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Catalogazione sociale e qualificazione capitaneale (1205, 1210, 1211 e 1220)

CAP III GOVERNO VESCOVILE, COMMUNITAS CITTADINA, POLITICA FEUDALE E QUALIFICA-

13. Catalogazione sociale e qualificazione capitaneale (1205, 1210, 1211 e 1220)

La qualifica capitaneale, dopo le prime attestazioni relative al canonico Odolrico, riappare solo nel primo decennio del secolo seguente, attribuita ad un gruppo indeterminato, così contraddistin- to in alcuni atti che, nell’intento di coinvolgere tutta la società

nimo che appare per la prima volta presente, con numerosi confratelli, all’atto con cui il vescovo Altemanno dona la pieve di Appiano al capitolo: ibidem, I, n. 230, 1147 novembre 20, Trento.

(425) La catalogazione mediante una qualifica ‘feudale’ o assimilata di un intero ceto può sussistere in modo ‘sommerso’, senza che la percezione generaliz- zata della qualifica traspaia dalla documentazione tradizionale: Castagnetti,

Feudalità e società comunale, II, cit., par. 4; Castagnetti, Da Verona cit., pp. 369-

370.

(426) Cfr. sotto, par. 9 di cap. IV.

mo Odolrico viene designato quale capitaneus e canonicus, quando nel 1182 è chiamato in Verona a testimoniare in merito a una contro- versia tra le chiese vescovili di Trento e di Coira per le chiese S. Giovanni in Tirolo e di S. Martino in Passiria (418), controversia il cui giudizio era stato affidato dal pontefice Lucio III al vescovo Ognibene di Verona (419). Se un dubbio poteva forse rimanere per il significato feudale della qualifica – ad esempio, attribuire ad essa un significato di soprannome –,esso è fugato dalla precisa espressione impiegata dal notaio Pietro, presumibilmente veronese (420) e quindi ben conoscitore di capitanei e famiglie capitaneali (421).

La qualificazione di un canonico con una titolazione feudale, indubbiamente la sola a nostra conoscenza, può essere accostata a quella di un canonico appartenente ad una famiglia comitale: il conte Egenone di Appiano, canonico, viene a volte definito conte prima che canonico (422); altre volte, attore in atti privati, egli appare qualificato solo come conte (423).

Poiché del canonico Odolrico conosciamo poco altro (424),

(418) Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., n. 406, 1182 giugno 25, Verona; Santifaller, Urkunden n. 5. Sulle due chiese soggette al capitolo dei canonici, cfr. Curzel, Le pievi trentine cit., p. 50.

(419) Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, reg. n. 405*, ante 25 giugno 1182. (420) Pietro non compare nell’elenco dei notai trentini in Huter, Tiroler

Urkundenbuch cit., I, p. 382.

(421) Sui capitanei veronesi Castagnetti, Fra i vassalli cit., pp. 63-102. (422) Kink, Codex Wangianus cit., n. 21, 1185 maggio 5, ad vadum Salxedi verso Metz, e reg. Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, n. 423; Bonelli, Notizie

istorico-critiche cit., II, n. 56, 1189 aprile 20, riedito in Kink, Codex Wangianus

cit., n. 33, e in Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, n. 449. In altra occasione, quando il padre suo conte Federico compie con i figli un atto rilevante (ibidem, I, n. 398, 1181 maggio 31, presso Formiano), egli è menzionato primo tra i fratelli,

clericus et canonicus Sancti Vigilii.

(423) Indicazione della documentazione in Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, “Namenweiser”, p. 339.

Pochi anni dopo, quando, a seguito della ribellione di un grup- po contro il suo governo, il vescovo Federico da Wanga si accinse a concedere la revoca del bando, in uno degli atti con i quali nel maggio 1210 impose le condizioni di resa ai ribelli, concesse la pacificazione e procedette alla revoca del bando, egli precisò di agire, tenendo presente il consilium dei canonici, dei conti, dei

capitanei, della macinata Sancti Vigilii, degli altri milites dell’epi-

scopio e dei cives di Trento (428).

Nel novembre 1211, stando in Bleggio (429), il vescovo solle- citò il laudamentum della curia dei vassalli per tre questioni, cui abbiamo accennato (430). Uno dei laudamenta, quello pronunciato da Alberto da Stenico, prescrive che, nell’eventualità in cui un vas- sallo chieda al dominus l’investitura di un feudo, dichiarando di essere cataneus, valvassor o uomo libero, e la riceva secondo la consuetudine – “sicut mos est” –, il vassallo debba perdere il feudo, qualora si venga poi a conoscere che egli non si trovava in nessuna di tali condizioni: “quod ille vasallus non est sic gentilis, ut dicebat, et de tali genere”; in altre parole, non si trovasse in una condizione ‘onorevole’ (431).

