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Ricostruendo la vicenda di Milliet, inizia a prendere forma la figura di quest’artista viaggiatore e conoscitore dell’arte italiana, caratterizzata da un’attitudine specifica per l’uso di supporti visivi, declinati in vari ruoli secondo le esigenze. Ciò che si vuol far emergere è l’aspetto della diffusione delle fotografie nell’esperienza di Milliet: una diffusione che non riguarda soltanto quella degli stabilimenti sparsi sul territorio, a cui il pittore si indirizza per l’acquisto dei materiali fotografici, ma anche una circolazione messa in atto da lui stesso. Difatti, seppur circoscritto all’ambito domestico, il percorso di queste fotografie porta con sé un certo grado di trasmissione della conoscenza dell’arte e la divulgazione di una determinata cultura visiva che si stava affermando, grazie proprio all’iniziativa privata delle varie ditte di fotografi in Italia e in Europa. L’espansione delle attività dedicate alla documentazione fotografica del patrimonio storico artistico, avviene in special modo nel giro di anni in cui Paul viaggia nella penisola, come si vedrà per il caso Alinari su Firenze nella seconda parte del testo, e a riprova di questo incremento di produzione e anche del fatto che gli operatori degli stabilimenti avevano iniziato a viaggiare per ampliare la propria offerta commerciale, proprio nella città toscana, al tempo del secondo soggiorno di Paul, si svolge la prima campagna della Maison Braun sui disegni degli Uffizi138.

A tal proposito, alcune tracce della presenza di Braun a Firenze si trovano negli archivi fiorentini: già Migliorini ne ha dato notizia, in un articolo del 1994, citando il permesso

137 Lettre de Paul à Louise, Florence octobre 1868, in Milliet 1915, p. 367.

138 Dopo la ricognizione fotografica sui disegni degli antichi maestri, conservati nelle pregiate collezioni dei reali d’Europa e nel Regno d’Italia, la Maison Braun avviò le sue campagne di documentazione delle opere d’arte a partire dall’Italia, su consiglio dello stesso Paul de Saint Victor, nello stesso giro di anni in cui gli Alinari e Brogi compongono i primi cataloghi e Paul Milliet conduce i suoi itinerari: dalle lettere tra i membri della maison Braun e il critico, si evince che Henri Braun, chiese a de Saint Victor di fornirgli un programma del viaggio in Italia, per cui le campagne svolte a Firenze sugli affreschi di San Marco, all’Accademia di Venezia, all’Ambrosiana e a Brera nel 1868 e la grande campagna sugli affreschi della Sistina e a Palazzo Farnese furono il risultato del programma di selezione stilato da Saint-Victor; la corrispondenza intercorsa tra i Braun e Paul de Saint Victor è oggi di proprietà di Naomi Rosenblum che grazie a questi documenti ha ricostruito i rapporti tra i fotografi alsaziani e il critico francese, cfr. Rosenblum 1989.

concesso dall’Accademia di Belle Arti all’operatore di Braun, Marmand per fotografare gli affreschi di Andrea del Sarto nel Chiostro dello Scalzo e nel Chiostro dei Voti di Santissima Annunziata nel febbraio del 1868; l’operatore era già ben conosciuto perché aveva fotografato appunto i disegni degli antichi maestri139. Da questa campagna scaturì un catalogo dedicato alle statue, basso rilievi e dipinti di Firenze, Milano e Venezia140. Questo catalogo è composto da non molti soggetti, 20 dipinti per Milano e solo 7 per Venezia, mentre Firenze occupa gran parte del corpus di fotografie con 187 soggetti di cui: 88 tra statue e bassorilievi tratte dagli Uffizi, da Piazza Signoria, dal Battistero e dalla sacrestia nuova di San Lorenzo; 78 soggetti dagli affreschi e 21 dipinti degli Uffizi141. Per quanto riguarda gli affreschi, oltre a quelli citati nella documentazione per il permesso, quindi quelli di Andrea del Sarto all’Annunziata e nel Chiostro dello Scalzo, Braun inserisce il Cenacolo di Sant’Onofrio (ancora attribuito a Raffaello), quello di del Sarto a San Salvi, e 26 fotografie tratte dal convento di San Marco: tra queste primeggiano i soggetti angelichiani, oltre a una veduta del primo chiostro e al Cenacolo del Ghirlandaio142.

