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La rappresentazione di Firenze al tempo dei viaggi di Milliet

Al tempo in cui Paul arrivò in Toscana, qual era l’immagine che Firenze proponeva di sé? Era certo un’immagine costruita nei secoli ma che il moltiplicarsi delle contaminazioni tra modi e mezzi del vedere nell’Ottocento, e lo scompaginarsi dei piani di lettura tipico di questo secolo, portò a una mutazione di cui non possiamo non tenere conto.

Dalle vedute dalle colline, ai tetti, ai singoli monumenti e i loro dettagli, la fotografia stava accorciando un percorso di avvicinamento dello sguardo durato quattro secoli: quando a Milliet si prospetta per la prima volta la «ville des fleurs», a lasciarlo esterrefatto sono la vista del Duomo e del Campanile di Giotto310. Ed è proprio dal termine della costruzione della cupola nel 1436, che il fulcro della veduta fiorentina era piazza San Giovanni; attorno alla sua circolarità e alla fisionomia chiusa delle mura, si era configurata per secoli la veduta reale di Firenze, fino alla metà dell’Ottocento311. Secoli di vedutismo avevano condotto gli interpreti dell’immagine della città a un progressivo avvicinamento, dall’esterno all’interno: alla stampa della Catena del tardo Quattrocento, era seguito l’inserimento delle vedute di Firenze nei dipinti del Quattro e Cinquecento, nei quali la città fa da sfondo fino all’improvviso sviluppo avuto in incisione negli anni Venti del XVII secolo con il lorenese Jacques Caillot. Con

310 Lettre de Paul à sa mère, 8 août 1866 in Milliet 1915, p. 263.

l’intervento di Caillot, la città non fu più solo una scenografia dietro la scena rappresentata ma diventò il luogo in cui la scena è inserita e nella quale si svolge la vita di tutti i giorni312.

Si deve arrivare agli anni Quaranta del XIX secolo, perché un vedutista come Giovanni Signorini (1808-1879), si dedichi a rappresentare immagini di Firenze destinate ad alimentare anche il mercato turistico: oltre ai toscani, passarono per la città pittori provenienti da altre zone d’Italia, come il genovese Luigi Garibbo, e una serie di personaggi stranieri che dettero la loro versione della città, tra cui Turner nel 1819 e 1828 e Corot nel 1834313. Tra gli artefici di quel progressivo avvicinamento dello sguardo dalle lontane colline, le rive del fiume fino ad arrivare a porzioni specifiche del tessuto urbano che sarebbero poi divenute luoghi comuni dell’immaginario fotografico, ricordiamo gli studi di Viollet-le-Duc, che dopo il prototipo di Giuseppe Zocchi, nel 1837 ci ha fornito un acquerello di una “precocissima veduta da sotto la loggia dei Lanzi di Piazza della Signoria e via della Ninna con lo spigolo degli Uffizi: un taglio prospettico che verrà molte volte ripreso”314.

I secoli che separarono il tradizionale vedutismo dallo sguardo ravvicinato fino all’interno della città, si annullano con la fotografia che li porta a coincidere in maniera sincronica con vedute panoramiche, scorci cittadini, singole architetture, scene di vita quotidiana per le strade, le piazze e i ponti di Firenze. Grazie alla fotografia il racconto urbano si fa capillare, rendendo accessibili in immagini, poi messe in circolazione a livello internazionale, luoghi e oggetti fino allora contemplati da specifiche categorie di visitatori, e diffuse attraverso colte stampe da incisione.

Un innovatore dello sguardo sulla città, che introdusse il punto di vista panoramico attraverso la dagherrotipia, fu John Ruskin, durante il suo soggiorno fiorentino del 1845, ritraendo la città medievale: il campanile di Giotto, la porta della mandorla sul fianco del Duomo, la porta gotica di Andrea Pisano per il Battistero, in una Firenze ancora non

312 È nel corso del XVIII secolo che vedutisti quali Vanvitelli (van Wittel), Bellotto, Zocchi, Marlow e Patch codificano immagini che saranno ripetute costantemente fino all’inizio del secolo successivo: quasi ossessive le vedute prese lungo il fiume, stereotipata ormai quella da Bellosguardo. Ivi, p.8.

313 Ivi, pp. 8-9.

trasformata dai radicali cambiamenti urbanistici che seguiranno nei secoli successivi, unendo tecnica e oggetto rappresentato315.

