile all’indoeuropeo preistorico ricostruito, come testimoniano ad es. il vedico pitarā ‘padre e madre’, mitrā ‘Mitra e Varuṇa’, dyāvā ‘cielo e terra’, ma anche il greco Αἴαντε per i fratelli Aiace e Teucro, figli di Telamone.
Gonda (1956: 92 e segg) avanza l’ipotesi secondo cui nelle sequenze coordinate dove si alternano vocativo e nominativo, il vocativo avrebbe analogamente un valore ellittico, potendo denotare la persona in questione insieme al suo compagno, il cui nome non necessiterebbe perciò della forma di caso dedicato all’allocuzione: la presenza della congiunzione permetterebbe così di evitare un’“ipercaratterizzazione” (Übercharakterisierung212).
3.4.2 Tesi di Melazzo
In uno studio specifico sulle sequenze coordinate, Melazzo osserva che non sono le caratteristiche semantiche della congiunzione a bloccarne la possibilità di occorrere nella coordinazione di due (o più) vocativi. Non si spiegherebbero altrimenti le numerose sequenze di soli vocativi, che trovano riscontro in greco e in avestico213. Le sequenze di vocativo + nominativo risulterebbero piuttosto «da una coordinazione di frasi, in modo
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Gonda (1956: 91).
212 Horn (1921: 54); Fraenkel (1923: 415). Già Havers (1927:103) aveva spiegato tali costruzioni
con la tendenza della lingua a evitare l’ipercaratterizzazione. Nello studio di Gonda (1956: 63) si aggiunge che tale tendenza sarebbe incentivata, in questi casi, dal valore semantico della congiunzione.
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da costituire, all’interno di strutture concretamente definibili come collegate, un congiunto di cui una parte considerevole era percepita come omessa e nondimeno integralmente presente sul piano del significato»214.
Il fenomeno in esame dovrebbe essere ricondotto a un procedimento sintattico di riduzione di frase, per cui, alla base di vā́yav (V) índraś (N) ca cetathaḥ (RV I 2, 5), – interpretabile complessivamente come ‘o Vayu, e (pure) Indra, prestate (voi due) attenzione’ – vi sarebbero due strutture soggiacenti che dimostrerebbero come solo una delle due entità verrebbe effettivamente invocata:
vā́yau ca cetathaḥ
‘O Vayu, prestate (voi due) attenzione’;
índraś ca cetatu
‘e Indra presti attenzione’215.
I due vocativi nel caso di Αἶαν Ἰδομενεῦ τε (Il., 23, 493), invece, sarebbero giustificati dal contesto: «Achille non è certo portato a considerare i due contendenti come interlocutori da poter esortare in coppia. Proprio il contrasto che li divide, invece, lo induce a spronarli a smettere una condotta che la particolarità del momento rende ancora più sconveniente, indirizzando le sue parole a ciascuno dei due singolarmente preso e perciò nominato con la forma propria dell’appello diretto»216.
La proposta di risoluzione del problema attraverso una coordinazione di frasi soggiacenti, solo in determinati contesti, richiama le tesi dei grammatici antichi che, per giustificare il mancato accordo, ricorrevano all’attribuzione di un valore predicativo all’elemento in forma nominativale (vā́yav (V) índraś (N) ca cetathaḥ = ‘O Vayu e (tu che sei) Indra’, RV. 1, 2, 5).
214 Melazzo (1997: 148). 215 Melazzo (1997: 148-149). 216 Melazzo (1977: 146).
3.4.3 Tesi di Kiparsky e considerazioni conclusive
Un’altra spiegazione di natura sintattica tiene conto di un principio di economia per cui il ruolo morfo-sintattico di due lessemi tra loro coordinati viene codificato soltanto da uno di questi.
Kiparsky (1968: 30, 34; 2005: 5) definisce questo principio con il nome di Conjunction
Reduction217 (d’ora in poi CR), riscontrandolo in particolare nelle sequenze di ingiuntivo vedico coordinato paratatticamente con altre forme verbali specificate per tempo e per modo; queste ultime sarebbero da sole sufficienti all’indicazione di specifiche categorie verbali e l’ingiuntivo rappresenterebbe la forma non marcata. Kiparsky estende il discorso anche all’ambito nominale e riconduce all’azione della CR anche sequenze di due nomi coordinati, nell’ordine vocativo-nominativo (1968: 54-55). I casi in cui il nominativo precede il vocativo vengono invece fatti rientrare tra le eccezioni, in quanto la CR, a detta dello studioso, non opera regressivamente: dalla struttura canonica del vedico, Vocativo-
Nominativo + ca, il nominativo si sarebbe spostato occasionalmente, in poesia, in prima
posizione, trascinando con sé anche la congiunzione coordinante: è per questo che, in vedico, i suddetti casi, ritenuti anomali, mostrerebbero l’enclitica -ca tra i nomi collegati paratatticamente e non dopo l’ultimo SN. In greco, tuttavia, diversamente dal vedico, non sono pochi gli esempi che rientrerebbero tra le eccezioni, sia per l’ordine delle forme di caso sia per la posizione delle congiunzioni.
Se si considera, però, la CR come un fenomeno di economia linguistica per cui è sufficiente la presenza di un solo elemento marcato, tutti gli altri membri potendo comparire come non marcati, è ragionevole supporre che il principio che ne è alla base possa riguardare qualsiasi caso di mancato accordo, a prescindere dalla posizione del membro marcato rispetto a quello non marcato. Alcune proposte di estensione del raggio di azione della CR sono già state presentate nel lavoro di Donati (2009: 163), relativamente alle occorrenze di mancato accordo tra più SN coreferenti in Plauto, coordinati per asindeto218. De Angelis (c. p.) ritiene che si possa parlare di CR anche per
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Kiparsky (1968: 30, 34; 2005: 5). A tal riguardo, si vedano anche De Angelis (1999; 2000); Lazzeroni (1985; 2017).
218
Cfr., ad esempio, Pl. As., 664-665, da, meus ocellus, mea rosa, mi anime, mea uoluptas,
i casi di mancato accordo tra testa e modificatore nello stesso SN, ponendosi sulla scia di Havers (1927: 104, 109) e Gonda (1956: 93, 98), che avevano già gettato le basi per estendere un tale processo di economia sintattica al di fuori delle sole sequenze di sintagmi coordinati per polisindeto: il mancato accordo nel SN, così come tra più SN coreferenti in strutture appositive sarebbe, secondo i due studiosi, una strategia altrettanto significativa per evitare l’ipercaratterizzazione, ovvero una ridondanza morfologica superflua, qualora l’assegnazione del caso sia già codificata dalla testa.
Entrambi gli studiosi avevano individuato il punto centrale della questione: una sola forma di vocativo è sufficiente a garantire la funzione allocutiva. La ripetizione dello stesso caso in una qualsiasi sequenza può essere evitata usando il caso dedicato una sola volta e ricorrendo al caso non marcato per i restanti componenti del sintagma o della frase.