Una selezione così ristretta di soggetti fiorentini, e ben concentrata sui cicli d’affreschi, non può che denotare la trasposizione in ambito fotografico di quell’intento di colmare la lacuna della mancanza di opere eseguite con tale tecnica nelle collezioni d’arte pubblica a Parigi, attraverso i mezzi di riproduzione a disposizione: perfettamente in linea con quello che contemporaneamente Blanc operava attraverso il Musée des copies

139 L’Accademia concede a Marmand in data 9 febbraio 1868, il permesso di fotografare gli affreschi di Andrea del Sarto esistenti nel chiostro della Santissima Annunziata con la richiesta del deposito della doppia copia di ogni “storia riprodotta”. Nella medesima vi è una nota a matita dove si appunta che il 19 marzo, giorno di san Giuseppe, Marmand iniziò a fotografare il ciclo di affreschi del Chiostro dello Scalzo, terminando tre giorni dopo. Cfr. Accademia di Belle Arti, a Braun, 9 febbraio 1868, lettera ms., Filza 1869 fasc. 34, ASABA, Firenze, il documento è citato in Migliorini 1994, p. 44.

140 Laure Boyer nella sua tesi di dottorato ha riscostruito la cronologia dei cataloghi Braun, riconducendoli ognuno ad una data di “déclaration”, elemento probabilmente dedotto dalla documentazione della ditta, in cui appunto a una certa data si dichiara la successiva campagna fotografica a cui poi corrisponde la pubblicazione del catalogo (cfr. Boyer 2004, pp. 114-118). Secondo la ricostruzione di Boyer al 23 giugno del 1868 corrisponde la dichiarazione del catalogo Statues, bas-reliefs, fresques & tableaux photographiés à Florence, Milan et Venise; Catalogue des dessins reproduits en fac-simile par Adolphe Braun, Paris, Adolphe Legoupt éditeur d’estampes, s.d. (il testo non è datato, ma anche il formato digitale della BNF lo data al 1868 http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k8565213.r=%22adolphe%20braun%22?rk=64378;0 01.12.2016 ).

141 Braun 1868, pp. 3-6.

e con il pensiero, come abbiamo visto, degli stessi conservatori e operatori del Louvre. La scelta però di ritrarre quelli dell’Angelico e di del Sarto, anziché dei pittori tardogotici presenti sulle pareti di Santa Croce o San Miniato, deriva probabilmente dalla questione del gusto che avremo modo di affrontare in seguito.

In novembre fu per conto di Heinrich von Geymüller che Marmand si recò al Gabinetto degli Uffizi per fotografare alcuni disegni architettonici sui progetti di San Pietro, commissionatigli dallo studioso francese; i fac-simile che l’operatore avrebbe ricavato sarebbero serviti ad illustrare il volume in cui Geymüller pubblicava le sue ricerche. Scrisse Geymüller nella richiesta di permesso che con questa pubblicazione avrebbe potuto mostrare aldilà delle Alpi «il meraviglioso splendore cui giunse l’architettura italiana nel principio del Cinquecento»143. Profittando della commissione sui disegni degli Uffizi, Braun avanzò la richiesta di poter rifare i clichés di quei disegni che durante la campagna precedente non erano riusciti perfetti; inoltre scrive che invierà tramite il suo operatore i fac-simile “copiati” agli Uffizi144.

