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Segnali motori e sensorial

2. SELF , CORPO ED ESPERIENZA NUOVE POSSIBILITÀ PER UNA FENOMENOLOGIA NATURALIZZATA

2.4 Chi è l’agente? Spiegazioni a partire dagli esperimenti di autoriconoscimento

2.4.2 Segnali motori e sensorial

Per dare forma alle rappresentazioni del proprio corpo vengono impiegati due tipi principali di segnali fisiologici: i segnali motori generati a livello centrale (o efferenti) e quelli sensoriali periferici (o afferenti) (Vogely et. ali., 2004; Haggard, 2005; Schutz-Bosbach et ali., 2006).

I segnali efferenti sono segnali generati a livello centrale e controllano tutti i movimenti volontari. Un concetto chiave nella letteratura sul controllo motorio del sé, è quello di “copia di efferenza”, descritto per la prima volta da Helmholtz (1995) come “sforzo della volontà”. In realtà questa idea nasce come risposta alla questione sollevata dallo studioso in merito alla nostra esperienza visiva del mondo. Quando muoviamo gli occhi,

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l’immagine retinica di un oggetto percepito si sposta. Parimenti se teniamo gli occhi fermi ma percepiamo un oggetto in movimento, ancora una volta l’immagine retinica dell’oggetto viene spostata. La questione cruciale è come il sistema nervoso centrale distingua tra una sensazione dovuta all’attività dell’organismo stesso e il movimento dovuto ad attività esterna. Inizialmente Helmholtz suggerì l’idea che ogni qual volta muoviamo gli occhi, lo “sforzo di volontà”, ossia lo sforzo volontario di produrre movimento oculare, fornisce informazioni predittive cruciali sull’esito sensoriale del movimento. L’idea di Helmholtz è stata ulteriormente sviluppata per diventare il concetto di copia di efferenza. Ogni qual volta che un comando motorio viene rilasciato dalla corteccia motoria, ne viene generata in parallelo uno copia (Tskiris, Haggard, 2005b).

Queste informazioni che sono impiegate per la composizione percettiva e unitaria del soggetto, aiutano ad identificare la sorgente del movimento: ossia il sé contro l’altro da sé. L’ipotesi che durante i movimenti oculari volontari, le aree motorie e visive del cervello, impieghino una copia di efferenza, per predire il risultato sensoriale del comando motorio discendente, e pertanto anticipare la stimolazione autogenerata, ossia il feedback sensoriale dello stesso movimento.

Più di recente l’idea di copia di efferenza è stata ampliata per includere il funzionamento del sistema motorio, e non soltanto di quello oculomotorio (Wolpert, Flanagan, 2001). Quindi, si pensa che una copia di efferenza venga generata ogni qual volta venga rilasciato un comando motorio, precedente un movimento autogenerato. Questa copia di efferenza verrebbe pertanto impiegata dai modelli predittivi interni del sistema motorio per generare accurate predizioni sulle proprie azioni. I segnali afferenti sono segnali periferici sensoriali che possono rappresentare o l’effetto di stimolazione autogenerata (ri-afferente) oppure di stimolazione generata esternamente (ex-afferente).

Complessivamente i segnali periferici afferenti supportano

un’autoconsapevolezza di tipo ecologico nel senso che forniscono informazioni sul corpo e sul mondo nel quale esso è situato, poiché le informazioni sul corpo di un dato soggetto non possono mai essere percepite

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come isolate dall’ambiente. Seguendo Gibson (1979) ad esempio, possiamo riprendere dicendo che ogni atto di percezione contiene sia informazioni propriospecifiche sul sé (ossia ri-afferenti) che informazioni eterospecifiche sull’ambiente distale (ossia ex-afferente): «L’ego-recezione accompagna l’esterocezione, come l’altra faccia di una moneta (…) si percepisce l’ambiente e ci si co-percepisce» (p. 98).

Ė stata, inoltre, avanzata l’ipotesi che l’afferenza, e soprattutto la

propriocezione, ci fornisca il contenuto fenomenico della nostra autoconsapevolezza corporea, nonché le informazioni propriocettive concernano il sé in maniera non ambigua (Bermùdez, 1998, 2003). C’è da dire, però, che il significato dei segnali afferenti per la percezione e per il comportamento è ambiguo, proprio perché i segnali afferenti possono essere generati o dal sé o dall’esterno. Tuttavia recenti teorie sul controllo motorio hanno mostrato come l’interazione tra la copia di efferenza e l’influsso sensoriale possa ridurre questa ambiguità. Nel caso di un’azione autogenerata, le intenzioni e le informazioni efferenti possono predire i conseguenti segnali multisensoriali prodotti dal proprio movimento. Questa predizione si ritiene abbia luogo nei modelli interni del sistema motorio (Wolpert, Flanagan, 2001). Eludendo i casi patologici, infatti, normalmente non sperimentiamo le componenti efferenti e afferenti in modo separato.

