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Milliet a Roma: il contrasto tra ciò che si aspetta di vedere e ciò che vede in realtà

A Roma Paul può finalmente vedere l’opera di Raffaello, cui si era appassionato fin dagli studi con Lugardon, anche se le visite romane non sono poi così agevoli data l’apertura saltuaria dei vari luoghi d’arte: lamenta infatti che tutti i musei sono chiusi il sabato, la domenica e il lunedì, senza contare i giorni di festa; la Farnesina addirittura è visitabile solo il primo e il quindici di ogni mese157, par contre la madre gli risponde che assieme alla figlia si recano al Louvre tutti i giovedì158.

Durante il primo soggiorno romano, dopo aver affrontato le vicissitudini burocratiche per ottenere il permesso di copiare, Paul inizia a frequentare assiduamente il Vaticano, dove trascorre l’intera giornata e l’Académie, dove si reca la sera: «J’entasse les croquis et les souvenirs»159. Nella stessa lettera Paul denuncia anche lo stato d’abbandono in cui vertono i monumenti, di fronte al quale si dice scioccato160: già voci eminenti si erano levate a denunciare lo stato conservativo del patrimonio non solo a Roma ma nell’Italia intera e ad avanzare proposte per la conservazione e la tutela.

Tuttavia Paul fece tesoro dell’esperienza romana e la sfruttò per affrontare i grandi maestri: Raffaello e Michelangelo161. Fu il confronto vis-à-vis con la loro opera a

157 Lettre Paul, Novembre 1868, in Milliet 1915, p. 380.

158 Paul descrive il traffico di richieste che ha dovuto avanzare per ottenere il permesso di lavorare in Vaticano: dopo essere stato rinviato dal Vaticano a villa Medici, poi all’Ambasciata di Francia per far certificare la domanda, ha dovuto rivolgersi al signor Pacca, maggiordomo di sua santità, il giorno seguente nell’ufficio dell’Amministrazione, e infine presso il Direttore dei Musei. Oltre a questo racconta che ad ogni porta c’è una griglia, e ad ogni griglia un guardiano, che apre solo dietro compenso in denaro. Scrive Paul: “Ajoute à cela la douane, les passe-ports, les gendarmes, les tas d’ordures, les curés, la vermine, les mediants et toute la sainte crasse; il y a de quoi faire prendre en grippe la Ville éternelle. Heureusement Raphaël et Michel-Ange sont là, qui font tout oublier”. Cfr. Lettre de Madame Milliet à son fils, Paris, 15 novembre 1868, in Milliet 1915, p. 380.

159 Lettre de Paul à son père, Rome novembre 1868, in Milliet 1915, p. 381.

160 Ibidem.

161 A differenza di quanto avvenuto in precedenza con il gusto e l’attenzione di Milliet per i Primitivi e per un artista la cui fortuna critica presso i contemporanei stava crescendo proprio nel giro di questi decenni, per Raffaello e Michelangelo secoli di glorificazione avevano preceduto quel momento. Ancor più per Raffaello crebbe il mito nel diciannovesimo secolo, la sua fortuna storiografica e visiva è stata a lungo sottoposta al vaglio degli esperti, tanto da generare un’ampia bibliografia che qui citeremo per quanto concerne i soggetti citati da Milliet. Per quanto riguarda Michelangelo ricordiamo che si è tenuto a Roma il convegno di aggiornamento sulla fortuna visiva della cappella Sistina, a venticinque anni dal convegno La Sistina Riprodotta (vedi Moltedo Mapelli 1991), Tradurre Michelangelo della Sistina, a cura di

metterlo alla prova rispetto alle sue aspettative e rispetto a quella che era stata la sua conoscenza e la sua esperienza fino ad allora attraverso l’immagine tradotta162.

Il pittore francese definisce le Stanze di Raffaello “ciò che è unico al mondo”, che dichiara di preferirle al famoso dipinto della Trasfigurazione, aggiungendo però che le copie dei fratelli Balze non rendevano loro giustizia: risale al 1847 l’articolo de «L’Artiste» che annunciava le copie di Raffaello ad opera dei fratelli Balze163.

