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Catalogo generale delle fotografie: tra pubblicità e vertigine del medium

In contro tendenza rispetto alla realtà dei fatti espressa dall’opinione che si era fatto Milliet viaggiando in Italia nel 1866, ossia che la disponibilità di riproduzioni fotografiche dei capolavori non fosse diffusa ovunque, gli espedienti editoriali adottati dai fotografi per presentare e promuovere i propri repertori fotografici, davano l’idea della presenza già esaustiva di soggetti artistici sul mercato: Catalogo generale era la formula impiegata dai Fratelli Alinari (1863,1835,1873), Pinacoteca Universale da Giacomo Brogi (1865).

In effetti, la capacità con cui la camera oscura riproduceva gli oggetti reali, la praticità e leggibilità delle immagini fotografiche e, non per ultimo, la loro economicità rispetto alle stampe da incisione, provocò subitaneamente una sorta di ebrezza, di vertigine riguardo alle possibilità offerte dal nuovo medium. Come ha osservato Laure Boyer, negli anni Settanta le grandi firme misero in circolazione immense risorse fotografiche, inventando la nozione di catalogo generale fondato sull’idea di una fotografia informativa e documentaria, privilegiando la frontalità e l’oggettività535. A proposito dei Fratelli Alinari si è parlato, a ragione, di “vocazione enciclopedica”.536

535 Cfr. Boyer 2004, p. 390.

536 «Gli Alinari prosperarono grazie ad una sana gestione e ad un contesto storico favorevole, oltre alla loro vocazione enciclopedica che bene si addice alle aspirazioni del tempo», cfr. Heilbrun 2003, p. 68.

In verità, va precisato, il censimento sistematico dei patrimoni artistici, si svolse in maniera progressiva: tenendo il filtro sulla produzione Alinari si può individuare un’ascesa dal catalogo del 1873 con un totale di 2.794 soggetti, fino a raggiungere un apice in quello del 1887 con 4.060 soggetti537.

Come affermava André Malraux alla metà del secolo scorso: «La storia dell’arte è la storia di ciò che è stato fotografato»538, «è la storia di quello ‘che è fotografabile’, che in altre parole significa anche di quanto può divenire visibile e accessibile, fruibile a domicilio» ha esplicitato Tiziana Serena 539. Alla luce di quanto rilevato nell’analisi dei primi eventi legati alla fotografia e il patrimonio dell’arte, si potrebbe dire che il “fotografabile”540, dipende da una serie di circostanze tutt’altro che secondarie rispetto all’indubbia potenzialità del mezzo fotografico a valicare limiti imposti fino a quel momento da altri mezzi tecnici di riproduzione. Le capacità intrinseche della fotografia si scontrarono nei fatti con problemi tecnici, burocratici, diplomatici, economici, di mercato e di gusto che uniti determinavano i limiti, seppur mobili, del fotografabile. Nonostante la vertigine provocata dalla rivelazione dell’invenzione, come aveva dichiarato in maniera incoraggiante François Arago - «fino alla Luna, di cui si potrà tracciare tra breve la mappa fotografica» - alle Accademie, musei ed enti di tutela, servì un po’ di tempo per attutire il colpo di una così eclatante invenzione e adeguarsi con regolamenti, strumenti, e disposizioni che davvero consentirono di impiegarla nei modi più opportuni e proficui.

537 Tomassini 2003, pp. 199-203.

538 Malraux 1947, p. 111.

539 Serena 2014, p. 63.

540 «E anch’io, come il miliardo di cinesi intorno a me, comincio a fotografare tutto il fotografabile. Salvo poi rendermi conto che non sto più guardando la Città Proibita, ma lo schermo del mio cellulare che la sta fotografando. E allora, confuso, smetto.» scrive Culicchia nel suo racconto di viaggio a Pechino, Cfr. Culicchia 2015, s.p.