Per indicare la condizione della persona già inserita nei rap- porti feudali e quella di un uomo libero che si appresta ad inserir- visi, non si trova di meglio che ricorrere ad un termine assai gene- rico, genus appunto, senza impiegare termini che, pur essi generi-

Adelpretus Tirolensis et dominus decanus et capitulum chori sancti Vigilii et capi- tanei et macinata episcopatus Tridentini et concives Tridenti per se fecerant et iuraverant in integrum, ut superius”; “... qui omnes tam canonici quam comites et milites alii et tota communitas dixerunt per sacramentum ...”.

(428) Kink, Codex Wangianus cit., n. 85, 1210, maggio 30, Trento; Huter,

Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 605. Per le vicende, cfr. sopra, par. 10.

(429) Durig, Die Rechtssprüche cit., n. 3, 1211 novembre 2, Bleggio; reg. Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 624.

(430) Cfr. sopra, t. c. note 377 ss.

(431) Sulla ‘polisemia’ del termine di honor cfr. sopra, nota 46 di cap. II.

trentina, ne indicano la struttura mediante una catalogazione som- maria per categorie o per ceti che muove da una prospettiva feuda- le.

La prima documentazione proviene dalla registrazione del patto stretto fra le componenti della cittadinanza al fine di impedi- re il ritorno del vescovo Corrado dopo il suo atto di rinuncia: giu- rarono i canonici, il conte di Tirolo, avvocato della chiesa vescovi- le, i capitanei, i vavasores, la macinata dell’episcopio, la commu-

nitas di Trento. Nel testo del documento queste componenti sono

richiamate più volte, non sempre nello stesso ordine e con gli stes- si termini: ad esempio, la società urbana viene designata con i ter- mini di communitas, universitas, concives; altra volta capitanei,

vavasores e macinata sono compresi sotto il solo termine di milites alii distinti dai comites, che indicano Alberto di Tirolo e Egenone

di Ultimo, che hanno giurato in precedenza (427).

(427) Documento di aprile-agosto 1205, citato sopra, nota 269. Riportiamo alcuni passi nei quali appare il riferimento ai capitanei, citando dall’edizione di Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 557: “... tale statutum et ordinamentum facimus nos canonici Tridentine ecclesie et advocatus dominus comes Adelpretus Tirolensis et macinata totius episcopatus et capitanei et vavasores et communitas Tridenti”; “... observare totum et per totum in integrum secundum quod dominus comes Adelpretus Tirolensis et dominus decanus et capitulum chori sancti Vigilii et capitanei et macinate et concives Tridenti per se ...”; “Insuper interrogati fuere omnes canonici supradicti qui ibi aderant et comes Tirolensis et comes Egeno et capitanei et macinata episcopatus et vavasores et tota universitas Tridenti si esset utile quod dominus quondam Conradus episcopus reverteretur ad episcopatum necne, qui omnes tam canonici quam comites et milites alii et tota communitas dixerunt per sacramentum quod fecerant et quo erant interrogati quod reversio eius non erat utilis episcopatui Tridentino, sed detrimentum et enorme dampnum, et de cetero non erat accipiendum.”; “... observare totum et per totum in integrum secundum quod dominus comes Aldepretus Tirolensis et dominus decanus et

capitulum cori sancti Vigilii et capitanei et macinata episcopatus TRIDENTIet con-

cives TRIDENTIper se fecerant et iuraverant in integrum ut superius legitur”; “... et

Alberto da Ravenstein (436). Nel gennaio 1220, il vescovo, non ancora consacrato, risiedendo “in palacio sue dignitatis” per amministrare la giustizia (437), presenti alcuni canonici e numerosi signori, dopo avere ricordato di essere stato investito delle regalie da Federico II e dopo avere ricevuto i giuramenti di fedeltà dai vassalli, chiese al giudice Enrico, figlio del fu Gerardo di Bella di Verona, di manifestare il suo feudo e i dirit- ti di giurisdizione connessi. Il giudice dichiara che la sua giu- sdizione concerne le cause criminali, eccettuati coloro che sono soggetti, in quanto vassalli, al laudamentum della curia dei pari. Avendo tutti i vassalli presenti, ovvero quelli già elencati come testi, confermato sulla loro fidelitas la dichiarazione del giudi- ce, questi venne investito del suo feudo e giurò fedeltà al domi-

nus.