Sempre a Parigi nel 1883, Eugène Müntz pubblicherà un testo con la funzione di appendice all’opera del Passavant164. L’opera dello storico tedesco che aveva dettato i presupposti ideologici ai pittori romantici, aveva fornito nei suoi due volumi editi a Lipsia nel 1839, la prima sintesi storica sull’opera di Raffaello e ispirato il progetto fotografico sui disegni delle collezioni europee del principe Alberto I d’Inghilterra165. Già il Rumohr, nelle Italienische Forschungen, aveva raccolto il suo compendio sulla storia dell’arte italiana, ordinandolo in una progressione cronologica che dall’arte antica raggiungeva il suo culmine in Raffaello166. La monografia di Passavant vide la luce pochi anni dopo e tra gli aspetti innovativi della sua opera, vi è senza dubbio la parte conclusiva in cui raccoglie un ricco repertorio d’immagini: tale raccolta di copie ed incisioni del maestro ripercorre la fortuna visiva dei suoi dipinti dando così una traccia degli orientamenti di gusto nell’arco dei tre secoli167.

Tommaso Casini, Nino Criscenti Paola di Giammaria, Roma, Musei Vaticani, 9 giugno 2016; fondamentale inoltre il contributo di Jarjat 2008.

162 Com’è noto, la fortuna visiva di questi artisti fu subitanea, tanto che le prime incisioni della Sistina risalgono all’apertura della volta nel 1512. Per la fortuna della Sistina in incisione si rimanda oltre che al citato Moltedo 1991.

163 Per i frères Balze si veda l’articolo del 1847, cfr. Molitourne 1847.

164Müntz 1883.

165 La fortuna di Raffaello nelle critica Ottocentesca è stata affrontata in un saggio da Scarpati/Tarditi 1990, pp. 757-780, in generale l’intero volume.

166 Ivi, p. 762.

167 Ivi, pp. 763-764. Sul finire del secolo un’altra importante monografia vide le stampe, quella di Cavalcaselle e Crowe che fu edita a Londra tra il 1882 e il 1885, e tradotta poi in italiano per i tipi di Le Monnier tra il 1884 e 1891. Apparsa sul finire di quel secolo di grande interesse per l’arte raffaellesca, senza poter certo apportare stravolgimenti di giudizio si pone, come affermarono gli stessi autori, come analisi “della storia del progresso dell’artista”, per un contributo esaustivo su quest’opera si veda Fratellini 1990, pp. 781-798.

Numerose sono le riproduzioni di opere di Raffaello nel Fonds Milliet tanto da occupare quasi il 10% del corpus di fotografie di pittura: si tratta di centoquarantasei pezzi divisi in fotografie di grande e piccolo formato, riproduzioni fotografiche d’incisioni, stampe, glyptografie.

Delle Stanze vaticane sono presenti dieci fotografie inerenti alla stanza dell’Incendio di Borgo, a quella di Costantino e a quella della Segnatura, di cui una soltanto attribuita ad Alinari e una stampa da cliché Anderson [Tav. XVII].

Paul si dice invece un po’ deluso dalle logge vaticane, non tanto per la composizione ma per l’esecuzione, opera di allievi e apprendisti sotto la guida di Giulio Romano: il pittore rammenta che i disegni che Raffaello aveva eseguito per queste composizioni erano in parte conservati, mentre riguardo alle incisioni di Chaperon, attraverso le quali aveva conosciuto le logge di Raffaello, sostiene non fossero poi molto fedeli 168 . L’insoddisfazione di Milliet nei confronti delle traduzioni di Chaperon che avevano goduto di una certa fortuna, si può leggere come un esempio di quello scarto tra ciò che ha visto, ciò che si aspetta di vedere, e ciò che di fatto vede nel trovarsi a tu per tu con l’opera [Fig. 14].

