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Il conflitto con Verona (1204) e la rinuncia all’episcopato di Corrado da Beseno (1205)

CAP III GOVERNO VESCOVILE, COMMUNITAS CITTADINA, POLITICA FEUDALE E QUALIFICA-

10. Il conflitto con Verona (1204) e la rinuncia all’episcopato di Corrado da Beseno (1205)

10.1. Il conflitto con Verona (1204)

Il controllo di Rubeo da Breganze sulla città non durò a lungo. Un accordo, del quale non conosciamo le modalità, fu raggiunto dal vescovo con la cittadinanza in tempi brevi: la presenza del pre- sule in città è attestata, ricordiamo, con qualche incertezza, alla fine del febbraio 1202 (251), con certezza nella prima decade di marzo (252). Sul governo del vescovo per i due anni seguenti non fornisce notizie la scarsa documentazione, che caratterizza tutto l’ultimo periodo di episcopato di Corrado (253).

Per quanto concerne i rapporti esterni, quelli con il comune

curie di vassalli, con il vescovo Federico da Wanga: J. Durig, Die Rechtssprüche

der Trientner Lehenhofes aus dem 13. Jahrhunderts, “Mitteilungen des Instituts

für Österreichische Geschichtsforschung”, IV (1893), n. 5, 1213 novembre 23, Trento; e con il vescovo Gerardo: ibidem, n. 16, 1230 giugno 28, Trento, e reg. Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 932.

(249) R. Zotti, Storia Valle Lagarina, voll. 2, Trento, 1862-1863, I, p. 464- 67, n. 2, 1220 novembre 28, Trento; reg. Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., n. 779. (250) Sull’attività pubblica di Wicomario di Rambaldo e dei suoi familiari si sofferma Varanini, Appunti cit., p. 115.

(251) Doc. del febbraio 1202, citato sopra, nota 240.

(252) Doc. del marzo 1202, citato sopra, nota 241; per il mese seguente si veda Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 544, 1202 aprile 30, Trento.

(253) Dopo che per l’anno 1202 era ripresa la documentazione vescovile, essa torna a cessare di fatto per l’anno 1203 ed è scarsa per l’anno 1204.

ra, il causidico Pietro da Malosco e i cittadini Pasquale di Odolrico di Ottone Ricco, Petarino, Wicomario di Rambaldo, Rodolfo di Aicardo, Arnoldo di Moscardo.

Pochi altri atti del vescovo Corrado rimangono per l’anno 1204, atti che non preannunciano, invero, la rinuncia alla cattedra compiuta nel marzo successivo. Il vescovo compose una contro- versia fra gli abitanti di Fai e la comunità di Trento (261), stabilì i diritti della sua chiesa vescovile sul monastero femminile di Sonnenburg (262), investì Alberto da Stenico di un “dosso” presso il lago di Molveno (263), ricevette in Riva la richiesta di Odolrico d’Arco di essere reintegrato nei suoi possessi feudali, di cui egli disponeva prima dell’inizio della guerra e che i domini di Storo avevano usurpato (264).

10.2. La rinuncia all’episcopato di Corrado da Beseno, la ritratta- zione e l’elezione di Federico da Wanga (1205-1207)

Nel marzo 1205 Corrado, allontanatosi dalla diocesi, giunse a Innsbruck con un piccolo seguito, al cui cospetto, nonostante le preghiere a desistere, dichiarò di avere deciso di rinunciare alla cattedra vescovile, per assumere lo stato monastico, con la racco- mandazione di non eleggere a suo successore uno dei canonici; il giorno dopo entrò nel monastero di St. Georgensberg nella valle

(261) Leonardelli, Economia e territorio cit., n. 53, 1204 giugno 15, Trento; reg. in Leonardelli, ‘Comunitas Tridenti’ cit., app., n. 10.

(262) Kink, Codex Wangianus cit., n. 70 1204 luglio 1, Sonnenburg; estratto in Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 553, che corregge la data in 1204 giu- gno 1.

(263) Kink, Codex Wangianus cit., n. 71, 1204 settembre 2, Trento.