Tra i vassalli segnaliamo, oltre al conte Odolrico di Appiano e al giudice Pietro da Malosco, i membri delle famiglie, già incon- trate occasionalmente, dei da Wanga, da Egna, da Pergine, da Appiano, da Lizzana, da Gardumo, da Beseno, da Castelbarco, da Mori, da Castelnuovo, da Brentonico, da Cagnò, ed alcuni cittadi- ni, fra cui Rodolfo Rubeo (438).

Per il nostro fine va segnalata la distinzione che il vescovo opera fra i vassalli dai quali riceve il giuramento di fedeltà: “... inter alias fidelitates, quas a comitibus, capitaneis et militibus et aliis hominibus episcopatus et civitatis pro eorum feodis et investi- turis recipiebat ...”. Riappare, dunque, la distinzione di rango fra i vassalli – conti, capitanei e milites o vassalli, in genere –, analoga sostanzialmente a quelle utilizzate nel pactum del 1205 (439) e

(436) Cfr. sopra, par. 11.4.

(437) Bonelli, Notizie istorico-critiche cit., III/2, pp. 53-54, doc. 1220 gen- naio 24, Trento; Kink, Codex Wangianus cit., n. 144; reg. Huter, Tiroler

Urkundenbuch cit., II, n. 757.

(438) Cfr. sopra, t. c. note 246-250.

(439) Doc. dell’anno 1205, citato sopra, nota 269.

ci, potevano essere maggiormente aderenti al fine, già impiegati un secolo prima in documentazione analoga di altri territori:

dignitas e ordo nelle costituzioni milanesi del 1067 (432), digni- tas in documento vescovile novarese del 1094 (433), ordines in

un trattato fra Ravennati e Forlivesi del 1138 (434) e presso il cronista Ottone di Frisinga (435). Il termine genus, dunque, e la qualificazione gentilis, oltre ad essere riferiti a coloro che già sono inseriti nei rapporti vassallatici, sono estesi a tutti gli uomi- ni che godono della condizione giuridica della libertà, condizione ineludibile affinché possano essere inseriti nei rapporti vassallati- ci ‘onorevoli’. Ma questa è la condizione giuridica ‘normale’ dei

cives che costituiscono la communitas od anche il commune di

Trento, oltre alla quale alcuni cittadini godono dei privilegi deri- vanti dall’appartenenza ai ceti – dovremmo dire genera – feudali dei capitanei e e dei valvassores. Non diversamente poteva avve- nire nell’ambito delle comunità rurali, anche se queste comunità avevano tutte, pur in diversa misura, una potenzialità inferiore alla communitas cittadina.

La stratificazione dei vassalli in categorie riappare, per l’ulti- ma volta, a nostra conoscenza, all’inizio dell’episcopato di

(432) RIS, IV, p. 33, in nota, doc. 1067 agosto 1, Milano, riedito in J. von Pflugk-Harttung, Iter Italicum, Stuttgart, 1883, I, n. 39, p. 428. Cfr. C. Violante,

La società milanese nell’età precomunale, I ed. 1953, Bari 1974, pp. 261-265; ed

ora Occhipinti, I ‘capitanei’ di Milano cit., p. 25.

(433) F. Gabotto, G. Basso, A. Leone, G. B. Morandi, O. Scarzello (ed.), Le

carte dell’Archivio capitolare di S. Maria di Novara, II, Pinerolo 1915, n. 271,

1094 gennaio 31, Novara. Cfr. Andenna, L’‘ordo’ feudale cit., pp. 97 ss.

(434) A. Vasina, Romagna medievale, Ravenna, 1970, pp. 245-246, doc. 1138 marzo 23, (Forlì). Cfr. Castagnetti, Feudalità e società comunale cit., II, par. 3, e Castagnetti, Da Verona cit., pp. 471-474.

(435) Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I. cit., libro II, cap. XIII, p. 116. Sulla ripartizione sociale per ordines, a volte richiamata in modo generico dai cronisti milanesi, si veda Occhipinti, I ‘capitanei’ di Milano cit., p. 26.

CAP. IV. I DA CASTELBARCO DALL’ASSASSINIO