Come afferma Nicole Dacos che ha condotto studi approfonditi e inediti sulle Logge di Raffaello, queste rimasero “il primo complesso ornamentale dell’arte Occidentale”, lodate fin dal Vasari, erano state la risposta ideale alle aspirazioni dei contemporanei, poiché Raffaello con la sua ideazione fece rivivere le figure del mondo pagano riscoperte nelle grotte del palazzo di Nerone169. Non solo i contenuti delle Logge si diffusero a Roma in varie decorazioni, ma già quando Raffaello era ancora in vita furono meta di pellegrinaggio da parte degli artisti viaggiatori, così come lo era la Cappella Sistina: rimandi alle Logge si trovano infatti in Correggio nella Camera di San Paolo, Parmigianino al Fontanello, Bronzino nella cappella di Eleonora di Toledo, solo per fare solo alcuni esempi; oltre alla ricezione delle logge come pilastro di ispirazione,

168 Lettre de Paul à sa mère, Rome novembre 1868, in Milliet 1915, pp. 381-382.

Le celebri incisioni di Chaperon risalgono al 1649, editate nel volume Sacrae historiae acta a Raphaele Urbin, Roma, 1649. Era costituita da 52 stampe numerate disegnate ed incise. L’opera è consultabile in digitale sul portale della BNF gallica: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8595077w .

stimolarono il fenomeno della copia per cui molti archivi pullulano di disegni e appunti grafici da queste derivate170.

La cultura delle logge fu portata in tutta Europa e in particolare in Francia da Luca Penni, il fratello di Giovanfrancesco che vi aveva lavorato: già il Rosso Fiorentino si era ricordato della loro composizione quando ideò la galleria di Francesco I a Fontainebleau171. Se come accennato le traduzioni di Chaperon furono un passaggio importante per la ricezione delle Logge in ambito francese nel corso del Settecento, nel primo Ottocento fu la figura che maggiormente creò un legame tra l’Italia e la Francia e in particolare con Roma e Firenze, ad interessarsi all’opera del grande maestro urbinate: Jean Auguste Dominique Ingres.

Fu un vero e proprio culto quello che Ingres creò intorno a Raffaello, egli stesso si era in parte formato sulle copie di capolavori di Raffaello disponibili all’Accademia di Tolosa, tra i quali la Scuola di Atene e il Parnaso delle Stanze Vaticane. Il momento topico fu comunque l’incontro con gli originali portati al Louvre con le spoliazioni napoleoniche, fra cui si annoveravano la Madonna della Seggiola, la Madonna del Baldacchino e il ritratto di Leone X, prelevati dalla Galleria di Pitti e poi restituiti172; a ciò si aggiunsero i soggiorni italiani di Ingres tra il 1806 e il 1841173. La devozione di Ingres per Raffaello si era articolata in un esercizio teorico ma anche di trasposizione dei modelli nella sua opera, attraverso quella pratica che lui definì assemblage, ovvero la “ricostruzione analogica del bello attraverso l’interpretazione e la guida dei Greci e di Raffaello” 174: tra i riferimenti di ambito romano c’erano le Logge vaticane e quella della Farnesina, da cui

170 Ivi, p. 314.

171 Ivi, p. 308.

172 Mazzi 1990 pp. 715-731. Per le esportazioni di Raffaello si veda Chiarini 1990, pp. 212-213.

173 Mazzi 1990, p. 717.

174 Ivi, p. 718. Riprenderemo poi in seguito la questione di Igres e Raffaello e il suo contributo alla cultura della copia, quando ci sposteremo con le ricerche sul fronte francese. Accenniamo solo brevemente al fatto che nel 1835, Ingres raccolse l’idea lanciata da Thiers di istituire a Parigi un museo delle copie, messo in atto decenni dopo da Charles Blanc. Nell’Ottocento dedito alla rivalutazione di Raffaello e alla ricerca spasmodica delle sue opere in ambito collezionistico, si deve comunque tener presente che una voce si levava fuori dal coro a castigare l’opera del maestro, quella dei romantici che non apprezzavano più il Raffaello romano, compreso Ruskin, che già aveva definito la Trasfigurazione “An ugly one”, durante il suo primo viaggio italiano nel 1840, cfr. Dacos 2008, pp. 324-329.

anche Milliet fu affascinato tanto da procurarsi un cospicuo numero di riproduzioni fotografiche175.

