• Non ci sono risultati.

Il gusto per l’affresco come si è detto è centrale nell’esperienza di Milliet ed è protagonista non solo dei racconti ma anche di buona parte della raccolta fotografica, nonché, dei disegni di studio che ha pubblicato nella biografia.

Senza dubbio questa predilezione ha a che fare con l’interesse della cultura francese per i cicli d’affreschi della pittura italiana, ma si può pensare che faccia anche parte di una caratteristica peculiare del tempo: il revival dell’affresco nell’arte del primo Ottocento. Furono i Nazareni tedeschi, a recuperare questa tecnica a Roma: la ripristinarono in maniera filologica, considerandolo idoneo per una moderna decorazione pubblica, popolare e cristiana198. Da Roma questo recupero si diffuse in tutta Europa, tanto che anche cicli figurativi come Il Giudizio Universale di Peter von Cornelius a Monaco, o gli affreschi del Parlamento di Londra, possono dirsi appartenenti alla storia della pittura romana199.

L’interesse per i cicli affrescati, si manifesta nella cultura francese attraverso le copie che i pensionnaires di Villa Medici a Roma inviavano a Parigi e sul cui destino si interrogava lo scultore Louis Auvray200, sostenendo che dato che il Louvre non avrebbe mai potuto procurarsi gli originali, poiché si trattava di affreschi appunto, queste copie spesso realizzate con grande fedeltà avrebbero dovuto confluire nel museo parigino, così da fornire un’idea delle opere dei grandi maestri, migliore di quella offerta dall’incisione: «Tout le monde y gagnerait: l’administration utiliserait les travaux des pensionnaires qu’elle entretient à Rome, les élèves connaissant l’emploi de leurs copies, y mettraient plus de soin encore; les artistes verraient s’augmenter chaque années les séries de maîtres à étudier ou à consulter, et le peuple, qui ne peut faire le voyage d’Italie, aurait

198 Una spinta verso il revival dell’affresco scaturì dalla pubblicazione nel 1821 del Libro dell’arte di Cennino Cennini (cfr. Cennini 1821), che rese disponibile il sapere delle antiche maestranze medievali. Cfr. Vasta 2012, p. 45.

199 Susinno 1991, p. 399.

200 Louis Auvray (1810-1890), scultore e redattore dei cataloghi ufficiali del Ministère des Beaux-Arts, fu anche fondatore della «Revue artistique et littéraire», edita a Parigi tra il 1860 e il 1867, cfr. http://data.bnf.fr/12462842/louis_auvray/ 1.12.2016.

sous les yeux les chefs-d’œuvre que possède l’Italie, et dont le touriste parle avec tante d’admiration. Nous soumettons de nouveau ce projet à qui de droit.»201.

I propositi di Auvray, si materializzeranno di lì a poco nell’ambizioso progetto del nuovo direttore des Beaux Arts, Charles Blanc, autore di una delle prime storie dell’arte illustrate, il quale denunciava la mancanza dell’insegnamento della storia dell’arte nel sistema educativo francese202. Blanc nel 1871 propose al ministero delle belle arti un progetto che prevedeva la commissione di copie ad artisti di ambito accademico da opere del Rinascimento, così da poter mettere in pratica quell’aspirazione che aveva già espresso anni addietro in un articolo sulla «Gazette des Beaux Arts» del 1862, in cui aveva descritto la collezione d’arte privata di Adolphe Thiers203, cioè creare un “Louvre cosmopolita”. L’intento non era solo quello di porre i grandi capolavori al cospetto degli artisti, così da istruirli e farli misurare con l’arte classica e senza tempo, ma anche di istituire un museo pubblico per queste copie in modo da istruire il pubblico sui grandi capolavori204.

Gli studiosi che si sono occupati di questa vicenda hanno espresso opinioni contrastanti sulle motivazioni che portarono Blanc a questa proposta: Albert Boime ha sostenuto che Blanc aspirava a creare un museo che integrasse le lacune del Louvre, attraverso la copia dei capolavori più accreditati del Rinascimento, in modo da orientare il gusto del pubblico verso l’arte classica e distoglierlo invece dall’arte contemporanea205, verso la quale si stava manifestando un interesse eccessivo. Vaisse, invece, ha avanzato l’ipotesi

201 Auvray 1860, p. 183.

202 I principali contributi dedicati alle vicende e ai contenuti del Musée des copies sono quelli di Boime 1964; Pierre Vaisse 1976; e quello più recente Scherkl 2000. L’articolo di Duro invece ricostruisce il catalogo del museo delle copie, cfr. Duro 1985.

