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Catania: porta d’ingresso per l’Italia

Nel documento Filippo Concollato (pagine 78-82)

La Sicilia negli ultimi vent’anni ha costituito la principale porta d’ingresso per i flussi migratori diretti verso l’Italia ed i vicini Paesi europei. Inoltre da zona di transito si è trasformata, col tempo, in luogo di residenza per una fascia minoritaria di immigrati.

Nel caso specifico dallo studio di Virginia Floreale del 1991 emerge che Catania è la città col maggior numero di senegalesi in Italia; questo sembra dovuto ad una serie di fattori che ne hanno favorito l’inserimento. Il primo fattore è costituito dalla posizione geografica e dalla facilità d’ingresso. Catania diviene luogo di arrivo dei flussi migratori senegalesi negli anni ’80, è in questo periodo che anche grazie alla legge Martelli è facile entrare nel nostro Paese. È sufficiente, infatti, essere in possesso di un semplice visto turistico ottenibile con relativa facilità presso le ambasciate italiane. Soprattutto nella prima fase dell’immigrazione senegalese in Italia, la “porta siciliana” aveva un’importanza primaria.

Un altro aspetto molto importante è dato dalla similarità tra l’ambiente ospite e il contesto di riferimento: a Catania, diversamente da altre città italiane ed europee, la comunità senegalese è riuscita a ricreare le relazioni amicali di tipo familiare e religioso proprie dei villaggi di origine. La maggior parte di questi immigrati senegalesi proviene da zone prevalentemente agricole, dedite solo marginalmente all’artigianato ed al commercio. Emigrano principalmente per cercare lavoro: si spostano prima all’interno del Paese, dalle campagne verso la città e poi da qui il grande

salto verso l’Europa.

Per quanto riguarda la realtà catanese un elemento d’attrazione molto importante è rappresentato dalla presenza di una rivendita di alimentari, nei pressi della stazione ferroviaria, a gestione familiare chiamata l’Ambasciata del Senegal. In breve tempo questo negozio è diventato punto d’incontro e di ritrovo dei senegalesi. Questo spazio può essere definito come istituzione etnica dei senegalesi a Catania, un luogo di socializzazione e promozione della solidarietà del gruppo. Proprio in questo luogo la Floreale ha svolto la sua ricerca di osservazione partecipante, da cui è emerso che i senegalesi a Catania dimostrano una coesione di gruppo non riscontrabile nelle altre comunità di immigrati presenti sul luogo.

Nella città siciliana in questione la maggior parte dei senegalesi fa il venditore ambulante e questi costituiscono una vera e propria corporazione che monopolizza il settore dell’ambulantato. Questo lavoro risponde all’esigenza di flessibilità che essi privilegiano dato che provengono da una comune condizione lavorativa, nel loro Paese, di coltivatori e commercianti. Il lavoro assume un’importanza fondamentale, in quanto rappresenta il mezzo per ottenere il riscatto dalla condizione di miseria e di emarginazione. L’immigrato non tenta di diventare membro della nuova società, impegnato com’è a lavorare per poter accumulare il denaro da spedire in patria. Di tutti i senegalesi intervistati dalla Floreale nessuno ha un progetto lavorativo di lunga scadenza; al contrario, essi vedono il momento del rientro al loro Paese come la giusta conclusione della loro esperienza migratoria.

Anche gli immigrati che si sono fermati a lungo ed hanno instaurato rapporti amichevoli con gli abitanti del luogo, continuano a sentirsi al di

fuori della società, in quanto legati perennemente al pensiero del ritorno. Questo periodo della loro vita che li vede nella condizione di immigrati viene prima concepito e poi vissuto come transitorio, come un arco di tempo utile per mettere da parte la somma di denaro necessaria per poter realizzare gli obiettivi prefissati.

I giovani senegalesi, in pochi anni, sono venuti a contatto con una società in cui le loro tradizioni si scontrano con una realtà molto diversa: si dà importanza al risparmio e al posto di lavoro fisso. Molti regolarizzati partono per altre destinazioni, verso il Nord industrializzato dove è più facile trovare un posto di lavoro dipendente e con regolare contratto.

I legami fra connazionali appaiono fortissimi: anche se non disdegnano la socializzazione con gli italiani, e nei confronti delle altre comunità, si avverte una sorta di diffidenza a non mischiarsi con loro per non essere giudicati insieme a quanti potrebbero avere una cattiva reputazione. La maggior parte di loro svolge attività di ambulantato e questo non favorisce la loro integrazione nella tipica cultura della società industriale moderna. Tuttavia, nonostante la specificità e precarietà della loro attività lavorativa e del loro inserimento in una zona ad alto rischio di criminalità, come Catania, è importante rilevare come l’assenza dei senegalesi da ambiti di attività criminose o lucrose. Questa estraneità, secondo Giuseppe Scidà, si può spiegare attraverso il forte influsso positivo della loro appartenenza all’Islam e lo stretto e reciproco controllo sociale realizzato automaticamente fra loro per mezzo dell’appartenenza alla confraternita dei Murid e in particolare alla dahira a cui partecipano ed alla convivenza nelle case.

delle merci da vendere, all’interno della quale sono continuamente riaffermati alcuni aspetti della cultura d’origine come, ad esempio, l’ordinamento gerarchico sulla base del quale si riconosce generalmente al più anziano la qualifica di capo, con relativi oneri ed onori. Le varie abitazioni vanno a ricostituire ambiti riorganizzativi permettendo l’esistenza di un centro di coordinamento e di un sistema di comunicazione, a cui ogni singolo membro del gruppo possa accedere senza problemi come naturale riferimento.

Attraverso la coesione e la solidarietà che dimostrano i membri della confraternita fra di loro e verso ciascun connazionale si concretizzano le molteplici forme di sostegno offerte ad ogni immigrato senegalese, pensando ai suoi bisogni materiali più immediati, dal vitto all’alloggio fino al sostegno ed al cercare di favorire l’ambientamento dei nuovi arrivati. Si tenta così di ricostruire una sorta di nicchia funzionale alla persistenza del gruppo che deve affrontare continue situazioni di difficoltà.

Secondo Scidà, il gruppo degli extracomunitari senegalesi è quello che ha presentato fin dal principio il profilo decisamente più orientato alla chiusura verso l’esterno, mostrando contemporaneamente una altrettanto forte integrazione al suo interno. Gli immigrati senegalesi a Catania costituiscono un autentico frammento d’Africa tropicale trapiantato e riorganizzato nel tessuto sociale della città. Questa comunità, più delle altre, ha saputo conservare e riprodurre nel nuovo ambiente una propria specifica forma di organizzazione collettiva; e tale capacità di integrazione e conservazione dell’identità a Catania è da ricondursi al comune radicamento religioso1.

1

G. SCIDÀ, “Risposte alla sfida dell’integrazione sociale in due gruppi di immigrati extracomunitari a Catania”, in M. Delle Donne, U. Melotti, S. Petilli (a cura di), Immigrazione in

Nel documento Filippo Concollato (pagine 78-82)