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Le cause della mobilità senegalese

Nel documento Filippo Concollato (pagine 63-66)

Il rapporto della popolazione senegalese con l’emigrazione è di vecchia data: all’origine di questo fenomeno c’è un Paese le cui risorse economiche stanno rapidamente diminuendo, a causa dello sfruttamento eccessivo dei terreni e del progressivo inaridimento degli stessi provocato dalla desertificazione. Questi fattori hanno diminuito notevolmente le possibilità di lavoro in Senegal, da qui scaturisce l’esigenza di un miglioramento delle proprie condizioni di vita, favorita dalla grande permeabilità dell’ Occidente nell’assorbire manodopera extracomunitaria.

Favorendo le città, incoraggiando l’esodo rurale e l’agiatezza delle minoranze si trascina il Paese in una spirale di crescente dipendenza da fattori esterni. I contadini continuano ad essere maltrattati e tartassati da una cattiva amministrazione che si indebita per offrire servizi scadenti dai quali gli utenti non traggono vantaggio. Il peso della burocrazia cresce sempre più ed i grandi progetti in cantiere sembrano avvantaggiare solo le élites, è questo il punto di vista della popolazione rurale. A forza di voler “sviluppare” si è finito col dimenticare i principali interessati, le popolazioni comuni, ed il fatto che il Senegal è innanzitutto un paese agricolo9.

Una delle regioni ad alta densità migratoria è quella del fiume Senegal che essendo suddivisa, dal punto di vista amministrativo, in tre territori, Senegal, Mali e Mauritania, alimenta in modo rilevante i flussi migratori dell’Africa occidentale verso l’Europa. In questa regione l’emigrazione ha una storia sedimentata che risale al periodo coloniale, allorché l’imposizione di tasse, il prelievo forzato di manodopera e la

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monetizzazione degli scambi, obbligarono le popolazioni a forme di mobilità interna stagionale verso le aree di produzione delle colture di esportazione. È a partire dagli anni ’50 che si sviluppa un fenomeno migratorio che assume dimensioni sempre più ampie.

Gli anni ’60 e ’70 sono caratterizzati da lunghi periodi di siccità che provocano il deterioramento dei difficili equilibri ecologici in un ambiente già di per sé fragile. Tutto questo non fa altro che accentuare il fenomeno migratorio che in alcune zone si traduce in partenze di massa della popolazione attiva.

Nei primi anni ’80, la crisi economica dovuta alla siccità, ha fornito un’ulteriore spinta all’emigrazione che ora si rivolge all’esterno del Paese, soprattutto verso l’Italia e la Spagna, in seguito alle restrizioni della Francia, meta delle prime tradizionali migrazioni.

L’emigrazione si evolve lungo tre possibili circuiti: quello dei centri urbani nazionali, quello dei paesi africani limitrofi e infine, quello dell’Europa10. Ognuno di questi circuiti mette in atto caratteristiche migratorie diverse.

L’emigrazione interna non necessita della rete di supporto che si stabilisce per i circuiti migratori verso l’Europa, pur realizzando un sistema di fatto integrato di relazioni tra villaggio e città, tra economia agro-pastorale locale ed economia urbana. Su questo tipo di circuito è più facile mantenere le relazioni di appartenenza, non solo per i frequenti ritorni, ma anche perché chi resta al villaggio può maggiormente beneficiare dei redditi monetari prodotti in città. L’emigrazione verso i centri urbani si trasforma

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C. DE ROSE, “Famiglia e strategie migratorie nel bacino del Senegal”, in Studi Emigrazione, XXXI, n. 113, 1994, pag. 128.

più facilmente in un’esperienza di assimilazione dei modelli di vita differenti, che per loro stessa natura richiedono un superamento dei rapporti tradizionali. In Europa invece si vive un’esperienza sempre proiettata verso la comunità di appartenenza e vincolata alle relazioni con le persone che restano al villaggio.

La strategia migratoria sul circuito europeo è soprattutto una strategia di sicurezza, che si traduce in progetti migratori orientati al medio-lungo periodo.

La scelta di emigrare si presenta come una possibilità molto concreta per ogni giovane senegalese che non appartiene ad una famiglia in grado di garantirgli un futuro in patria e che, al tempo stesso, può contare nella maggior parte dei casi su parenti ed amici già espatriati ed in grado di aiutarlo. La famiglia è presente nella scelta di emigrare e questo non comporta una rottura con l’ambiente d’origine: la famiglia allargata e le amicizie che la circondano sono coinvolte nella fase preparatoria all’espatrio e mobilitate per la raccolta dei soldi necessari. In sostanza l’emigrazione si presenta come un investimento che ricade su tutto il gruppo, compresi coloro che sono rimasti nel paese d’origine11. Siamo di fronte ad una duplice esigenza di massimizzare le possibilità di produzione di un reddito integrativo esterno e, allo stesso tempo, di contenere le ripercussioni negative derivanti dall’esodo delle forze attive più giovani.

È grazie alla famiglia, alla comunità, ed alla rete di relazioni stabilite e basate sui vincoli sociali di appartenenza, che si rende per lo più possibile l’emigrazione sul circuito europeo. Chi emigra in Europa ha bisogno di questa rete di relazioni. I rapporti di appartenenza devono perciò riprodursi,

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nei luoghi di immigrazione come al villaggio, ed è per questo che l’emigrazione sul circuito europeo assume in modo più marcato i caratteri di un progetto familiare.

A differenza dell’esperienza migratoria in Europa, quella riscontrata nei paesi africani limitrofi, pur trattandosi di un circuito internazionale, risulta più breve ed orientata maggiormente ad attività in settori meno strutturati, quali il commercio ambulante, per il quale non si pone un problema di inserimento nel mercato quanto piuttosto di capacità ed iniziativa individuale. In questo caso i progetti migratori sono più semplici: l’investimento per il viaggio è limitato grazie alla breve distanza da compiere, si ha una maggiore familiarità con i luoghi di destinazione.

In sostanza, per emigrare in questi paesi c’è meno bisogno di costruire una rete di relazioni di supporto, il che si traduce anche in una minore incidenza dei vincoli familiari nella determinazione dei progetti migratori12.

Nel documento Filippo Concollato (pagine 63-66)