203 Adolphe Thiers (1797-1877), politico e storico francese. Cfr. < http://www.treccani.it/enciclopedia/marie-joseph-louis-adolphe-thiers/> 10.07.2017.

204 Tra le motivazioni che Blanc portò al Ministro per indurlo a sostenere il progetto, ci fu quella della necessità di sostenere gli artisti messi in difficoltà a causa della guerra e di approvare così lo stanziamento di un budget da dedicare alle missioni di copia. Ci furono infatti altre commissioni per copisti oltre al progetto di Blanc, per motivi di propaganda ma anche per aiutare gli artisti in difficoltà furono stanziati dall’amministrazione budget tra gli 800 e i 1200 franchi a copia, su temi religiosi che avrebbero ornato le chiese e i musei di provincia, mentre per le copie destinate al museo delle copie, gli artisti ricevevano tra gli 8.000 e i 10.000 franchi che dovevano bastare anche per le spese di viaggio e per il soggiorno all’estero. La relazione di Blanc al ministero si trova in Archives Nationales Paris, F21 572, pubblicata da Vaisse 1976, pp. 55-56.

che il progetto di Blanc fosse espressione di quell’ideale democratico del museo già venuto alla luce con l’Illuminismo piuttosto che una lotta contro le avanguardie, e che l’educazione del popolo non fosse intesa da Blanc come educazione estetica all’arte, ma come possibilità anche per i ceti più bassi di entrare in contatto con i capolavori206. In effetti, nel piano di studi dell’École, soltanto alla copia esatta veniva attribuita un’utilità pratica per l’istruzione dello studente, dove per esatto si intendeva la stupefacente somiglianza con l’originale, come un trompe-l’œil che avrebbe permesso di ottenere due quadri indistinguibili l’uno dall’altro. Istruire gli artisti ai capolavori, e per mezzo delle loro copie metterli in contatto diretto con un pubblico vasto e di ogni genere, avrebbe permesso secondo le teorie di Blanc di frenare quella polverizzazione della prassi artistica, quell’abbandono del canone, messo in essere dalle contemporanee tendenze artistiche207.

E fu proprio assieme alle tendenze contemporanee che volle esporre le copie, nel medesimo spazio e tempo. Il museo delle copie fu, infatti, allestito nel 1873, presso il Palais de l’Industrie et des Beaux Arts sugli Champs-Elysées, dove contemporaneamente si svolgeva il Salon: è l’inizio del Musée Européen con la mostra di circa centocinquanta copie dagli antichi maestri, tra cui si trovavano alcune dei capolavori di Raffaello, Michelangelo, Tiziano, dei maestri della scuola bolognese, spagnola e olandese208. Il museo aprirà il 17 aprile209, e Louis Auvray, incaricato di redigere i cataloghi delle esposizioni ufficiali des Beaux Arts, pubblicherà un volume dedicato al museo, presentandolo come la realizzazione di quel pensiero che aveva espresso anni addietro sulla rivista di cui era direttore e che abbiamo citato all’inizio di questo paragrafo210. L’intenzione del testo era di spiegare i contenuti dell’esposizione in modo da zittire le polemiche che si erano levate in merito sulla stampa e fare in maniera che ne fosse

206 Ibidem.

207 Ivi, p. 361-362.

208 Journal des débats 1873.

209 Le XIXe siècle 1873.

apprezzato lo scopo elevato, la sua utilità per la storia dell’arte e per l’educazione artistica del popolo211.

Una delle critiche più consistenti che fu mossa al progetto di Blanc giunse da parte di un parlamentare monarchico, Jules Bouisson, che nel 1872 si scagliò contro Blanc non solo per la cattiva qualità delle copie, ma anche contro il progetto in sé e per sé, che giudicava fondato su una concezione dell’arte ormai sorpassata da cinquant’anni; le fotografie, disse Buisson, sarebbero state rispetto alle copie una soluzione migliore e più economica212. Ma Blanc su questo non era d’accordo: non che non apprezzasse la fotografia come mezzo di riproduzione, tutt’altro, tanto che nel 1867 aveva scritto che “la diffusione democratica della bellezza viene dal sole”213, ma nel caso specifico sosteneva che le fotografie non fossero efficaci quanto le copie, in quanto solo la copia rappresentava la formula per la copia fedelissima dell’originale214.