Di maggior interesse è la missiva inviata da Braun nel marzo dell’anno seguente, il 1869, quando il fotografo propone alla direzione delle gallerie un’offerta commerciale in merito alle sue riproduzioni di disegni (è interessante anche notare che nelle lettere il fotografo usi sempre la parola riproduzione o copia per indicare le fotografie). Tale proposta verteva sull’acquisto delle sue riproduzioni di disegni degli antichi maestri tratte dalle maggiori collezioni d’Europa, del Louvre, dell’Albertina di Vienna, della Granduca di Weimar, e del Museo di Basilea, proponendo uno sconto dedicato alle istituzioni pubbliche e una rateizzazione del pagamento in tre anni dalla data della fattura (lo sconto applicato era del 25% sui prezzi di catalogo)145. Un esempio, quest’ultimo, di come l’atteggiamento di un fotografo affermato come Braun fosse già

143 Enrico de Geymüller, a Carlo Pini, 8 novembre 1868, lettera ms., Filza 1868 A fasc. 135, ASGF, Firenze; Carlo Pini a Enrico de Geymüller, lettera ms., 24 novembre 1868, Filza 1868 A f. 135, ASGF, Firenze. T40. Lo studioso austriaco aveva già pubblicato una descrizione dei disegni che intende far riprodurre da Braun. Cfr. Geymüller 1868. Per un contributo recente sul tema si rimanda a: Ploder 2015.

144 Adolphe Braun, al direttore delle RR. Gallerie, 12 décembre 1868, lettera ms., Filza 1868 A f. 139, ASGF, Firenze. T41

145 Per i dettagli della proposta si rimanda la trascrizione del documento in Appendice fonti: Braun, al Direttore delle RR. Gallerie, 25 marzo 1869, lettera ms., Filza 1869 A f. 47, ASGF, Firenze. T44

indice di un’attitudine industriale della sua azienda, tanto da proporre vantaggiosi accordi commerciali alle istituzioni pubbliche, facendo leva su quelle caratteristiche intrinseche al proprio lavoro e che potevano affascinare tale clientela: «Ora la più gran parte dei musei d’Europa, e le gallerie private e quelle aperte al pubblico, si procurano le mie riproduzioni per arricchire le loro Collezioni se non con Originali i quali di giorno in giorno divengono più rari, almeno con le copie; e la Galleria degli Uffizi a Firenze essendo una delle più importanti dell’Europa, per certo vorrà pure fornirsi delle riproduzioni di quei Originali, che appartengono alle Gallerie e Musei foresti.»146. Le campagne fotografiche svolte in Italia non furono però prive d’ostacoli; anzi, egli dovette affrontare di volta in volta diverse resistenze, che non si riscontrano tanto nella documentazione pubblica, quanto nella corrispondenza privata dei componenti della famiglia e della ditta Braun: scrisse infatti Henri Braun in una lettera a Paul de Saint Victor nel 1869, che «l’intervention amicale du comte Borromée permit d’accéder au Musée de Florence, tandis que pour la Farnésine, ce fut l’échec complet»; lo stesso valse per la prima campagna a Roma, durante la quale aveva dovuto oltrepassare una certa inerzia amministrativa: «Le début a été déplorable»147.

E proprio nei mesi in cui l’operatore Marmand frequentava la Galleria di Firenze, Paul intraprese il suo secondo itinerario fiorentino: «Questa presidenza permette al signor Paolo Milliet di fare alcuni studi sul suo libro di ricordi dagli affreschi esistenti in codesta chiesa», la chiesa è quella del Carmine e il permesso è datato 23 ottobre 1868148. Si tratta della prima traccia documentaria sul pittore emersa dallo spoglio dell’Archivio delle Regie Gallerie presso gli Uffizi, di pochi giorni successivi è datata un’altra concessione dal direttore delle Gallerie, per lavorare col disegno presso il Museo di San Marco149 [Fig. 11].