I segnali efferenti e quelli afferenti possono supportare funzioni differenti e dare vita a forme distinte di consapevolezza corporea. Ė proprio alla luce di tale differenza fisiologica sperimentale che i più recenti approcci neuroscientifici sul bodily self (Bermùdez, Marcel, 1995; Zahavi, 2000; Kircher, David, 2003) hanno ripreso a distinguere due aspetti fondamentali

dell’autoconsapevolezza corporea che sarebbero alla base del

riconoscimento e del movimento del sé cosciente: il “senso di agentività” e il “senso di possesso” (Georgieff, Jeannerod, 1998; Roessler, Eilan, 2003; Legrand, 2007b). Il senso di agentività (agency) è il senso preriflessivo immediato che io sono l’iniziatore o sorgente dell’azione; e in quanto tale ho piena facoltà di causare così come di controllare il mio movimento. Il senso di “appartenenza” o possesso è il senso preriflessivo che il corpo in azione e che si sta muovendo sia effettivamente riconosciuto come il

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proprio. L’agenzia si comprende in quanto dipende dalla coscienza dell’agente di essere agente; e cioè dalla possibilità che qualcuno che provochi intenzionalmente un evento riconosca di esserne l’artefice di uno specifico movimento piuttosto che di averlo subito passivamente (come nel caso di un movimento repentino che sposta il nostro corpo dall’esterno).

Il tipo di conoscenza consapevole che l’agenzia comporta, dunque, non deve necessariamente essere di ordine elevato; può semplicemente trattarsi di una conoscenza preriflessiva ed è questo quello che in molti casi di fatto succede. Un modo efficace per cogliere a pieno il concetto di agenzia è quello di distinguerlo dal senso di “proprietà del movimento” (Gallagher, Zahavi, 2011). Ė possibile, ad esempio, esperire me stesso che si muove e contemporaneamente avere il senso di essere titolari (possessori) di tale movimento, senza che vi sia nessun tipo di senso di agentività: «se qualcuno muove il mio braccio, o se il dottore batte sul mio ginocchio, quello che si muove è chiaramente il mio corpo, anche se dovrò riconoscere

che non sono io l’autore di tale movimento» (p. 243). A tale riguardo, può

essere d’aiuto, fare riferimento a certi casi patologici, come la “sindrome della mano anarchica” per districare certi aspetti dell’agenzia che nei casi non patologici, appaiono per l’appunto meno chiaramente. Nella sindrome della mano anarchica, i pazienti si accorgono che una delle loro mani può compiere movimenti complessi, evidentemente diretti a uno scopo, che essi non sono più capaci di controllare. Il paziente è cinestesicamente consapevole dei movimenti della propria mano, e anche se la mano è sentita ugualmente come sua, i movimenti che compie, però, sono esplicitamente disconosciuti e imputati ad altro da sé67. Inoltre, anche nei sintomi schizofrenici dei deliri di controllo e di inserimento del pensiero, il senso di proprietà in qualche modo è contenuto ma manca il senso di agenzia. La psicopatologia qualitativa ha descritto questi casi con accuratezza e

profondità evidenziando fenomeni quali il ricorrere di analisi

“ossessivomorfe” dell’esperienza interiore, fino ai cosiddetti fenomeni di

67 L’aprassia è una tipica dissociazione automatica-volontaria. Si manifesta nell’utilizzo di

oggetti in sequenza ai fini di azioni complesse e intenzionate, ma anche nell’utilizzo di un singolo oggetto. Riguarda particolari lesioni dell’emisfero parietale e del lobo frontale.

