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I rapporti di Aldrighetto da Castelbarco con il vescovo Corrado da Beseno e la sua scomparsa (1195)

CAP IV I DA CASTELBARCO DALL’ASSASSINIO DEL VESCOVO ADELPRETO ALLA QUALIFICAZIO-

4. I rapporti di Aldrighetto da Castelbarco con il vescovo Corrado da Beseno e la sua scomparsa (1195)

4.1. I rapporti con il vescovo

Nell’anno 1189 Aldrighetto assiste nel castello di Ultimo od Ulten (97) alla vendita che i conti Arnoldo e il fratello Egenone, canonico, della famiglia comitale di Appiano (98) fanno al vesco- vo Corrado da Beseno, da poco ‘eletto’ (99), di beni e diritti in valle di Fiemme e in altre località.

Due anni dopo (100), Aldrighetto, con il nipote Nicolò da Egna (101), ricompare in Egna fra i testi ad un atto concernente una controversia per diritti di decima tra il vescovo e Iacobino e

(96) Castagnetti, I conti cit., pp. 169 ss.

(97) Bonelli, Notizie istorico-critiche cit., n. 56, 1189 aprile 20, castello di Ultimo; Kink, Codex Wangianus cit., n. 33; Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., n. 449.

(98) La vendita è interpretata come uno dei segni di debolezza politica dei conti di Appiano: Cusin, I primi due secoli cit., p. 152.

(99) Rogger, Monumenta cit., p. 70. Il vescovo Corrado aveva dichiarato due giorni prima di avere ricevuto le ‘regalie’ direttamente dall’imperatore Federico: Kink, Codex Wangianus cit., n. 32, 1189 aprile 18, Bolzano, in domo

episcopi; Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, n. 448.

(100) Ibidem, I, n. 468, 1191 giugno 24, Egna.

(101) Nicolò da Egna svolge la funzione di fideiussore e di immissione nel possesso per il castello di Castelbarco: doc. dell’anno 1198, citato sotto, nota 186.

In una considerazione complessiva della documentazione trentina anteriore all’episcopato di Corrado, cioè all’anno 1188 – episcopati di Adelpreto, Salomone e Alberto da Campo (111) –, che, pur scarsa, mostra la presenza di larga parte degli esponenti del ceto signorile o dei milites trentini, colpisce l’assenza dei da Castelbarco agli atti vescovili, poiché la sola comparsa di Aldrighetto avviene in occasione di un atto privato, nella donatio

propter nuptias dell’anno 1181 (112), atto, tuttavia, rilevante, san-

cendo l’unione di membri di due famiglie signorili da Pergine e da Pradaglia, castelli rispettivamente della Valsugana e della Val Lagarina: dalla seconda valle provengono fra i testimoni, oltre al nostro, due da Beseno, elencati per primi, e un da Mori. L’atto – uno dei pochi a nostra disposizione nel quale non agisce la chiesa vescovile od altre chiese e non sono coinvolti gli interessi di questi enti –, se mostra l’intreccio di interessi tra famiglie signorili della Val Lagarina e della Valsugana, segnala una comunanza di interes- si con i da Beseno, che non va, invero, sopravvalutata, poiché potrebbe anche essere limitata all’occasione.

Significativa appare la presenza, pur non assidua, di Aldrighetto presso il vescovo Corrado da Beseno, fin dall’inizio del suo episcopato, anche per la rilevanza degli atti, specialmente di quello dell’anno 1192, quando viene affidata a lui, con altri, la risoluzione di una controversia tra il vescovo e i da Caldonazzo (113).

(111) Tralasciamo per il momento la possibilità che Abriano/Briano della metà del secolo fosse un da Castelbarco: cfr. sopra, t. c. nota 9.

(112) Doc. dell’anno 1181, citato sopra, nota 47 di cap. III. (113) Doc. dell’anno 1192, citato sopra, nota 105.

le, partecipe della curia e in posizione di rilievo, se è il primo nominato fra quelli cui viene affidata la risoluzione della contro- versia. Si aggiunga una testimonianza, posteriore di due-tre decen- ni, sull’eventualità di un’investitura feudale effettuata ad Aldrighetto dal vescovo Salomone (107), quindi negli anni 1172- 1183 (108).