Dedicando l’ultima visita romana al capolavoro di Michelangelo, Paul rammenta quanto lo avesse colpito il lavoro di Ingres Chapelle Sixtine, conosciuto attraverso le litografie di Sudre [Fig. 15], le quali, così come si era espresso per le traduzioni di Chaperon “non rendevano la luce di un dipinto tanto eccezionale nella qualità coloristica e nell’armonia del chiaro-scuro”176.

La fortuna visiva della Cappella Sistina, esemplare caso di studio che come si è già accennato in nota è stato scandagliato dal convegno del 1991 e nuovamente affrontato nel 2016, beneficiò dell’attenzione di un fotografo straniero che si stava affermando in Francia, Adolphe Braun che dedicò la prima campagna fotografica di rilievo alla volta michelangiolesca, restituendo un’immagine caratterizzata dall’eccellente tecnica della stampa al carbone in grande formato, ma anche connotando l’operazione con accento internazionale177 [Tav. XVIII].

Marina Miraglia ha affrontato all’epoca del primo convegno di studi, la questione della fotografia in rapporto alla riproduzione delle opere d’arte nella città eterna, sede anche della calcografia e perciò luogo deputato ad accogliere lo scontro inevitabile tra incisione e fotografia che si evolse in un “rapporto di accesa rivalità che la fotografia intrattenne con il disegno e con l’incisione nel periodo del collodio (1850-1880), quando, risolti ormai i problemi di reduplicazione dell’immagine – preclusi alla dagherrotipia per la sua natura di unicum – la fotografia cominciò ad imporsi, effettivamente e per la prima volta, quale possibile medium alternativo nel campo non solo della produzione, ma anche in quello della riproduzione dell’immagine”178.

L’utilità didattica, senza dubbio uno dei risvolti principali della campagna Braun, era seguita da un’altra novità consistente nella scrupolosa fedeltà della documentazione, in

175 Della Loggia di Psiche nel palazzo della Farnesina ci sono nel fondo di Milliet quattordici fotografie anonime che illustrano sia l’intero sia vari dettagli degli affreschi affidati da Raffaello all’allievo Giovanni da Udine.

176 Milliet 1915, p. 142, illustrazione Pl. IX e p. 225.

177 Per la storia e la fortuna della cappella si rimanda anche a un contributo più recente: cfr. Buranelli 2003.

cui le inquadrature seguono l’originale fino a presentarne chiara esposizione dell’andamento di ogni piega, delle proporzioni generali e nella resa prospettica del succedersi delle numerose figure: a questa minuziosa restituzione non seguì per motivi tecnici un’altrettanta fedeltà nella resa cromatica che all’epoca era falsata dalla ineguale sensibilità dei chimici ai vari colori dello spettro solare179.

I risultati messi in commercio da Braun erano dunque disponibili all’epoca in cui Milliet soggiorna a Roma la seconda volta, nel decennio del Settanta e nel fondo dell’INHA se ne trovano alcuni esempi oltre ad altri di differenti produzioni, poiché altre campagne seguirono quella di Braun, come quella Anderson, Alinari e Brogi180.

Paul ripartì da Roma a gennaio del 1869 e il rendiconto del primo soggiorno romano termina con un’immagine e con alcune parole tratte da una lettera al padre: «j’avais gardé Michel Ange pour la fin, et j’ai bien fait. Si j’avais commencé par lui, je n’aurais pas quitté la Chapelle Sixtine»; l’immagine è quella di uno dei tondi monocromi affrescati da Signorelli nella cappella di San Brizio e preannuncia la prosecuzione del viaggio in direzione Orvieto181.

179 Ivi, p. 226.

180 Sono almeno 12 le stampe al carbone di grande formato autografate; 4 Alinari; e una stampa fotografica di grande formato del Giudizio Universale di Gustav Schauer di Berlino.

Figura 14 Nicolas Chaperon incisore, Raffaello inventore,

Cacciata dal Paradiso, Logge Vaticane, 1649

2.6 Milliet a Orvieto e le fotografie degli affreschi di Signorelli: «segno del