(264) Fondazione d’Arco, Archivio, busta 9, perg. 61, originale. Cfr. Waldstein-Wartenberg, Storia cit., p. 42 e pp. 43-44.

Casadei. Il patto, inserito negli statuti comunali, avrà validità

per dieci anni.

La posizione politica del vescovo Corrado diveniva vieppiù dif- ficile, per gli aspetti generali, poiché su Ottone IV di Brunswick, sostenuto dal pontefice Innocenzo III (258), al quale Corrado aveva aderito (259), si avviava a prevalere Filippo di Svevia, che veniva incoronato all’inizio dell’anno 1205; sul piano locale, per la ripresa di una politica espansionistica da parte del conte Alberto di Tirolo (260), per le rivolte ripetute della cittadinanza, per l’irrequietezza e il dinamismo delle famiglie signorili, particolarmente dei d’Arco e dei da Castelbarco. Con queste due famiglie i rapporti seguivano fasi alterne: gli impegni di alleanza e di aiuto, compensati da grosse con- cessioni, non erano sufficienti a garantirne in modo costante la fedeltà, perché essi venivano minacciati pesantemente dai nemici del vescovo, come dichiararono più volte i da Castelbarco, madre e figlio, timorosi, almeno a parole, delle minacce dei cittadini trentini e per questo pronti ad un accordo; o perché pretendevano privilegi ulteriori, come i d’Arco, i quali per la questione dei dazi si allearono con il comune veronese, che premeva da meridione e che aveva un suo cittadino eminente, Tebaldo dei Turrisendi, fra i maggiori vassalli della curia vescovile, del quale torneremo a trattare.

Il trattato con Verona segnò anche un momento, sicuramente fugace, di pacificazione, poiché vi assistettero conti e numerosi signori: il conte Alberto di Tirolo, il conte Egenone di Ultimo e il conte Enrico di Appiano, Nicolò da Egna, Roperto da Salorno, Briano da Castelbarco, Peramusio e Gumpone da Gardumo, Albertino da Castelnuovo, Bursa e Odolrico da Beseno, Pietro da Nomi, Giordano di Ottolino da Telve, Giovanni da Pergine; anco-

(258) P. Lamma, I comuni italiani e la vita europea, in Storia d’Italia diretta da N. Valeri, I, Torino, 1965, p. 427.

(259) Cusin, I primi due secoli cit., pp. 171-172.

della chiesa, dell’episcopio e della città di Trento; di non ricono- scere le azioni compiute dal vescovo a beneficio di singoli dopo la sua monacazione; di non assumere impegni per la restituzione di Corrado al seggio vescovile o di non stringere accordi con lui, senza il consenso del conte di Tirolo; di aiutare i canonici a sce- gliere il nuovo vescovo. Il giuramento doveva essere mantenuto fino a che in concordia non si accettasse il ritorno di Corrado o si eleggesse un nuovo vescovo.

L’iniziativa del ‘patto’ fu congiuntamente dei canonici e del conte Alberto, ma indubbia è la posizione di preminenza del secondo, che approfittava dei conflitti interni per estendere la sua influenza sulla città fino a stabilirvi un proprio dominio o la pro- pria potestas (270). Il suo giuramento servì di modello a quelli degli altri, ripartiti in tre gruppi. Il tutto si svolse in un paio di giorni di aprile, aggregandosi più tardi, in luglio e in agosto, alcuni signori da Caldonazzo.

Le modalità suggeriscono l’impressione di un consenso, se non forzato, largamente influenzato. I componenti del primo grup- po, più numeroso, oltre settanta, e del terzo giurarono nel palazzo del vescovo. In altri luoghi giurarono quelli del secondo gruppo, nel castello di S. Vigilio, e i signori da Caldonazzo, nella cappella di S. Biagio. Solo i componenti del terzo gruppo, una quindicina di persone, giurarono al cospetto di tutta la concione: “in plena con- cione hominum civitatis Tridenti ad tintinabulum pulsatum”. Le espressioni relative alla concio indicano una adunanza formale della cittadinanza, che invero viene smentita dal frazionamento delle riunioni, soprattutto dal fatto che, alla fine, certo Drucolario giurò in modo sommario per la communitas di Trento, quindi per

