• Non ci sono risultati.

La vita religiosa

Nel documento Filippo Concollato (pagine 146-150)

5.7. La vita in Italia

5.7.3. La vita religiosa

L’esperienza migratoria e la lontananza dal Senegal hanno prodotto un piccolo allontanamento da quegli obblighi, che la religione musulmana impone, che in patria venivano scrupolosamente adempiuti e rispettati.

La mancanza di moschee, le difficili condizioni lavorative, le distrazioni e gli svaghi sono tra le cause più frequenti che a detta degli intervistati hanno causato questo lieve allontanamento. Le difficoltà

maggiori che emergono dall’indagine riguardano principalmente le cinque preghiere quotidiane ed il rispetto del Ramadan. Nonostante ciò la religione continua a rivestire un ruolo fondamentale nella vita di ogni intervistato, uno dei vari indicatori di questo fatto, può essere rappresentato dalle numerose immagini dei marabout che ho visto nelle case degli intervistati.

Il pensiero di Aminata (intervista n. 3) sintetizza bene la situazione di coloro che hanno un po’ trascurato i loro obblighi: “…In generale è più

difficile pregare perché c’è chi lavora, fa l’ambulante e non riesce a pregare cinque volte al giorno, è difficile questo perché non puoi metterti a pregare per strada…Ci sono anche altre cose, non tutti possono pregare cinque volte al giorno, c’è chi lavora ed ha orari variabili, che vende oggetti per strada e dove prega? Inoltre i musulmani non dovrebbero guardare le altre donne invece in Italia ci sono le donne in minigonna, con i pantaloni stretti, scollate… anche solo salendo in autobus si vedono e allora come fanno gli uomini? ...”

Alcuni soggetti non hanno subito questo allontanamento, ed anzi hanno trovato una certa comprensione, da parte dei datori di lavoro, verso le loro esigenze spirituali, Oumar (intervista n. 7) dice a proposito del Ramadan e delle preghiere:

“…Se si riesce a fare il digiuno in Africa molto più facilmente si fa in

Italia! Perché almeno qua c’è il clima, voglio dire il tempo che è molto più sopportabile e poi devo dire che nelle aziende comunque c’è, almeno nelle aziende che ho frequentato io e dove lavorano i miei connazionali, quelli che conosco, devo dire che comunque c’è una comprensione, anche da parte dei datori di lavoro, perché non c’è nessun problema: fanno il digiuno quando è ora di smettere e li lasciano cinque minuti per andare a

prendere il caffè… anche quando lavoravo in azienda è la stessa cosa, non avevo nessun problema, anzi te lo ricordano anche se te lo dimentica, quando è l’ora di pregare ti lasciano andare a pregare, quando è l’ora di mangiare ti lasciano mangiare.

Non c’è nessun problema, anche perché questo fa parte, secondo me, della politica di produttività di un’azienda che uno deve sentirsi a suo agio se vuole dare il massimo di se stesso…

…Il discorso è che l’Islam è molto pratico, è molto diciamo… come posso dire in italiano, comunque si adatta molto alle situazioni, alle circostanze quindi non è un obbligo di frequentare per forza una moschea, se c’è la possibilità si ma se non c’è la possibilità fai la preghiera a casa tua, dove ti capita, basta che sia un luogo che sia puro, voglio dire che non ci sia sporcizia…”.

L’importanza della preghiera è sostenuta anche da Bassirou (intervista n. 2): “… la carta d’identità di un musulmano è la preghiera, per cui se un

musulmano mi dice che io non sono musulmano e tu non preghi non ti puoi considerare un musulmano; questo per darti l’esempio di come è forte, di cosa vuol dire la preghiera. Quando uno si muore per i cristiani, quando si muore viene il prete a fare la preghiera prima di andare a portare (la salma) in cimitero, per i musulmani è lo stesso quando si muore un musulmano viene l’imam a fare la preghiera però la religione islamica ha fatto questa raccomandazione: quando è morto uno, prima di fare la preghiera bisogna chiedere a chi abitava con lui se lui pregava, se dice che pregava la religione gli da la via di fare la preghiera per lui, se non pregava tu non hai la possibilità di fare la preghiera, per darti l’esempio di come sta a cuore a Dio la preghiera…”.

La maggior parte dei senegalesi appartiene alla confraternita muride, questa tendenza è confermata anche dalla mia indagine, l’unica persona a non essere murid, appartiene all’ordine tijan.

La pratica muride, come ho esposto in precedenza, non può essere separata dal lavoro ed il lavoro non può essere separato dalle pratiche religiose. La confraternita anima la vita dei senegalesi, dalla solidarietà che lega gli uni agli altri, al lavoro che deve produrre denaro, da inviare ai parenti rimasti in Senegal o da donare al Marabout come hadiya. Oumar (intervista n. 7) mi ha parlato di tutto questo, dalla prevalenza dei muridi, all’importanza del lavoro e della solidarietà: “…le persone hanno

cominciato a cercare altre opportunità, hanno cominciato ad uscire dal Senegal come le altre comunità fuori, siccome anche fuori c’è, c’è ancora più bisogno di solidarietà allora si raggruppano, creano le dahira e così via… Questo è il motivo per cui ci sono più murid, gli altri hanno studiato, hanno il lavoro o comunque non hanno questo spirito del self made man, non hanno questo spirito di sacrificio, non hanno questo senso del lavoro nel dna perché è naturale. Per noi è naturale pregare e lavorare, devi pregare come se dovessi morire domani, devi lavorare come se dovessi vivere per sempre questo è il viatico…

…È anche una questione di opportunità, nel senso che uno deve lavorare sempre, per guadagnare i soldi; quando la comunità ha bisogno ci devono essere i mezzi e bisogna lavorare sempre, mai riposarsi, guadagnare più soldi possibile, ma mai trattenerli non mai! Per essere pronti a spenderli per il bene della comunità e per il bene della società…”.

Quasi la totalità degli intervistati ha detto di recarsi alle cerimonie più importanti, su tutte il Gran Magal che ricorda la fine dell’esilio di Serigne

Tuba, e di dare molta importanza alle attività ad esse connesse, proprie dei murid, come testimoniano Oumar (intervista n. 7): “…È difficile trovare

questa disponibilità, questo spirito di sacrificio, è difficile trovarlo in altre comunità ed è questo che giustifica la hadiya, noi non lo diamo per soddisfare una persona, non lo diamo perché siamo stupidi o siamo sfruttati, noi lo diamo perché abbiamo un ideale che abbiamo scelto di raggiungere. Questo ideale è spirituale e sappiamo che per raggiungere questo ideale spirituale dobbiamo spogliarci di tutte le vanità mondane, e queste vanità a capo di tutti ci sono i soldi, ci sono i beni materiali; non è detto che uno deve proprio dare tutto no, ma bisogna raggiungere uno stato spirituale che consente di non dare più tanto valore ai soldi…” e Thierno

(intervista n. 8): “…anche qua abbiamo una casa, abbiamo comprato una

casa, comprare una casa qui, 2 miliardi a Pontevico vicino Cremona, abbiamo comprato una casa per Serigne Tuba, 2 miliardi di lire anche Serigne Murtadà venire lì e facciamo la festa, facciamo tutto…”

Nel documento Filippo Concollato (pagine 146-150)