Nominativo e vocativo: tratti inerenti e tratti comun
2.3 Il vocativo nel dibattito moderno
Dopo aver ripercorso le tappe fondamentali della storia dei due casi, dalle origini fino alla loro definitiva affermazione, si osserverà come il dibattito sullo status del vocativo e sui suoi legami con il nominativo si sia protratto fino ai tempi più recenti.
Nelle canoniche descrizioni degli usi dei casi delle grammatiche tradizionali si è continuato a mettere in rilievo la sua particolarità, legata in primis alla mancata integrazione sintattica all’interno della frase.
- Apollonio (De Constr. 4, 46 = G.L. II, 2, p. 472, 3-9), «I nominativi, accordandosi con i verbi per quanto riguarda la persona che è identica, non tollerano la costruzione con preposizione, sibbene la composizione (con essa), a causa della loro congruenza con il verbo […]; del pari il vocativo non tollera tale costruzione con preposizione a causa della congruenza con il verbo; i restanti casi, invece, l’accettano per il motivo che si sottraggono alla congruenza con il verbo» (trad. Belardi-Cipriano 1990: 145).
146
Cfr. Apollonio (G.G. II, I, p. 102, 4 e segg.); Cledonio (G.L. V, p. 44, 6); Comm. Einsiedlense (G.L. VIII, p. 243, 20).
147 Omnia autem pronomina, quae vocari possunt, similem habent nominativo vocativum excepto
mi pro mee. Nec mirum, cum etiam nomina pleraque apud Latinos, ut diximus, eosdem habent nominativos et vocativos. Atticis quoque mos est nominativos pro vocativis proferre […] Macedones autem et Thessali e contrario vocativos solebant pro nominativis proferre […] (Prisciano G.L. III, p. 207, 30; 208, 22).
In tali descrizioni, tuttavia, ci si limita a semplici constatazioni148, sottolineando, sul modello dei grammatici greci e latini, come il vocativo costituisca una frase autonoma149 e come non intrattenga una relazione con gli altri costituenti frasali150.
Successivamente, il tema dell’extrasintatticità è stato ripreso e sviluppato anche da molti studiosi moderni, nei cui lavori la funzione di appello viene indagata in lingue prevalentemente moderne che non presentano una forma dedicata di vocativo e, dunque, l’etichetta di “vocativo” è impiegata per riferirsi alla funzione sintattico-pragmatica e non alla morfologia del nome. Ai fini di una descrizione del vocativo da un punto di vista funzionale, si riporteranno anche le loro considerazioni, nonostante, secondo la presente impostazione, si condivida l’opinione, felicemente espressa da Stifter (2013: 46), per cui «All vocatives are by their nature forms of address, but the reverse is not true, not all forms of address are morphologically marked vocatives».
Zwicky (1974: 787), ad esempio, definisce i sintagmi nominali con funzione vocativale – distinguendoli da quelli a funzione referenziale – come sintagmi posti al di fuori della frase in cui ricorrono, che non fungono da argomenti del verbo: «a vocative in English is set off from the sentence it occurs in by special intonation […] and it doesn’t serve as an argument of a verb in this sentence».
Anche Levinson (1983: 71) evidenzia come i sintagmi vocativali non siano argomenti del predicato: «Vocatives are noun phrases that refer to the addressee, but are not syntactically or semantically incorporated as the arguments of a predicate; they are rather set apart prosodically from the body of a sentence that may accompany them».
148
Kühner-Gerth (1898: 47): «Syntaktische Wichtigkeit hat der Vokativ nicht».
149
Brugmann-Thumb (1913: 430): «Der Vok. stand, als Ausruf ein Satz für sich, außer syntaktischer Beziehung zu einem andern Satz»; Gildersleeve (1980: 5): «The vocative (the case of direct address) is not affected by the structure of the sentence, and does not enter as an element into syntax, except in the matter of concord».
150 Blatt (1952: 72): «Comme il n’indique pas de relation entre un mot et d’autres mots et qu’il
forme au point de vue du sens un tout complet, il occupe une position à part dans, ou plutôt en dehors du système des cas»; Serbat (1996: 87): «Dans la phrase, le V et les autres cas n’ont pas un rôle de même nature; le V n’entre pas dans la «charpente phrastique», il n’entretient pas de relations syntaxiques avec un constituant quelconque de l’énoncé».