Tuttavia, il progetto del museo naufragò nel giro di sei mesi; esso fu smembrato dal successore di Blanc alle belle Arti, Philippe de Chennèvieres, che in parte trasportò le copie all’École perché servissero da modelli per gli studenti e in parte disperse tra le chiese e i musei delle province francesi, così come ha ricostruito Duro nel catalogo215. I motivi per cui il progetto fallì furono anche politici. Una certa stampa monarchica infatti si era espressa negativamente affermando che le copie presentate da Blanc non erano degne degli originali e non potevano essere apprezzate dagli esperti, ma l’idea di Blanc non era rivolta solo agli esperti, ma soprattutto a chi non avrebbe avuto l’opportunità di vedere di persona i capolavori. Oltre a questo però c’è un fatto che indiscutibilmente segnò la fine della vicenda, e cioè che il paradigma dell’arte stava cambiando e la proposta di Blanc di un ideale classico, che si fondasse su un canone immutato, non trovava più un riscontro nelle tendenze contemporanee degli impressionisti che in primis si assestavano sull’asse opposto delle teorie di Blanc,

211 Ivi, p. 8. In calce al volume sono presenti gli elenchi delle copie esposte e degli artisti che le hanno realizzate, inseriamo gli elenchi in appendice.

212 Vaisse 1976, p. 58.

213 La citazione di Blanc è tratta da Blanc 1876, p. 538. È citato da Vaisse 1976, p. 65.

214 Scherkl 2000, pp. 361-362.

professando la ricerca individuale di una forma nell’arte che restasse più vicina al momento dell’impressione della prima apparizione della realtà: il vocabolario di Blanc non era più in grado di giudicare le proposte dei Salons, la fotografia e non la copia potevano ispirare questi artisti216.

Paul Milliet fu uno dei protagonisti del Musée des copies per sua stessa scelta poiché convinto della bontà dell’idea di Charles Blanc nel mettere a punto questo progetto, decise di indirizzargli una domanda per potervi prendere parte, offrendosi di copiare un affresco in Italia, con l’idea sottintesa ma non secondaria, che questa esperienza potesse essere per lui sostitutiva del Prix de Rome217. Fu così che il direttore dell’École, M. Guillaume, che aveva sempre avuto di lui una certa stima, appoggiò la sua richiesta e Milliet fu incaricato di copiare un affresco di Melozzo da Forlì in Vaticano, che rappresentava la scena del Platina che mostra a Papa Sisto IV il progetto della nuova biblioteca218.

Per entrare in Vaticano serviva un permesso, che ottenne dal direttore dell’Académie de France. Il pittore De Pury, incontrato a Villa Medici, gli affittò il suo atelier, poiché avrebbe passato l’estate a Firenze. Il rilascio del permesso si prolungò così tanto che non riuscì a vedere il “suo melozzo” fino ai primi di giugno 219.

La scelta dell’affresco di Melozzo forse non si basò solo sul fatto che fosse un grande maestro del Quattrocento, ma potrebbe aver influito anche l’iconografia, poiché, come ha scritto Édouard Pommier, la figura di Sisto IV o meglio il suo ruolo politico era significativo per la Francia repubblicana, dato che con la fondazione dei Musei Capitolini aveva restituito le opere d’arte in suo possesso al popolo romano220.

216 Scherkl 2000, p. 370.

Evidentemente secondo Blanc, che pure fu un importante sostenitore della fotografia come moltiplicatore di immagini - «Le meilleur usage qu’on puisse faire de la photographie, et le plus noble, est assurément de l’employer à la reproduction des éternels chefs-d’œuvre de l’art» - la riproduzione fotografica come sostituto dell’affresco originale, non era efficace quanto la copia esatta. Per la citazione cfr. Blanc 1863, p. 268.

217 Milliet 1916, p. 119.

218 Ibidem.

219 Lettre de Paul à sa mère 29 mai et 1 juin 1872 e Lettre de Paul à Alix 5 juin, in Milliet 1916, p. 120.

Paul riesce a vedere l’affresco solo l’8 giugno e ottiene tutti i permessi che gli consentono di iniziare a lavorare il 4 luglio, ma lo stato in cui trova l’opera è pietoso. Scrive infatti alla madre che è stato staccato dal muro in malo modo e in altrettanto malo modo incollato sulla tela. Più nello specifico, riguardo alla copia, scriverà anche all’amico Jules Nicole: «Il est facile d’imiter l’aspect extérieur d’un tableau, mais toute œuvre d’art est comme un être vivant, elle a une âme, un coté caché, insaisissable. J’ai à copier une fort belle œuvre de Melozzo da Forlì. C’est un maitre encore primitif, mais de la seconde période, celle des naturalistes. Son tableau n’est pas un poème de religion ni de philosophie comme les fresques de Giotto, nulle émotion, nulle expression des passions, nulle action, nulle rêverie, mais une vérité saisissante. […] C’est un art jeune, encore un peu raide et sec, mais tout plein de cette sincérité qui est de la conscience»221.

Paul terminerà la copia solo nel febbraio del 1873 [Fig. 17-18].

