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Catene motorie e comprensione delle intenzion

2. SELF , CORPO ED ESPERIENZA NUOVE POSSIBILITÀ PER UNA FENOMENOLOGIA NATURALIZZATA

2.6 Il legame tra percezione e azione: la Teoria del Codice Comune

2.6.2 Catene motorie e comprensione delle intenzion

Gran parte dei più recenti esperimenti indica chiaramente come la capacità dimostrata dai bambini nel primo anno di vita di rilevare il carattere intenzionale delle azioni altrui dipenda dallo sviluppo della loro capacità di agire e di pianificare l’azione in prima persona. Il passaggio a forme più articolate di comprensione che consentono loro non solo di riconoscere i singoli scopi che caratterizzano i vari atti motori, ma di cogliere anche l’intenzione motoria in base alla quale quegli atti sono compiuti, appare contraddistinto dallo sviluppo della capacità di rappresentare intere catene di atti motori dotate di specifiche gerarchie di scopi e di pianificare così l’azione da eseguire in maniere sempre più fine dal punto di vista intenzionale e motorio87. Si tratta di un passaggio chiave nello sviluppo della comprensione intenzionale. Ciò non vuol dire ridurre l’intera ontogenesi delle capacità di mindreading al solo sviluppo delle competenze intenzioni motorie. Piuttosto, e più modestamente, significa riconoscere che un approccio motorio all’intenzionalità consente, per la prima volta, di

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Questo meccanismo di risonanza motoria, facendo corrispondere le azioni percepite alla loro rappresentazione nel sistema motorio dell’osservatore, permetterebbe quindi di afferrare in maniera diretta l’esperienza sensori-motoria dell’altro.

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ripensare le basi e lo sviluppo della comprensione intenzionale entro un quadro teoricamente unitario e neuroscientificamente fondato.

Le azioni finalizzate rese familiari dall’esperienza motoria e, in misura minore, percettiva, potrebbero essere comprese ed anticipate grazie ad un meccanismo di simulazione incarnata (embodied simulation) che conduce automaticamente alla percezione dell’altro come un agente simile a sé, le cui azioni sono prevedibili tanto in base alla somiglianza con il proprio repertorio motorio qunato rispetto alle caratteristiche fisiche della situazione. L’organizzazione funzionale del sistema motorio intorno allo scopo dell’azione getta luce sulle origini della flessibilità dei meccanismi di apprendimento: l’esito dell’esperienza motoria e percettiva viene gradualmente generalizzato ad un significato semantico comune, codificato al livello neurofisiologico come scopo e costituente l’elemento strutturante della comprensione e dell’esecuzione dell’azione finalizzata.

Finora abbiamo considerato alcuni aspetti importanti degli atti motori caratterizzati da una specifica rappresentazione incentrata su un unico scopo. Di fatto, però, le nostre azioni, come gran parte di quelle degli animali non umani, possiedono un’architettura intenzionale motoria ben più complessa che presuppone la concatenazione intenzionale dei vari atti motori coinvolti, ovvero la loro organizzazione secondo una specifica gerarchia di scopi. Non si tratta semplicemente della differenza tra scopi e movimenti, piuttosto del fatto che la stessa rappresentazione motoria possa entrare a far parte di rappresentazioni motorie più complesse e centrate su scopi diversi tra loro.

Fogassi e Ferrari (2005) hanno indagato proprio questo aspetto dell’organizzazione intenzionale del comportamento motorio, registrando l’attività di singoli neuroni motori dal lobulo parietale inferiore del macaco durante i movimenti tipici dell’afferrare. Due erano le condizioni sperimentali: nella prima l’animale doveva afferrare un pezzo di cibo e portarlo alla bocca; nella seconda, doveva afferrare il cibo ma invece che portarlo alla bocca, doveva riporlo in un contenitore. La maggior parte dei neuroni registrati è risultata attivarsi in maniera diversa secondo lo scopo complessivo dell’azione, ovvero a secondo che l’afferrare fosse un afferrare