Blake sottolinea come i vocativi non rientrino nella sua definizione di caso151, poiché non marcano relazioni di dipendenza rispetto a una testa152; sulla stessa scia, Daniel e Spencer (2009: 633) affermano: «the vocative is often considered “extragrammatical”, because it doesn’t serve to express a grammatical relation (verb argument or verb/noun modifier). However, occasionally it is integrated into the agreement system, especially with possessive adjectives, as in Georgian and Latin».
Un concetto analogo è ripreso in un recente studio di Janson (2013: 220) che si sofferma sulla differenza tra il vocativo e gli altri casi: «The other case forms, such as nominative, accusative and dative forms, mark relations within the sentence, and that has always been regarded as the basic function of case. Vocative forms do not do that».
Fink (1972) torna invece a parlare del tratto della seconda persona, riallacciandosi ad un tema molto comune nell’antichità (§2.2.4). Egli definisce il vocativo come «a second- person form which is indeclinable for case»153, che esprime, cioè, la persona e il numero ma non la funzione sintattica. Si può combinare, infatti, con qualsiasi altro caso, dal momento che si trova effettivamente fuori dal sistema. In questo modo il vocativo amice può anche essere considerato “nominativo di seconda persona” in relazione ad amicus, “nominativo di prima e terza”, o come dativo di seconda persona relativamente ad amico, “dativo di prima e terza”, e così via.
Vairel (1981) offre nuovi spunti di riflessione a partire dalla definizione di Fink e contribuisce a una determinazione del vocativo più accurata, rilevando due tratti propri del caso in questione: il fatto che abbia a che fare con il referente del nome in quanto persona reale o presumibilmente reale154 e la possibilità di marcare il ruolo del partecipante nell’atto del discorso anziché le relazioni sintattiche tra i costituenti della frase.
151
«Case is a system of marking dependent nouns for the type of relationship they bear to their heads» (Blake 2004: 1).
152
Blake (2004: 8): «Vocatives do not appear as dependents in constructions, but rather they stand outside constructions or are inserted parenthetically […] They are unlike other cases in that they do not mark the relation of dependents to heads».
153
Fink (1979: 65).
154
«The vocative deals with the referent of the noun, i.e., a particular person who is real or supposedly real, whereas the other cases deal with nouns as linguistic items, with no regard to their referents» (Vairel 1981: 440).
La studiosa sostiene poi che il vocativo sia un caso da un punto di vista morfologico ma non da quello sintattico; non indica la funzione svolta dal nome nella frase, ossia la posizione che occupa nella struttura sintattica e, dunque, non può rivestire i ruoli di qualsiasi altro caso, come Fink riteneva.
La questione di fondo risiede nel fatto che il vocativo, inteso come forma modificata del nome, secondo la concezione stoica di πτῶσις, vada considerato un caso a tutti gli effetti a livello morfologico, se pure a livello funzionale (ovvero a livello sintattico) non si comporti come un caso tradizionale.
Donati (2009: 106) compie un passo avanti nella risoluzione del problema, sottolineando come sia fondamentale separare i due livelli utilizzando un approccio modulare e giunge alla formulazione di una vera e propria teoria del vocativo, definito funzionalmente come un commutatore di referenzialità. Appoggiandosi alle riflessioni dei grammatici latini e greci, la studiosa giunge alla seguente conclusione: «il vocativo è dunque definibile come un dispositivo, altamente grammaticalizzato, di trasformazione
della referenzialità nominale in referenzialità (almeno parzialmente) deittica»155. Nell’interpretazione di Donati, il vocativo è considerato un fenomeno della deissi, a sua volta descritta come un particolare metodo della referenza, che permette di interpretare quest’ultima esclusivamente tramite il contesto. La funzione del vocativo, pertanto, sarebbe quella di un commutatore di referenzialità: inserendo una variabile contestuale nell’atto dialogico, trasformerebbe la referenzialità nominale in referenzialità deittica156. Da questo ampio quadro si evince come, nel trattare del vocativo, sia importante separare i vari livelli in cui può essere descritto, poiché il vocativo si colloca a metà tra sistema e uso. Lo stesso appello a un approccio modulare viene riproposto da Noel Aziz Hanna e Sonnenhauser: «Vocatives need to be seen as phenomena which cannot be assigned to only one linguistic subsystem, and thus also challenge modular conceptions of language structure. […] They are not just performance phenomena, since they can be morphologically, prosodically, and syntactically encoded; the interaction of linguistic subsystems by which vocatives are signalled is language-specific»157.
155
Donati (2009: 119).
156
Donati (2009: 123-124).
157