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L’importanza dei reticoli sociali nel fenomeno migratorio

Nel documento Filippo Concollato (pagine 69-73)

2.3. L’immigrazione senegalese in Italia

2.3.1. L’importanza dei reticoli sociali nel fenomeno migratorio

Si fa riferimento al concetto di reticolo, interetnico e non solo, nell’interpretazione dei percorsi di inserimento di alcuni gruppi nazionali, Mitchell definisce social networks: uno specifico complesso di legami tra un insieme ben definito di persone; e le caratteristiche di questi legami possono essere utili nell’interpretazione del comportamento sociale delle persone coinvolte.

Gli attori sociali sono coinvolti in una molteplicità di social networks che a seguito della loro mobilità possono essere del tutto abbandonati, rapidamente ricostruiti, sovrapposti o sottoposti a nuovi social networks.

Le reti sociali adempiono sia ad una funzione culturale, conferendo un senso di identità sociale ai soggetti che ne fanno parte, sia ad una funzione di tipo strutturale e funzionale, fornendo aiuti e sostegni in rapporto a bisogni fisici, simbolici e materiali.

Dall’analisi delle reti sociali nelle migrazioni senegalesi emerge che innanzitutto i senegalesi prima ancora di diventare migranti sono, nelle aree rurali della loro società, inseriti nei networks della famiglia allargata, che estende la sua influenza in tutti gli ambiti decisionali. La famiglia non è l’unico network di cui l’individuo fa parte, quello immediatamente successivo e che assomiglia alla famiglia allargata è la daara murid, inteso come cellula rurale della confraternita Murid. In essa i legami interpersonali sono meno densi e tutto ruota attorno alla figura del marabutto.

Fra le reti sociali più ampie ma con legami in genere meno forti troviamo le associazioni di villaggio, orientate alla promozione sociale ed economica delle condizioni di vita degli abitanti, e le singole confraternite musulmane le cui funzioni si spingono oltre la mera dimensione religiosa.

All’interno del proprio ambiente il soggetto si muove con abilità e relativa sicurezza; una volta fuori, nell’ambiente a lui sconosciuto, è in grado di muoversi attraverso i fili sparsi dei networks dell’ambiente di provenienza, in modo da affrontare al meglio le diverse e problematiche condizioni che la nuova situazione comporta.

La confraternita musulmana, nella fase migratoria iniziale di approdo e di primo insediamento, finisce per essere la prima struttura di interrelazioni fra senegalesi ad essere in qualche modo ricostituita. Questo avviene attraverso la creazioni di dahire, quali cellule urbane della confraternita dei Murid, all’interno di una o più case di immigrati che

svolgono a loro volta funzioni di mutuo soccorso e sostegno, assorbendo in parte i ruoli giocati dalla famiglia allargata e dall’associazione di villaggio ora assenti.

Una volta superato il primo periodo di ambientamento nella nuova società, gli immigrati senegalesi tendono a spostarsi ancora verso l’interno del Paese, sia per motivi lavorativi che per ragioni familiari come ad esempio il ricongiungimento. Si ha, di conseguenza, una percentuale sempre più significativa di migranti verso i poli di maggiore sviluppo urbano-industriale, potenzialmente più ricchi di risorse. Il loro iter migratorio è caratterizzato da processi di differenziazione strutturale che, al cambiare del contesto di riferimento, rendono possibile l’attivazione di networks con funzioni diverse e che costituiscono punti di connessione con altri reticoli esterni, permettendo di superare i confini della comunità etnica.

I reticoli producono una doppia serie di percorsi: la prima interna alla comunità, la seconda proiettata all’esterno in uno spazio aperto a carattere universale. Quindi i reticoli degli immigrati sono sistemi aperti, che si definiscono in base alle circostanze in cui sono coinvolte le comunità etniche e alla loro collocazione spaziale13. I reticoli sociali agiscono con effetto di retroazione sulla società di partenza, favorendo ed arricchendo la compenetrazione fra tradizione e modernità.

Chi arriva nel nostro Paese e proviene dal Senegal è considerato dagli italiani semplicemente come senegalese; ma ognuno di loro appartiene ad un’etnia che condiziona fortemente molte sue scelte.

Oggi gli immigrati senegalesi non sono più soltanto dei venditori ambulanti, ma si ritrovano anche inseriti in vari settori del regolare mercato

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del lavoro. Nella società d’accoglienza il gruppo senegalese dimostra di avere la capacità di riannodare con naturalezza la complessa struttura tradizionale di social network in grado di preservare l’appartenenza e l’identità dei membri del gruppo. L’integrazione e la conservazione dell’identità è, nella maggioranza dei casi, favorita dal comune radicamento religioso, psichico ed emozionale, ma anche economico della confraternita dei Murid.

Se un tempo si poteva parlare di “comunità” senegalese oggi, secondo la Sinatti, sarebbe più opportuno parlare di una pluralità di reti più piccole. Il periodo di transizione della situazione “comunitaria” dei primi immigrati senegalesi a quella attuale ha segnato profonde spaccature tra i senegalesi, dovute alla ridefinizione di schemi comportamentali, di valori condivisi e di mentalità correnti. Possiamo, infatti, individuare tre fasi nell’evoluzione dell’immigrazione senegalese, che la Sinatti riferisce al contesto milanese. Una prima fase, quella dell’inclusione, dove la comunità viveva concentrata esclusivamente su se stessa e riferita al periodo dai primi arrivi fino al 1987-1990. Una seconda fase, quella della transizione corrispondente al periodo compreso tra la legge Martelli e il Decreto Dini, dove la possibilità di lavoro regolare ha portato ad una maggiore stabilità economica degli immigrati consentendo, di conseguenza, di accedere a migliori condizioni di vita. È una fase di ridefinizione dei valori, per cui alcuni si sono allontanati dai propri modelli culturali e talvolta si sono abbandonati a comportamenti devianti. La terza fase, è quella attuale della stabilizzazione, in cui i comportamenti dei migranti sono il risultato di un adattamento in continuo divenire, attraverso la combinazione tra riferimenti a valori e comportamenti della società d’origine e valori e comportamenti della

società d’arrivo.

Emergono, inoltre, “indicatori di relazionalità” costituiti attraverso, ad esempio: l’invio di rimesse al paese d’origine, i progetti di ricongiungimento familiare e di rientro in patria, e le iniziative imprenditoriali. Questi fenomeni mettono in relazione il contesto d’origine e quello d’approdo, creando legami destinati a durare nel tempo.

Il fenomeno delle rimesse si configura da un lato come obbligo morale, in quanto la strategia migratoria ha sollecitato la mobilitazione di risorse collettive, le quali hanno prodotto una sorta di debito morale del migrante nei confronti della comunità d’appartenenza; dall’altro lato, come un decisivo strumento di controllo da parte della comunità di origine sulla vicenda migratoria del singolo. Di conseguenza la scelta si emigrare ha creato un mutamento della propria posizione entro la struttura della stratificazione sociale nel paese d’origine. Tutto ciò dimostra che l’impresa è riuscita ed ha portato ad un rafforzamento del legame con la collettività lontana di fronte al rischio che l’emigrazione lo indebolisca o lo annulli.

2.3.2. Le istituzioni della comunità senegalese e l’inserimento

Nel documento Filippo Concollato (pagine 69-73)