• Non ci sono risultati.

I muridi in Italia

Nel documento Filippo Concollato (pagine 122-127)

4.6. Il muridismo e l’emigrazione

4.6.2. I muridi in Italia

I percorsi migratori dei discepoli muridi sono simili sotto molti aspetti a quelli degli altri senegalesi, per tanto si rischia di attribuire al muride comportamenti che invece sono propri degli immigrati senegalesi in genere. Si rischia inoltre di creare una sorta di stereotipo del muride, a cui l’individuio dovrebbe adattarsi, tralasciando il ruolo fondamentale svolto dalle scelte personali.

In Italia i muridi si presentano come un gruppo chiuso, restio a parlare di sé, in contrasto con altri aspetti dell’atteggiamento migrante senegalese, in genere estremamente aperto e pronto al contatto. Infatti, l’appartenenza alla confraternita dei muridi viene menzionata solo se espressamente richiesta. Ciò sembra essere determinato essenzialmente da un’istintiva coscienza della difficoltà a spiegare un sistema di rapporti così particolare all’interlocutore europeo, solitamente poco informato sulle realtà locali africane.

I principali centri del muridismo italiano sembrano essere: Livorno, Rimini, Milano e soprattutto Bovezzo in provincia di Brescia. In quest’ultima località è presente il “residence Prealpino” che svolge un ruolo cardine come luogo di aggregazione per tutti i senegalesi ed in particolare per i muridi. Ottavia Schmidt di Friedberg individua in questo centro due tipologie di muridi: da una parte, i giovani, con meno di venticinque anni, che giungono in Italia per “voto”, attraverso la catena migratoria. Essi lavorano, inviano le rimesse a casa e sono intenzionati poi a fare ritorno in Senegal. Dall’altra parte, coloro che sono orientati a cercare collocazioni diverse e percepiscono l’interazione con la società ospite altrettanto

importante quanto quella con la comunità d’origine12. Tra questi troviamo, infatti, gli operai che hanno rapporti con il mondo esterno e con i colleghi di lavoro.

Nella società d’accoglienza le dahira nascono per iniziativa dei discepoli e il talibe più rispettato e preparato in maniera religiosa viene nominato responsabile, che in mancanza del marabutto ne assume le funzioni. Generalmente i marabout non emigrano, anzi il più delle volte risiedono nel villaggio d’origine.

L’emigrazione, quindi, conduce a situazioni di cambiamento, consentendo ad individui dotati di iniziativa e capacità di assumere ruoli di primo piano, di divenire un punto di riferimento religioso.

Vi sono anche coloro che giungono in Italia esclusivamente come rappresentanti di un dato marabutto: svolgono attività essenzialmente religiose e si adoperano per mantenere i legami tra i vari centri italiani del muridismo.

I contatti tra Maestro e talibe vengono mantenuti, all’estero, attraverso tre livelli. Il primo è di tipo individuale e prevede che il discepolo contatti direttamente il proprio marabutto nei momenti di difficoltà.

Il secondo livello è determinato dall’unione dei discepoli che si riuniscono nel medesimo luogo e sotto la guida di un membro anziano.

Il terzo livello, infine, è caratterizzato dal rapporto collettivo durante le visite religiose, che richiamano discepoli anche molto lontani.

Di tanto in tanto alcuni marabout arrivano in visita in Italia: vengono a visitare i loro discepoli e a pregare con loro, raccolgono inoltre collette per le loro comunità locali in Senegal. Questo produce una diffusa

12

percezione della solidarietà musulmana, che si estende coinvolgendo membri di vari ordini, insieme alle celebrazioni della pratica islamica.

L’arrivo di un marabutto nel Paese di emigrazione diventa una sorta di “tournée” dato che spesso giunge dopo aver visitato fedeli residenti in altri paesi europei. I discepoli provvedono ad organizzare le tappe e si fanno carico dei bisogni del marabutto finché questi rimane nella loro città. Dopo alcuni giorni viene accompagnato alla meta seguente del suo viaggio ed affidato alle cure dei discepoli del luogo.

L’autorità religiosa assume un ruolo fondamentale poiché deve favorire una buona intesa tra le strutture italiane e la comunità muride, tenendo presente che l’adepto deve attenersi al rispetto delle leggi e dei costumi del paese d’accoglienza.

Tutto ciò è volto a favorire l’aumento di consapevolezza dei discepoli muridi, dei movimenti religiosi internazionali e della posizione dell’Islam nel contesto europeo.

Sebbene i senegalesi non siano visti nell’ideologia italiana come principalmente musulmani, essi vengono definiti subito con un pregiudizio anti-musulmano. Tuttavia i rapporti tra senegalesi e italiani sono caratterizzati dall’assenza di un immaginario collettivo l’uno nei confronti dell’altro13.

I muridi mettono in atto una “mistica del lavoro” che enfatizza la solidarietà interna e la dimensione economica, la loro attività economica in Italia si esplica inizialmente attraverso l’ambulantato che il talibe intende come attività di ripiego. È svolta soprattutto dai neo-immigrati e dai clandestini, oppure da coloro che non sono riusciti ad inserirsi in un ambito

13

lavorativo regolarizzato. Spesso molti di loro si dedicavano all’attività commerciale nel loro Paese e questo permette loro di accettare l’esperienza migratoria con maggiore facilità.

Dato che per il migrante muride il lavoro è un dovere, la vendita ambulante diventa preferibile alla disoccupazione e all’elemosina. Appena si presenta l’opportunità, molti abbandonano il commercio ambulante scegliendo un lavoro generalmente nell’industria.

Il luogo di lavoro comincia così ad essere il punto di maggiore contatto con la popolazione locale, facilitando l’instaurarsi di rapporti con la società d’accoglienza.

Il migrante mette in pratica un’etica del lavoro che è strettamente connessa all’etica muride, per cui il lavoro conduce alla redenzione ed i valori, che devono accompagnare la ricchezza acquisita col lavoro, sono la generosità e la redistribuzione.

L’appoggio della confraternita si mostra importante sia nel sostegno del migrante all’estero, sia nel fornire le conoscenze indispensabili all’emigrazione e a fornire l’idealtipo del progetto migratorio, in quanto la cultura muride, attraverso l’etica del lavoro e la solidarietà, stimola lo sviluppo di un atteggiamento mentale disponibile all’emigrazione14. Infatti, nella fase del primo insediamento, la tariqa muride ha avuto successo nel suo ruolo di mediatrice: è riuscita a preservare i propri punti di forza, quali la coesione del gruppo, la rete economica e il riferimento culturale.

14

CAPITOLO 5

INDAGINE SUL TERRITORIO

Nel documento Filippo Concollato (pagine 122-127)