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Interagire socialmente attraverso l’azione embodied

3. La Pratica della Mente

3.5 Primi effetti di embodiment sociale

3.5.2 Interagire socialmente attraverso l’azione embodied

I dati presentati trovano un particolare riscontro nello studio della comprensione dell’azione finalizzata durante lo sviluppo ontogenetico. Una grande quantità di studi ha dimostrato come entro il primo anno di vita i bambini imparino non solo a controllare l’esecuzione delle loro azioni in funzione di un determinato effetto ma anche a discriminare e a riconoscere lo scopo dell’azione altrui (Tomasello, 1999; Rochat, 1995, 2001). A sei mesi, i bambini riconoscono lo scopo degli atti motori più familiari (Woodward, 1998); a un anno di vita, sono in grado di rappresentarsi lo scopo distale di una serie di atti motori concatenati mentre a dieci mesi, età di transizione, lo scopo distale viene compreso soltanto dai bambini che

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Inoltre ancora più di recente la ricostruzione tri-dimensionale delle immagini ecografiche, ha recentemente permesso a Zoia e collaboratori (2007) di misurare la cinematica dei movimenti manuali dei feti alla ventiduesima settimana di gestazione. Gli autori hanno scoperto che i parametri cinematici spazio-temporali dei movimenti erano tutt’altro che casuali ma dipendevano piuttosto dai vari scopi ai quali le azioni del feto sembravano dirette (ad esempio, il portare il pollice alla bocca). Questi dati dimostrano dunque una capacità sorprendentemente precoce di pianificazione motoria.

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sono già in grado di compire azioni con un simile livello di complessità (Sommerville et al., 2005b).

Queste indegini di ricerca consentono notevolmente di comprendere meglio fenomeni quali l’empatia, l’identificazione personale e le intenzioni altrui attraverso quei meccanismi subpersonali di simulazione incarnata che a loro volta producono una “sintonia intenzionale” e interpersonale fra agenti (Gallese, 2001, 2003, 2005, 2006).

L’attività coordinata dei sistemi neurali sensori-motorio ed affettivo dà luogo alla semplificazione e all’automatizzazione del comportamento che permette agli organismi di sopravvivere. L’integrità del sistema sensori- motorio consentirebbe, così, la ricostruzione di ciò che si proverebbe attraverso la simulazione dello stato corporeo relativo. La discriminazione del movimento biologico e la percezione dell’altro come agente diretto alla realizzazione di uno scopo sembrano quindi fondarsi su substrati neurali similari tra i primati e potrebbero allora rendere conto dell’evoluzione filogenetica della comprensione delle azioni. Ad, esempio, recentemente, Vallortigara e collaboratori (2004) hanno dimostrato, nei pulcini, la presenza di una preferenza innata per i movimenti biologici. Gli uccellini privi di stimolazioni visive fin dalla nascita, avvicinano spontaneamente ed in modo preferenziale gli stimoli formati da puntini luminosi che riproducono il movimento biologico di un pari o di un predatore rispetto alle animazioni casuali. Questi risultati sono stati da poco riprodotti con i neonati umani, testati a 36 ore dalla nascita (Simion et al., 2008).

Questi ultimi dati risultano particolarmente calzanti alle nostre ipotesi in quanto suggeriscono l’esistenza in diverse specie, di una predisposizione innata a discriminare i movimenti biologici. L’evoluzione di un sistema che permetta il riconoscimento degli stimoli biologici e quindi di produrre un’adeguata risposta comportamentale (l’avvicinarsi o l’allontanarsi), ha una valenza enorme al fine della sopravivenza dell’individuo (Blackmore, Decety, 2001) ma costituisce anche un classico esempio di sistema neurale preriflessivo di percezione-infunzione-dell’azione. Questa serie di studi comportamentali si aggiungono, infatti, alla lunga tradizione sperimentale volta a paragonare aspetti della cognizione sociale dei primati umani e non

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umani, evidenziando una certa similitudine per quanto riguarda la capacità di riconoscere e valutare l’efficacia di un atto motorio in base al legame intrinseco esistente tra azione e percezione. I dati riportati, dunque, suggeriscono come l’esperienza motoria costituisca un elemento fondamentale per l’evoluzione della capacità umana di riconoscere il comportamento intenzionale degli altri.

Sosteniamo, quindi, che l’elaborazione diretta dell’adeguatezza funzionale delle azioni incarnate in prima persona sia il precursore filogenetico della comprensione dell’intenzione. La scoperta dell’esistenza di un sistema mirror comune ai primati umani e non-umani tenderebbe, infatti, a dimostrare la natura intrinsecamente intersoggettiva della cognizione sociale. La codifica corticale dell’azione altrui attiva un sistema di corrispondenza diretto e preriflessivo (“direct matching”) tra la rappresentazione visiva e/o acustica dell’azione altrui e la rappresentazione motoria propria della stessa azione. Numerose ricerche nell’ambito della Psicologia dello Sviluppo hanno dimostrato come la precoce comparsa della capacità di discriminare ed anticipare lo scopo dell’azione è strettamente correlata all’esperienza motoria del bambino. L’insieme di questi risultati permettono di delineare l’esistenza di un meccanismo neurale comune tra i primati e l’uomo, che permette il riconoscimento dell’azione tramite la codifica diretta del suo scopo. Questo sistema potrebbe tuttavia distinguersi nella specie umana per un maggiore livello di astrazione che spiegherebbe la flessibilità cognitiva dimostrata dagli umani nella capacità di attribuire uno scopo ad un ampio spettro di azioni e di agenti. Questa maggiore astrattezza potrebbe quindi risultare alla base della capacità specie specifica di riprodurre, dopo averlo osservato negli altri, un comportamento non familiare, per realizzare uno scopo altrimenti raggiungibile mediante un’azione più consueta.