146 Ibidem.

147 Le lettere sono citate in Kempf 1994, p. 68. +

148 Presidenza della commissione, al rettore della Chiesa del Carmine, lettera ms., 23 ottobre 1868, in ASGF Filza 1868 A fasc. 110. T37

149 Direttore delle Gallerie, al custode del Museo di San Marco, lettera ms., 27 ottobre 1868, in ASGF Filza 1868 A fasc. 110. T37

Tra le fotografie del Fonds Milliet che documentano opere fiorentine tra le più antiche, vi sono quelle degli affreschi tardogotici del Cappellone degli Spagnoli, di cui troviamo una corrispondenza nel racconto di Paul. Il ciclo che decora la cappella in Santa Maria Novella è, in effetti, la prima tappa del secondo tour toscano: resta colpito soprattutto dalle figure allegoriche: «Serions-nous moins instruits que les gens du moyen-âge?»150. Nella collezione fotografica ci sono dunque dieci fotografie della Chiesa militante e trionfante di Andrea di Bonaiuto, tre delle quali sono timbrate Alinari: due di queste appartengono al decennio del 1870 secondo il timbro a secco, e la terza al decennio precedente, fatto che ci induce a pensare che le abbia acquistate durante i soggiorni italiani, senza escludere Napoli, dove i fratelli Alinari avevano una succursale e dove Milliet si recherà più volte nel corso del terzo tour [Tav. XIII].

Così come per le fotografie di Naya anche queste degli affreschi di Andrea di Bonaiuto, sono segnate di annotazioni a matita coi nomi delle singole allegorie in corrispondenza delle figure; oltre a questo è bene notare che le stampe raccolte da Milliet sono prive di didascalie e che, nella fotografia con il dettaglio delle Scienze, egli segna il nome di Taddeo Gaddi con un punto interrogativo e su un’altra, il nome di Cimabue di nuovo con un punto interrogativo [Tav. XIV].

Questa confusione sull’autorialità non stupisce poiché, i cicli della sala capitolare affrescata da Andrea di Bonaiuto tra il 1365 e 1367, risentivano all’epoca di problemi attributivi, messi in moto già da Vasari che li aveva ascritti a Simone Martini e Taddeo Gaddi (ed è appunto al Gaddi che si riferisce Milliet). Fu Cavalcaselle a mettere in dubbio l’attribuzione riconducendoli alla mano di Andrea da Firenze unitamente ad Antonio Veneziano: così è riportato anche dagli stessi Alinari in nota nell’Appendice al catalogo del 1876151.

150 Lettre de Paul à Louise, Florence octobre 1868, in Milliet 1915, p. 367.

151 Alinari 1876, p. 109. Mentre nel precedente del 1873 non si accennava alla messa in discussione delle attribuzioni vasariane, cfr. Alinari 1873, pp. 80-81. La vicenda di Andrea di Bonaiuto, dimenticato nei secoli, fu riscostruita grazie anche alla ricerca documentaria che fece emergere note di credito nei confronti di un certo Andrea da Firenze che Milanesi suppose fosse Andrea di Bonaiuto, ricordiamo poi che l’edizione italiana della New History of Paintings di Cavalcaselle e Crowe.

Non ci soffermeremo su quegli stralci di lettere che Milliet dedica alla descrizione della scultura fiorentina, ammirato dell’opera di Andrea Pisano, del Campanile di Giotto e delle porte del Ghiberti, opere delle quali peraltro esistono esemplari fotografici nella raccolta del pittore che però non sono ancora disponibili per la consultazione data la mancata inventariazione. Proseguiremo quindi con le impressioni e corrispondenti testimonianze fotografiche dei pittori da lui venerati durante i suoi percorsi.

Degli appunti grafici presi presso la chiesa del Carmine, è testimonianza lo schizzo di un volto d’après Masaccio, inserito tra le pagine del racconto della cappella Brancacci in cui, quando l’occhio si abitua alla semioscurità: «surgit rayonnante la pensée immortelle de Masaccio»152 [Fig. 12]. Altro maestro fiorentino particolarmente apprezzato da Milliet, come denota anche la presenza nel Fonds di quattordici riproduzioni fotografiche degli affreschi del Carmine di cui tre portano il timbro Alinari, e quattro hanno il timbro a inchiostro di Giraudon, otto di queste sono di grande formato.