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iper-riflessività (Sass, 1999; Parnas, Sass, 2003); in questo caso diviene tematica ed oggetto di analisi non il contenuto dell’esperienza ma i meccanismi costitutivi dell’esperienza stessa68. Complessivamente si tratta di una morbosa accentuazione del carattere di cosità e di perdita progressiva della qualità effettive dell’ambiente. Il corpo (o una sua parte) viene, così, destituito del carattere di strumento di azione al proprio servizio e il mondo esterno desaminato e percepito nella macchinosità della sua nuda concretezza. Le distinzioni tra senso di agenzia e senso di proprietà possono coinvolgere tanto l’esperienza fenomenica di basso livello, quanto livelli di coscienza attribuzionale di secondo ordine. Relativamente a quest’ultima osservazione, per esempio, Stephens e Graham (2000) hanno elaborato una spiegazione dell’alienazione introspettiva nei sintomi schizofrenici che considera due tipologie diverse di attribuzione:

1) Attribuzioni di soggettività (proprietà): il soggetto si rende riflessivamente conto ed è incapace di dire che si sta muovendo. Per esempio può dire “questo è il mio corpo che si muove”.

2) Attribuzioni di agenzia: il soggetto si rende riflessivamente conto ed è capace di riferire che è l’autore della sua azione. Per esempio può dire “sono io a iniziare questa azione”.

Secondo l’approccio degli autori, infatti, l’esperienza fenomenica è sempre di livello base ed è causa di interpretazioni di second’ordine adeguatamente ordinate; mentre, invece, quella schizofrenica è tale a causa di un’errata interpretazione di second’ordine69. Le esperienza di livello base di proprietà

68 Tutti questi fenomeni si caratterizzano spesso per un alone di solipsismo, vale a dire uno

stile di sentire e di pensare per cui il mondo esterno e la trama dei rapporti sociali dipendono, per la loro esistenza, dalla funzione costitutiva della coscienza. Possono comparire fenomeni di depersonalizzazione che coinvolgono il corpo, la demarcazione del sé ed il flusso di coscienza: nel primo caso si verificano sentimenti di distanza tra corpo e soggettività, sensazioni di cambio della morfologia del corpo e di perdita di fluidità dell’azione che diviene macchinosa e spezzettata; nel secondo, l’incapacità a discriminare il sé dal non sé con un crescendo di sentimenti di minacciosa invasività dell’ambiente; nel terzo la progressiva distanza tra il sé ed i suoi contenuti, con spazializzazione dell’esperienza interiore

69 Graham e Stephens avanzano l’ipotesi che il senso di agenzia possa essere di fatto

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sono, dunque, incarnate, non concettuali e strettamente legate alla struttura temporale della coscienza. Parliamo di azioni e movimenti che dipendono, infatti, dal funzionamento del sistema motorio e dai segnali percettivi efferenti ed afferenti che specificano qualcosa circa la posizione attuale del corpo e il suo movimento. L’obiettivo ultimo di questi sistemi integrati è, infatti, quello di fornire un’anticipazione di controllo sul movimento e quindi del senso di essere un soggetto di agenzia70. Sembra, inoltre, ragionevole dire che la attribuzioni di ordine superiore, concettualmente informate, di proprietà e agenzia, possono fortemente dipendere dall’esperienza del livello di base di proprietà e di agenzia.

Nell’agentività il sé viene esperito come sorgente dell’esperienza di agire, il che implica che la relazione tra il sé e l’azione non sia semplicemente causale, perché ciò implicherebbe il fatto che l’agente sia separabile dall’azione. Questa posizione implicitamente sostiene che la consapevolezza dell’azione non può essere separata dall’agentività, almeno non in circostanze normali. Il senso di agentività implica, infatti, una forte componete efferente, poiché le azioni sono generate centralmente; così come il senso di possesso del corpo implica una forte componete afferente, perché i contenuti della consapevolezza del corpo, originano soprattutto dalla pluralità di segnali periferici multisensoriali. Ė quindi importante chiedersi esattamente cosa cos’è che il senso di agentività aggiunga a quello di possesso, e cosa più importante, come possa l’agentività essere impiegata per esprimere la distinzione sé-altro da sé. Recenti studi hanno fornito preziose spiegazioni su come sperimentiamo e rappresentiamo i nostri corpi a partire dall’egentività, dal controllo e dal movimento dell’azione, sollevando anche importanti questioni epistemologiche e metodologiche.

down radicale” che dipende da un approccio secondo cui diamo riflessivamente un senso alle nostre azioni attraverso le nostre credenze e i nostri desideri.

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A tale riguardo, ad esempio, Tsakiris (2005) parla di “rappresentazioni schematiche corporee” non coscienti come di processi top-down.

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