(270) Il pontefice Innocenzo III denuncia che la chiesa trentina, priva del vescovo, è oppressa dal conte Alberto e dai suoi complices: il passo è riportato in Huter, Tiroler Urkundenbuch cit, II, n. 559, 1206 gennaio 10. Cfr. Cusin, I primi

due secoli cit., p. 175. dell’Inn (265). In lettere del pontefice Innocenzo III, il cui inter-

vento fu provocato dall’intento, poco dopo manifestato da Corrado, di riassumere l’ufficio (266), sono esposte alcune motiva- zioni della rinuncia: le ingiurie e le molestie intollerabili recate al vescovo dai suoi “parrocchiani”, l’età avanzata e la debolezza delle forze, infine gli omicidi, gli spergiuri e gli incendi compiuti dai “parrocchiani”. L’intento di Corrado di riassumere il vescovato generò una vicenda complessa che si protrasse per un paio di anni con interventi del pontefice e il ricorso di Corrado al re Filippo (267), che gli rinnovò l’investitura delle regalie, con la promessa che il vescovo avrebbe corrisposto 1000 marche al re, 200 alla regina e 100 ai familiari di corte (268).

La notizia della sua ritrattazione provocò subito la reazione della società trentina, capeggiata dal capitolo e dal conte Alberto di Tirolo: fu elaborato uno statutum et ordinamentum, che per primi giurarono i canonici e il conte Alberto di Tirolo, avvocato della chiesa vescovile, seguiti dai capitanei, dai vavasores, dalla maci-

nata vescovile e dalla communitas di Trento ovvero dalla cittadi-

nanza (269). Il fine della societas era quello di agire per l’utilità

(265) Bonelli, Notizie istorico-critiche cit., II, n. 62, 1205 marzo 10, Innsbruck: sono presenti Egenone di Ultimo, Ermanno di Livo, Ottone di Firmiano, Musone – di Dosso –, Petarino di Trento, Enrico Swap di Livo. Fra loro alcuni giurano poi lo statutum sull’elezione vescovile, citato sotto, nota 269: Ermanno di Livo, Musone e Petarino.

(266) Esposizione della vicenda, con indicazione anche delle lettere pontifi- cie, in V. Zanolini, La rinuncia di Corrado di Beseno al vescovato di Trento, in

Programma del Ginnasio Vescovile di Trento. 1901-1902, Trento, 1902, pp. 8-9.

(267) Ibidem, pp. 34-37; Cusin, I primi due secoli cit., pp. 175-176. (268) Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 562*, 1206 giugno in.; Böhmer, Ficker, Die Regesten der Kaiserreichs unter Philip cit., n. 135. Cfr. Zanolini, La rinuncia cit., pp. 34-35.

(269) Ibidem, pp. 38-40, doc. 1205 aprile 22, 23, luglio 5, agosto 24, Trento; riedito in Santifaller, Urkunden cit., n. 14, e in Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 557.

tanto più se consideriamo che per includere i da Caldonazzo furo- no aggiunte due altre registrazioni. Le motivazioni dell’assenza possono essere indicate nei rapporti precedenti stretti fra il vesco- vo Corrado e queste famiglie signorili: ovvi quelli con i da Beseno; di alleanza e di conflitto quelli con i d’Arco e i da Castelbarco. Né vi si oppongono i contrasti sorti in alcuni periodi, giunti per i d’Arco fino alla belligeranza nell’alleanza con il comu- ne veronese, rimasti nell’ambito di comportamenti ambigui e di controversie arbitrali per i da Castelbarco: essi sono dovuti non tanto ad ostilità continua e sostanziale, quanto all’obiettivo di trar- re profitti ulteriori, di diritto o di fatto, dai concreti sostegni forniti al vescovo e di mantenerli, se concessi o usurpati. Agli scontri, anche armati, segue la pacificazione.