Oltre a Masaccio, è il suo allievo Filippo Lippi del quale racconta lo scandaloso aneddoto alla sorella, inviandole la fotografia di quella vergine degli Uffizi che tanto rassomiglia a Lucrezia Buti [Tav. XV]153. Ghirlandaio invece è l’ultimo pittore citato da Milliet come vero erede dell’arte di Masaccio, di cui ritroviamo sei fotografie della cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, oltre che ad altre stampe fotografiche di sue opere degli Uffizi, della Cappella Sistina in Vaticano, di Santa Maria Assunta a San Gemignano [Tav. XVI].

Così la narrazione del secondo itinerario fiorentino, per gran parte dedicato ai pittori tre-quattrocenteschi, subisce uno spostamento cronologico sugli ultimi ricordi dedicati al grande avvenimento che si svolse a Firenze nel 1503, con l’istituzione del concorso tra Leonardo e Michelangelo per la decorazione della Sala del Consiglio di Palazzo della Signoria154. Paul raccomanda alla sorella di andare al Louvre a studiare il disegno tratto da Rubens dal cartone della Battaglia di Anghiari di Leonardo [Fig. 13]: in quanto all’opera di Michelangelo sulla Battaglia di Cascina spiega che rimane solo qualche frammento e l’incisione del Raimondi, Les Grimpeurs, sua antica passione fin dai giorni ginevrini presso l’atelier Lugardon155.

152 «Pour Masaccio le dessin n’est pas seulement un contour; il distribue les ombres par larges masses qui déterminent les grand plans. Un statuaire pourrait modeler d’après ces figures si bien construites», in Milliet 1915, pp. 372-373.

153 Lettre de Paul a Louise, s.d., in Milliet 1915, p. 373. Delle due fotografie presenti nel Fonds Milliet con molta probabilità quella dell’intero dipinto firmata Alinari è quella inviata alla sorella, mentre la seconda di cui non si conosce l’autore è il dettaglio del volto della Madonna e del bambin Gesù.

154 Lettre de Paul à Louise, Florence octobre 1868, in Milliet 1915, p. 374.

155 Tra le pagine della biografia troviamo una tavola fuori testo che riporta il frammento del cartone preparatorio di Michelangelo per la guerra pisana [i.] e anche una eliotipia del cartone di Rubens del Louvre [i.]. L’immagine del cartone della battaglia michelangiolesca è una la riproduzione in eliotipia che ritrae la porzione di figure in basso a destra e sembra essere derivata da una fotografia di John Brampton Philpot: tale deduzione ci giunge dalla presenza sull’immagine di un “codice” composto da una P seguita

Ripartito da Firenze, sulla strada verso Roma si ferma ad Assisi, per vedere gli affreschi di Giotto in San Francesco, che giudica però di minor qualità rispetto a quelli di Padova, tanto che gli sembrano per la più parte eseguite dai suoi allievi. Milliet riparte da Assisi una mattina alle quattro, con la speranza di arrivare a Roma prima di notte e di alloggiare all’Hotel des Césars (dove in realtà non trova posto), si reca la sera stessa a Villa Medici a disegnare, dato che lì, ci sono sempre dei modelli viventi in posa156.

da un numero (P2562), modus operandi rintracciabile su altre fotografie di disegni del fotografo inglese, peraltro il numero coincide con il numero di catalogo a cui corrisponde il soggetto detto “Studio per il cartone celebrato”, cfr. Philpot 1870, p. 22.

156 Lettre de Paul à sa mère, Assise et Rome, novembre 1868, in Milliet 1915, pp. 378-379.

Figura 11 J. P. Milliet, croquis d’après Beato Angelico

Figura 12 J. P. Milliet, croquis d’après Masaccio

Figura 13 Léon Marotte, Dessin de Rubens

2.5 Milliet a Roma: il contrasto tra ciò che si aspetta di vedere e ciò che vede in