Il vincolo vassallatico dei da Castelbarco con la chiesa vesco- vile non sembra, in ogni caso, particolarmente rilevante e stretto. Si consideri che nell’atto del 1190 (109), che reca l’elenco di vas- salli singoli e famiglie o domus di vassalli (110), i da Castelbarco sono assenti, non comparendo nemmeno fra i testi. Ma da questa assenza non possiamo trarre la certezza che essi non avessero rap- porti vassallatici con la chiesa vescovile, poiché sono assenti, con la famiglia o domus dei nostri, anche quelle, ad esempio, dei conti di Appiano e dei conti di Tirolo – sono inclusi i conti di Flavon –, ed ancora quella dei da Campo.

sufficiente segnalare la presenza di quasi tutti in un gruppo di nobiles e ministe-

riales del vescovo, che assistono alle manifestazioni delle contribuzioni dovute

dagli abitanti della Val di Fiemme: Pellegrino di Beseno, Ottolino di Telve, Trintino di Ottone Ricco, Odolrico di Lupa (Kink, Codex Wangianus cit., n. 28, 1188 febbraio 22; Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, n. 435). Baldrico di Toscolano, da pochi anni al seguito del vescovo (Kink, Codex Wangianus cit., n. 32, 1189 aprile 18, Bolzano, in domo episcopi; Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., I, n. 448), è un causidico e giudice, la cui presenza è preziosa per l’eventuale apporto tecnico.

(107) Ghetta, I signori di Castel Barco cit., app., doc. 1213 agosto 16, Livo, p. 319: testimonianza di Boderza da Castelnuovo. Ma Varanini, Tra vescovi cit., p. 323, nota 22, propone di riferire l’intervento del vescovo Salomone a Gutefredo de Bunisolo, precedente detentore di un feudo che sarebbe pervenuto poi ad Aldrighetto.

(108) Sull’episcopato di Salomone Rogger, Monumenta cit., pp. 69-70. (109) Kink, Codex Wangianus cit., n. 40 , 1190 luglio 18, Trento. (110) Cfr. sopra, t. c. note 115-117 di cap. II.

essere stata quella di chiudere i suoi giorni nel monastero di S. Giorgio (119), un monastero che in quel periodo godeva del favore dei fedeli veronesi, cittadini e distrettuali, che elargivano donazio- ni e destinavano lasciti testamentari (120).

Un’altra motivazione potrebbe essere costituita dall’avere egli intrapreso un viaggio che lo portava a passare dalla città sull’Adige e che poteva costituire, verso la fine della vita, come di consueto, un atto riparatore, quale poteva essere un pellegrinaggio, che poteva anche coincidere con la partecipazione ad una crociata in Oriente (121). Dopo l’insuccesso recente della terza crociata, nella primavera dell’anno 1195 l’imperatore Enrico VI si appresta- va ad una nuova crociata, impartendo dalla Puglia disposizioni per l’allestimento di un esercito, che doveva essere composto da alme- no 1500 milites (122).

(119) Cracco, ‘Assassinio nella cattedrale’ cit., p. 20, nota 11, accettando le precisazioni del Varanini, avanza l’ipotesi che Aldrgigehtto, come altri personaggi potenti e violenti dell’epoca, abbia indossato l’abito, non la vita, monacale prima di morire.

(120) G. Biscaro, Attraverso le carte di S. Giorgio in Braida di Verona esi-

stenti nell’Archivio Vaticano, I, in “Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze,

Lettere ed Arti”, XCII/2, a. acc. 1932-1933, pp. 1029 ss.

(121) Proprio in Verona illustri personagi, come due conti di San Bonifacio, avevano finito la loro vita in procinto di recarsi o di ritorno dall’Oriente, come il conte e marchese Alberto nel 1135 (Castagnetti, Fra i vassalli cit., p. 126) o in Oriente, come il conte Bonifacio (IV) nel 1170, l’anno dopo avere rivestito la magistratura di podestà cittadino (Castagnetti, Le due famiglie comitali cit., p. 78).

(122) Constitutiones cit., I, n. 365, 1195 aprile 12. Cfr. S. Runciman, Storia

delle crociate, voll. 2, tr. it., Torino, 1966, II, p. 764, nota 1, sui preparativi per la

crociata nella Dieta di Gelnhausen.