I dati sperimentali riporati trovano un particolare riscontro nell’ipotesi avanzata nel 1977 da Meltzoff e Moore circa la presenza di un’abilità innata a stabilire equivalenze cross-modali tra esperienze sensoriali proprie e le

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azioni degli altri108. L’importante studio condotto dagli autori e il filone di ricerche che ne è seguito (Meltzoff, 2002), hanno dimostrato che neonati già a poche ore dalla nascita sono capaci di riprodurre i movimenti della bocca e del volto degli adulti che li guardano. L’imitazione del comportamento avverrebbe tramite un processo di traduzione dell’informazione visiva nei comandi motori necessari per la sua riproduzione109. Questo processo intersoggettivo, che ovviamente continua e si espande nel corso di tutta la vita, potrebbe essere alla base del rispecchiamento materno di cui parla Winnicott (1967) e anche del concetto di “sintonizzazione affettiva” di cui parla Stern (1985).

La proposta che la comprensione del comportamento altrui venga gestita da un’intelligenza basata su processi di simulazione automatici e scolpiti nel sistema motorio dell’agente offre una importante alternativa teorica ai vari tentativi di spiegare i meccanismi soggiacenti allo sviluppo della cognizione sociale. La capacità di comprendere il comportamento intenzionale degli altri riposerebbe dunque su un meccanismo molto più elementare rispetto alla sofisticata capacità di attribuire all’altro degli stati mentali costruiti sotto forma di predicati seguendo una logica inferenziale. Questo meccanismo di base che sfrutta la struttura del sistema motorio funzionalmente organizzato intorno agli scopi, permette di cogliere in maniera diretta e pre-riflessiva il significato dell’azione altrui, stabilendo una prima forma di equivalenza e differenziazione tra sé e l’altro.Se è vero che la corporeità dell’azione rappresenta, quindi, la prima forma di

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La teoria della simulazione ha trovato una solida conferma nei dati accumulati negli ultimi decenni nell’ambito delle neuroscienze. Studi elettrofisiologici (Umiltà et al., 2008) dimostrano, infatti, chiaramente quanto anche il sistema motorio dei primati sia organizzato nei termini di atti motori finalizzati ad uno scopo e non nei termini di semplici movimenti (Rizzolatti et al. 1988, 2000). La simulazione delle azioni e del loro scopo è difatti multi- modale: la rappresentazione motoria viene attivata a prescindere dalla modalità visiva, acustica o motoria con cui si presenta l’azione (Kohler et al.; 2002; Keysers et al., 2003). Ė stato allora proposto che questo meccanismo medi una forma implicita di comprensione del comportamento altrui (Gallese et al., 1996; Rizzolatti et al., 1996.; Gallese et al., 2002). 109

Il processo di attivazione delle medesime strutture cerebrali durante la percezione esperita in prima persona ed osservata negli altri si ritrova in una grande varietà di esperienze: quando vengono simulate esperienze sensoriali tattili (Keysers et al., 2004; Blackmore et al. 2005; Ebisch et al., in corso di pubblicazione), o dolorose (Singer e coll., 2004) e quando vengono esperite emozioni di tipo viscero-motorio (Wicker e coll., 2003) o ancora sotto forma di espressioni facciali (Carr e coll., 2003).

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ancoraggio motorio a sé e all’ambiente, diventa adesso necessario capire in che senso questa possa fornire ulteriore supporto alla comprensione intenzionale fra individui. Se consideriamo l’ambiente non solo come luogo, ma come “situazione ambientale”, ossia come tutto ciò che ruota intorno all’individuo, possiamo renderci facilmente conto di come le persone modifichino il proprio comportamento per meglio adattarsi a ciò che li circonda. Tale scelta è chiaramente determinata dalla conoscenza acquisita nel corso dell’esperienza e ha una forte influenza sui meccanismi di apprendimento. Qualsiasi essere vivente, uomo o animale che sia, infatti, non agisce di certo a caso nel proprio ambiente di riferimento, ma giunge piuttosto a comprendere lo spazio e gli oggetti a sé correlati fino a rappresentarsi cognitivamente il comportamento dei propri conspecifici alla luce di fattori come l’imitazione, lo stato emozionale e la direzione di

locomozione. Questi meccanismi subpersonali sono considerati costituire la

simulazione delle intenzioni altrui e dimostrano, in aggiunta, il ruolo cruciale che il corpo ricopre tanto nell’interazione sociale quanto nella cognizione.