Nel frattempo aveva scoperto di essere stato arrestato in contumacia per aver partecipato alla Comune di Parigi nel 1871: «Inconnu et disparu» recitava il dispaccio della polizia parigina, riferendosi a Milliet che era stato condannato per aver indossato l’uniforme e aver portato le armi, anche se il fatto di non averle usate rendeva il reato e la pena meno gravi. Paul, ricercato dal 25 giungo 1871, dato che non fu rintracciato, fu condannato alla deportazione in seguito al pronunciamento del Conseil de guerre del 17 settembre del 1872. Subito dopo la Comune si era rifugiato nel falansterio “la Colonie”, fondata e animata da suo padre a Condé-sur-Végre vicino a Rambouillet222. Se fosse rientrato a Parigi avrebbe dovuto scontare una pena di cinque anni di reclusione, così scelse l’esilio restando a Roma fino all’armistizio del 1879223.

Tillier affronta la questione degli artisti esiliati e deportati ricostruendone il fenomeno tramite l’esperienza di diversi artisti, tra cui Gustave Courbet e trattando di Paul Milliet

221 Lettre de Paul à Jules Nicole, 15 juillet 1872, in Milliet 1916, p.134.

222 Queste notizie si trovano nel libro di Bertrand Tillier che ha voluto scardinare il luogo comune fissatosi nella storiografia per cui quella della Comune fosse stata una rivoluzione che non ebbe niente a che fare con l’arte, che non se ne servì o non la influenzò: al contrario sostiene Tillier, nessuna rivoluzione intrattenne un rapporto così complesso con le immagini come quella della Commune di Parigi. Una parte del testo è anche dedicata all’approfondimento delle vicende degli artisti comunardi che furono deportati e esiliati. Cfr. Tillier 2004, p. 184.

223 Oltre alla reclusione e all’esilio, tra le pene inflitte ai partecipanti alla Comune vi era deportazione in Nuova Caledonia Alle vicende politiche della Francia e dei suoi familiari, Paul dedica molto spazio nella biografia, e fu anche questo aspetto a spingere l’editore Charles Peguy a intraprendere l’edizione degli scritti di Milliet. La questione repubblicana era stringente per Paul tanto che intitolò il fascicolo dedicato all’ultimo soggiorno.

attinge ai racconti della sua biografia leggendoli in questa chiave: nelle parole di angoscia che Paul scrive alla madre dopo aver saputo della condanna e nelle manifestazioni di malessere fisico che vivrà a Roma negli anni a seguire, egli vede anche una conseguenza dell’isolamento di questi artisti determinato dall’esilio, un isolamento che li porta sul versante artistico ad essere improduttivi224. Scrive poi, a proposito di Courbet: «Il était sous l’emprise presque permanente de l’alcool […], Courbet avait fini par voir la nature à travers l’opale de ses continuels verres d’absinthe»225.

In quanto a Paul, le sofferenze conseguenti all’esilio lo porteranno a una dichiarazione scritta destinata al suo dossier di domanda di grazia nel 1876: «Je déclare avoir cru la République menacée; et c’est dans le but de la défendre que j’ai accepté de la Commune un emploi d’ordre et de conservation. Aujourd’hui que la République est établie, je demande à rentrer en France pour la servir en citoyen dévoué et soumis aux lois»226. L’esilio, non portò solo a una sorta di decadenza dello spirito e della produttività degli artisti, ma li mise anche nella condizione di dover mettere in secondo piano le proprie aspirazioni personali a favore di lavori che fossero remunerati. Come afferma lo stesso Milliet, sembra quasi che il copista abbia soppiantato il pittore: molti artisti della proscrizione furono costretti a dedicarsi a lavori di riproduzione o traduzione, tanto che alcuni di loro, come Georges Montbard e André Slomczinski, divennero illustratori di alcune testate di periodici227.

Negli anni Settanta, almeno per gli artisti francesi, ma non solo per loro poiché gli esiliati si trovavano sparsi per tutta Europa, da Londra a Roma passando per la Svizzera, le pratiche di traduzione e riproduzione delle opere d’arte assumono una dimensione che va oltre a quella artistica, incarnando un valore politico e attinente al quotidiano nel rivelarsi una fonte di denaro, necessario per sostenere la vita lontano dal proprio luogo di residenza.

224 Tillier 2004, pp. 194-197.

225 Ivi, p. 197.

226 Il passo tratto dal secondo tomo della biografia del pittore è citato in Tillier 2004, p. 296.

Figura 17 Léon Marotte, Melozzo da Forlì,

Sixte IV donne audience à Platina (1477)

Figura 18 J. P. Milliet, copie de Melozzo da Forlì,