4.2. La scomparsa di Aldrighetto in Verona (1195)

Rimane da chiarire la presenza di Aldrighetto in Verona, nel monastero di S. Giorgio in Braida, ove redige il suo testamento e ove, secondo l’agiografo, si sarebbe rifugiato da oltre due decenni, dopo l’assassinio del vescovo, finendovi i suoi giorni; ma di lui nella pur ampia documentazione dell’archivio monastico non c’è traccia per i decenni precedenti (114).

La sua presenza nel monastero veronese potrebbe essere spie- gata in altro modo, che non quello del ritorno ad un luogo già di rifugio, tanto più che certamente Aldrighetto non indossò la veste monastica, come afferma l’agiografo (115). Anche se i rapporti tra i da Castelbarco e la società veronese erano probabilmente già in atto, altre motivazioni potrebbero avere portato Aldrighetto in Verona, in un monastero situato, si badi, sulla riva sinistra dell’Adige, a monte della città, davanti al quale doveva passare chi proveniva da Trento per via fluviale e o percorrendo la strada lungo la sponda orientale del fiume. Pochi anni prima, tra il giugno 1192, quando è attestata l’ultima presenza di Aldrighetto in territo- rio trentino (116), e il novembre dell’anno successivo, in cui appa- re attivo il figlio Briano (117), era avvenuto il passaggio delle con- segne tra padre e figlio, divenendo il secondo il rappresentante anche giuridico della domus, probabilmente per un atto di emanci- pazione compiuto dal padre, ancora vivente.

In quel periodo Aldrighetto, ritiratosi dalla vita attiva in favore del figlio, poteva essersi recato a Verona, ove forse già possedeva una abitazione (118), spinto da motivazioni varie: una potrebbe

(114) Varanini, Tra vescovi cit., p. 322. (115) Cfr. sopra, t. c. note 88-91. (116) Doc. 1192, citato sopra, nota 105. (117) Doc. 1193, citato sotto, nota 125.

(118) Cfr. sopra, t. c. nota 194 di cap. III, il riferimento ad un’abitazione di Briano in Verona.

tregua di otto giorni, antecedenti e susseguenti alla cerimonia, al fine di rendere sicuri viaggio e soggiorno di coloro che sarebbero intervenuti alla consacrazione, minacciando anche la scomunica per coloro che avessero recato offese, stabilisce che nella ricorren- za annuale della consacrazione si dovesse svolgere un mercato annuale, assicurando a tutti i partecipanti – esclusi banditi, ladri, falsari e altri malfattori – la sua protezione all’interno del territorio soggetto alla propria giurisdizione. Un suo ufficiale, il gastaldo di Pradaglia, avrebbe sorvegliato il mercato e amministrato la giusti- zia, senza distinzione di condizione giuridica per i richiedenti: liberi, servi o di masnada.

Fin qui il provvedimento, pur in ritardo, si inserisce, da un lato, nell’ambito di iniziative di istituzione di un mercato annuale in connessione con le festività religiose, con obiettivi, oltre che economici e religiosi, anche di pacificazione sociale (129); dall’al- tro lato, conferma che la capacità di iniziativa in materia è ancora della chiesa vescovile, che esercita prerogative già oggetto nei secoli precedenti dei privilegi imperiali, poi fatte proprie dai comuni cittadini (130).

Per rafforzare la validà della concessione il vescovo chiede il

(129) Ricordiamo, ad esempio, che a Milano, all’inizio del secolo XII, tutto il clero e il populus, assente l’arcivescovo, istituirono una solenne festività annua- le e, per facilitarne la frequentazione, istituirono nella ricorrenza anche un merca-

tus annuale, stabilendo per tutti coloro che sarebbero intervenuti, “causa orationis

vel mercadandi”, una tregua quindicinale e l’esenzione dal teloneo: Il documento,

testimonium, è riportato in Landulphi Iunioris (de Sancto Paulo) Historia Mediolanensis, in SS, XX, cap. 34, p. 34; cfr. G. Rossetti, Origine e formazione sociale dei vescovi del ‘regnum Italiae’ nei secoli XI-XII, in Le istituzioni eccle- siastiche della ‘societas christiana’ dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie,

Milano, 1977, pp. 77-78.

(130) F. Bocchi, Città e mercati nell’Italia padana, in Mercati e mercanti

nell’alto medioevo: l’area euroasiatica e l’area mediteranea, Spoleto, 1993, pp.

170-175.

5. Briano e la vendita e investitura feudale del castello di