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per portare alla bocca o un afferrare per spostare88. La selettività motoria di tali neuroni, il fatto cioè che la rappresentazione motoria da essi evocata moduli la propria relazione motoria allo scopo finale dell’azione, non permette di spiegare soltanto una delle caratteristiche fondamentali dell’organizzazione motoria (ovvero l’esistenza di specifiche catene motorie in grado di garantire la piena fluidità dell’azione), ma costituisce anche la base per una forma più ampia di comprensione intenzionale, che non sia ristretta soltanto ai singoli atti motori, ma abbracci l’intenzione motoria originaria che consente di comprendere quegli atti come parti di un’azione complessiva.

Iacoboni, Molnar-Szakacs e altri (2005) hanno mostrato come il meccanismo specchio sia in grado di catturare le intenzioni motorie. Gli autori hanno presentato ad alcuni soggetti volontari tre diversi tipi di stimoli visivi: una mano che afferrava una tazza con prese diverse (di precisione o a mano piena), due contesti diversi (un bicchiere, una teiera, un piatto come se qualcuno dovesse prendere un tè o avesse appena finito di farlo), e una mano che afferrava la tazza con prese diverse in contesti diversi (così da suggerire che la tazza venisse presa con l’intenzione di portarla alla bocca per bere o di spostarla per rimetterla a posto). L’osservazione delle diverse azioni della mano immerse nei diversi contesti produceva, rispetto alle altre due condizioni (solo azione, solo contesto), una maggiore attivazione nella parte posteriore del giro frontale inferiore, ovvero nella regione che costituisce il nodo frontale dei neuroni specchio nell’uomo. Questo ha portato a supporre gli autori che un tale sistema riesce a codificare non solo i singoli atti motori (afferrare una tazzina con una presa piuttosto che con

88 Nello stesso studio, Fogassi e collaboratori, hanno registrato neuroni specchio parietali

nelle medesime condizioni sperimentali (“afferrare per mangiare” e “afferrare per spostare”) usate per controllare le attività motorie dei neuroni parietali responsabili dell’afferrare. Anche in questo caso i neuroni si attivano in maniera diversa secondo il tipo di azione in cui rientrava l’atto da loro codificato, mostrando una chiara congruenza tra le risposte motorie e quelle visive. Inoltre, sia durante l’effettiva esecuzione dell’azione da parte dell’animale sia durante l’osservazione dell’azione compiuta dallo sperimentatore, i neuroni si attivavano quando la mano (dello sperimentatore o del macaco) prefigurava la presa necessaria ad afferrare il cibo. Il fatto che lo stimolo visivo attivasse lo stesso pattern neurale (ovvero lo stesso insieme di rappresentazioni motorie finalizzate), responsabile dell’esecuzione non solo del singolo atto, ma dell’intera catena, rivela come l’animale fosse in grado di coglierne immediatamente la concreta dinamica intenzionale, anticipando in tal modo lo scopo complessivo cui rispondevano i movimenti iniziali dello sperimentatore.

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un’altra), ma anche l’intenzione motoria in base a cui ogni singolo atto è compiuto, consentendo all’osservatore di comprendere fin dall’inizio l’intero significato intenzionale dell’azione osservata e di anticiparne l’eventuale scopo finale (afferrare per bere o afferrare per spostare). Negli ultimi anni, inoltre, alcuni studi hanno cercato di far vedere come i bambini rivelino capacità di mindreading piuttosto precocemente, e comunque molto prima di quanto comunemente ritenuto. Un esperimento di abitazione, ad esempio, ha mostrato che bambini di quindici mesi possiedono le capacità di predire il comportamento di un agente sulla base di quelle che ritengono essere le sue credenze (Onishi, Baillargeon, 2005)89. Una serie di esperimenti di abitazione ha evidenziato che bambini di sei e nove mesi sono in grado di distinguere tra la relazione allo scopo di alcuni atti motori di base come l’afferrare e la loro cinematica (Woodward, 1998).