Per quanto sia una definizione dei nostri giorni, il concetto di fotografabile resta piuttosto vago, come a racchiudere un tutto che non si sa se attenga a ciò che è visibile agli occhi o a ciò che è raggiungibile da parte dell’obiettivo.

Se controlliamo oggi nel dizionario, la definizione di fotografabile troviamo che questa è determinata da condizioni tecnico pratiche: «fotografàbile agg. [der. di fotografare]. – Che si può fotografare, che si presta ad essere fotografato: questo aspetto del paesaggio, per la posizione del sole, non è fotografabile che nelle prime ore del mattino.» Cfr. < http://www.treccani.it/vocabolario/fotografabile/> 20.05.2017.

Il fotografabile, nell’Ottocento, era a nostro avviso un ambito ben più complesso e determinato non soltanto da fattori tecnologici.

In buona sostanza, ciò che s’intende affermare è che: il fotografabile non è indipendente da una serie di contingenze e necessità del contesto, motivo per cui ciò che è fotografabile in potenza non necessariamente coincide con ciò che viene poi di fatto fotografato; l’apparente carattere di universalità indotto dalla fotografia nella possibilità di poter realizzare, ma anche possedere, un’immagine di qualunque oggetto, si manifesta inizialmente come una sorta di ebbrezza quando in verità è smorzato da fluidi confini, determinati non solo dal mezzo in sé ma da fattori paralleli che variano nei tempi e nei contesti.

Difatti, a dispetto dell’aspirazione onnicomprensiva annunciata dai titoli dei primi cataloghi commerciali, le prime selezioni delle collezioni portarono a una riduzione del corpus di soggetti rispetto a quanto aveva fatto la tradizione incisoria541. Pertanto, viene da ricondurre la nomenclatura altisonante dei cataloghi, più che altro a un’idea insita ma non ancora fattiva della fotografia, che ben si prestava a pubblicizzare le immagini che smerciavano542.

Tuttavia, per quanto numericamente limitato sia stato il primo impatto dei fotografi sul patrimonio pittorico e per quanto le aspirazioni delle attività fotografiche fossero di natura commerciale, ciò non toglie che i fotografi delle origini, con operazioni primarie come quella dei Fratelli Alinari sulla quadreria degli Uffizi, misero in atto anche un’intrinseca azione critica nei confronti del patrimonio, per quanto inconsapevole, nel porre in circolazione sul mercato della fotografia, la prima suite di riproduzioni fotografiche della collezioni di dipinti tra le più note di sempre; iniziando così ad affermare alcune caratteristiche della fotografia come atto sociale e culturale.

541 Facendo anche solo un computo numerico, le incisioni presenti nei volumi editi dall’editore Batelli che illustravano la galleria degli Uffizi erano in totale 270 rami incisi da quadri rispetto ai settanta tratti dagli originali nel primo catalogo Alinari. Cfr. Storia della pittura 1841-1867.

542 Si legge nella prefazione al catalogo commerciale di Philpot: «Giovanni Brampton Philpot ha creduto di far cosa grata agli Amatori e agli Artisti col dare pubblicità per mezzo della fotografia ai più distinti capolavori che si trovano nella collezione dei Disegni originali degli antichi maestri» cfr., Philpot 1865, s.p.

Con “dare pubblicità”, s’intende probabilmente di “rendere pubblico” e non di “far conoscere a scopi commerciali”, come si evince dai vocabolari dell’epoca: «Pubblicità, pubblicitade e Pubblicitate. Astratto di Pubblico Segner. Crist. Instr. Pare a voi, che questi medesimi sieno argumento proporzionato alla lingua d’una femmina e alla pubblicità d’un teatro?. Pubblico e Publico. […] 7. Pubblico, per Noto, Manifesto, che come fama pubblica divolga, egli è già là che null’altro il precorre.» Cfr. Manuzzi 1863, p. 610.

3.2 Campagne fotografiche nelle gallerie: legittimazione di un sistema in atto