Analoghi comportamenti, conseguenti a rapporti stretti e ai conflitti che ne derivavano, sono tenuti nei rapporti tra le famiglie signorili: ad esempio, nell’ottobre 1205 ebbe fine una controversia fra i d’Arco e i da Campo, mediante un atto arbitrale che si svolse, si badi, in Verona nell’abitazione di Odolrico d’Arco, forse esuli gli uni e gli altri. Che quest’ultimo si fosse schierato ora con il vescovo Corrado e lo avesse sostenuto nel suo tentativo di riacquistare la sede vescovile, è provato dall’investitura del dazio di Torbole che nell’anno 1207 il vescovo Corrado, stando nel castello di Arco, gli rinnovò (273), confermata poi dal re Filippo di Svevia (274).

L’assenza dalla documentazione per i membri delle tre fami- glie persiste negli anni seguenti: fino al 1208 per i da Castelbarco (275) e per i d’Arco (276); fino al 1210 per i da Campo (277); per

(273) Doc. 1207 gennaio 5, citato sopra, nota 138 di cap. II. (274) Doc. dell’anno 1208, citato sopra, nota 139 di cap. II.

(275) Huter, Tiroler Urkundenbuch cit., II, n. 579, 1208 aprile 30, Trento. (276) Doc. dell’anno 1208, citato da Walsdtein-Wartenberg, Storia cit., p. 17 ex.: Odorico di Arco presta a vescovo il giuramento feudale “ut gentilis et nobilis vasallus”.

(277) Doc. del settembre 1210, citato sopra, nota 152 di cap. II: rinunzia al

tutti i cittadini, e i milites, che fino ad allora non avevano giurato, delegato da loro per acclamazione: un modo ‘spiccio’, come lo definisce il Cusin (271), che sottolinea ben altra partecipazione e altri metodi nei giuramenti delle cittadinanze dei comuni padani.

In totale coloro che giurarono superano il centinaio, un nume- ro non indifferente, tenuta presente la modesta consistenza demica della città: la disparità denunciata diviene assai meno accentuata se operiamo il confronto con la consistenza dei consigli dei comuni padani vicini (272), istituzioni consigliari che non erano in vigore a Trento, dal momento che il comune non si era costituito. Non siamo pertanto in presenza di una cittadinanza organizzata né essa si presenta come un tutto, ma come un’associazione, temporanea e finalizzata, di singoli ceti e del resto della popolazione, la commu-

nitas Tridentina cittadina. I ceti sono quelli ‘dominanti’, che deri-

vano, in grado diverso, i loro poteri dal vescovo: pur non sempre indicati nello stesso ordine, essi sono conti, capitanei, vassalli, membri della macinata; anche, tutti genericamente milites, distinti dalla comunitas od universitas.

Tralasciando di soffermarci ulteriormente su questi e altri aspetti che emergono dal patto, poniamo la nostra attenzione sui partecipanti di condizione signorile nonché sugli assenti. Tra gli elencati ricordiamo, oltre al conte Alberto di Tirolo, in posizione preminente, il conte Guglielmo di Flavon, il conte Egenone (di Ultimo), i da Cagno, da Caldonazzo, da Cles, da Egna, da Gardumo, da Madruzzo, da Metz, da Seiano e da Stenico.

Non compaiono, fra quelli sui quali abbiamo avuto occasione di soffermarci, i d’Arco, da Beseno, da Campo e da Castelbarco. Potremmo supporre che essi fossero inclusi fra coloro che avevano per acclamazione delegato Drucolario a giurare, ma difficilmente una loro presenza sarebbe stata tralasciata fra gli oltre cento nomi,

(271) Ibidem, p. 174.

Nell’anno 1207 gli schieramenti politici generali erano in evo- luzione (283): Filippo di Svevia, ritirando la sua protezione a Corrado, consentiva all’elezione di Federico da Wanga, investen- dolo delle regalie (284). Nello stesso anno il conte di Tirolo si impegnava in Verona in aiuto della pars dei Monticoli e di Ezzelino II da Romano, che soccombette contro la pars del conte di San Bonifacio e del marchese Azzo VI d’Este (285); il conte di Tirolo fu fatto prigioniero (286): fra i milites che combattevano con il conte e il marchese si trovava anche Odolrico di Arco (287), a riprova del permanere del suo atteggiamento ostile (288), .