Quest’accostamento praticato dalla camera oscura sui contenuti urbani si può leggere in parallelo col procedere di un generale approssimarsi delle persone alla città, da un primo rinvigorirsi demografico della popolazione fiorentina, e ancor più dal momento in cui questa si espande con gli stravolgimenti urbanistici di Firenze Capitale (1865-1870), uscendo dalla cerchia delle mura, divenendo sempre più raggiungibile grazie all’arrivo della ferrovia, cambiando quindi passo in modo da trasformarsi ed entrare nella modernità, cercando una linea di somiglianza con le città europee adesso che è chiamata a svolgere l’onorato compito di capitale del Regno 316.

In sostanza si verificò che, negli anni Cinquanta, i pittori toscani, Signorini, Borrani e Cabianca, portano il cavalletto in città e nei dintorni, dipingendo en plein air, iniziando a praticare una pittura che guarda al vero dal vero, abbandonando i dettagli, i grandi monumenti architettonici, indirizzandosi verso il puro motivo pittorico della macchia317

[Fig. 23]. I fotografi fiorentini invece, senza tuttavia abbandonare il vedutismo, cominciarono a frequentare le sale dei musei, le cappelle delle chiese, i chiostri, le stanze private dei palazzi e trarne i capolavori, isolandoli dall’insieme e dal contesto e avviando quell’operazione di censimento fotografico caratterizzata a poco a poco da una sorta di sistematicità e completezza catalografica.

Se la pittura moderna si rivela sempre più indifferente al soggetto, la fotografia di riproduzione vi si appresta sempre di più, circoscrivendo i luoghi d’interesse, selezionando gli oggetti e i soggetti all’interno, entrando con l’obiettivo sempre più nel dettaglio. Già a metà degli anni Cinquanta, fotografi come Philpot o i Fratelli Alinari, rivolsero la loro attenzione ai tesori conservati nei musei: il primo fotografando le statue della galleria degli Uffizi e i disegni del Gabinetto cosi come gli altri, per conto del

315 Restucci 1986, p. 9; vedi anche nello stesso volume, Paolo Costantini, Ruskin e la fotografia: conoscenza e finalità educativa nella rappresentazione, pp. 13-24.

316 La popolazione di Firenze era di circa 50.000 abitanti e più del doppio sarà a metà del secolo, Cfr. Breschi / Malanima 2002, p. 11. Mentre al tempo del censimento del 1881 si conteranno 524.998 abitanti, cfr. Straforello 1890, p. 84.

317 Chiarini/ Marabottini 1994, p. 11. Inseriamo un esempio dall’opera di Vincenzo Cabianca, Marmi a Carrara, realizzato a seguito degli studi eseguiti durante l’estate del 1860 e presentato all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, cfr. Bietoletti 2001, p. 92.

Principe Alberto I d’Inghilterra318. Tra i primi oggetti d’arte fotografati e diffusi tra i fotografi in Europa, vi furono dunque i disegni degli antichi maestri ed è dalla presenza di alcune di queste fotografie nella collezione Milliet che prendiamo spunto per il primo esempio di studio derivato dalla presenza di determinati oggetti fotografici nel Fonds parigino.

318 Non si è trovato traccia dell’ingresso dei fotografi nel gabinetto nel 1885, ma una lettera della Direzione delle gallerie al Ministero nel gennaio del 1865, lo testimonia:

«Avendo i medesimi (Fratelli Alinari ndr) fin dal 1855 fotografato la maggior parte dei disegni più importanti della nostra collezione, nello stesso anno il sig. John Philpot fotografo inglese da molti anni domiciliato in Firenze otteneva il permesso di eseguire in fotografia alcuni disegni della collezione sopra citata per commissione ricevuta dal Sig. Ruland Bibliotecario di S. M. la Regina di Inghilterra e poco dopo ne eseguiva tutti gli altri per commissione di S. A. I. la granduchessa Maria di Russia Presidente quella Accademia di Belle Arti ambedue questi distinti personaggi rivolgevano personalmente preghiera alla direzione onde fosse concesso al sig. Philpot il permesso richiesto dando al medesimo facoltà riguardo al porre in commercio a vantaggio degli amatori e degli artisti le fotografie che eseguiva per loro conto che con i permessi prima accordati ai fratelli Alinari poi al sig. Philpot non solo possono trovare in commercio le fotografie di tutta la collezione dei disegni esposta al pubblico ma anche quelli più interessanti che sono tuttora nelle cartelle.» cfr. Direzione delle R.R. Gallerie, al Ministero della Pubblica Istruzione, Firenze 29 gennaio 1865, Filza 1865 A f. 19, ASGF, Firenze.

Come già citato in precedenza, sempre del 1855 invece è una richiesta ritrovata nella corrispondenza degli Uffizi, da parte Philpot per fotografare le statue per la quale si rimanda in Appendice T1.

1.3 Fotografie dei disegni degli antichi maestri di John Brampton Philpot: i primi