Secondo i dati sperimentali, i bambini entro i nove mesi, disporrebbero di un repertorio di conoscenze che non presuppone alcuna capacità metarappresentazionale e che ciò nonostante permette loro di essere sensibili più agli aspetti intenzionali dei comportamenti motori osservati che a quelli speziali o temporali. Natura e portata intenzionale delle diverse forme di comprensione risulterebbero così ricondotte ad un unico principio che per quanto applicato a domini diversi, sarebbe uguale per tutti. Ciò spiegherebbe sia la sorprendente sofisticatezza delle prime forme di comprensione intenzionale sia lo sviluppo delle capacità di mindreading, suggerendo che i bambini comincerebbero ad assumere un atteggiamento mentalistico allorché le loro conoscenze diventano sufficientemente flessibili per rappresentare stati di cose fittizi e controffatuali, e ad applicare a questi ultimi il principio inferenziale che è alla base del loro precedente atteggiamento (Gergely, Csibra, 2003). In questa direzione, infatti, vanno non pochi degli studi più recenti. In particolare è stato mostrato che i bambini sono in grado di rilevare la natura intenzionale dei movimenti

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Tuttavia è largamente accettata l’idea che le prime forme di comprensione intenzionale che i bambini sviluppano entro il loro primo anno di età non possono essere interpretate in termini di mindreading, sia pure precoce (Tomasello, Barton, 1995; Carpanter, Negell, Tomasello, 1998).

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compiuti da altri già a tre mesi di età, a patto però che sappiano già compiere quei movimenti in prima persona (Sommerville, Woodward, 2005). L’idea che i bambini capitalizzino la loro conoscenza motoria per comprendere le azioni altrui è fortemente corroborata anche in un esperimento di registrazione dello sguardo che rivela come, al pari degli adulti, i bambini di dodici mesi anticipano con gli occhi lo scopo dei movimenti osservati. Tuttavia quest’ultimo aspetto, chiaramente, vale soltanto quando hanno a che fare con movimenti biologici finalizzati e non, invece, quando hanno di fronte meri oggetti in movimento che compiono la stessa traiettoria senza però la presenza di alcun effettore naturale, come potrebbe essere una mano (Falck-Ytter, Gredeback, Von Hofsten, 2006). La conoscenza motoria che il bambino sviluppa entro il primo anno di età è alla base della sua capacità di agire in prima persona. Questa capacitò rende possibile una forma di comprensione intenzionale che è di per sé originaria dello sviluppo psichico e fisico degli esseri umani. Tanto più che essa permette di chiarire non solo i diversi gradi di sensibilità allo scopo dei movimenti altrui che i bambini dimostrano nei primi mesi di vita, ma anche di gettare luce su un momento chiave dello sviluppo della comprensione intenzionale. Parliamo, cioè, dell’emergere della capacità di interpretare gli atti motori osservati non più soltanto singolarmente, bensì in gerarchie di scopi motori differenti. Ė noto da tempo, infatti, che tra i nove e i dodici mesi vi è una fase cruciale nello sviluppo delle capacità dei bambini di rappresentare i propri scopoi motori in termini di veri e propri piani di azione. Di recente è stato, infatti, mostrato che entro i dodici mesi i bambini sono in grado di rilevare la struttura gerarchica degli scopi che caratterizza una sequenza di atti motori quando questi sono compiuti da altri. Ma la cosa più importante è che studi di abituazione che esploreremo in modo dettagliato nel restante capitolo, hanno evidenziato come solo i bambini in grado di strutturare in proprio determinate sequenze di atti motori, gerarchicamente organizzati, sono in grado di riconoscere quelle sequenze quando sono compiute da altri., dimostrando così ancora una volta il ruolo cruciale dell’intenzionalità motoria nell’ontogenesi della comprensione intenzionale.

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