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L’esperienza dell’imitazione all’origine dell’intersoggettività

3. La Pratica della Mente

3.6 L’esperienza dell’imitazione all’origine dell’intersoggettività

I meccanismi di rispecchiamento e il correlato meccanismo funzionale di base che li descrive, e cioè i meccanismi di “simulazione incorporata”, sono una componente fondamentale di ciò che fa della nostra mente, in primo luogo, una “mente condivisa” (Beebe, 2004; Clement, 2004). Già alla nascita gli esseri umani sembrano essere impegnati in relazioni interpersonali mimetiche. Imitare ci aiuta a sintonizzarci con i nostri conspecifici e ad acquisire nuove abilità attraverso il loro esempio. Tutto ciò potrebbe essersi evoluto filogeneticamente in relazione all’ottimizzazione del controllo delle relazioni corporee con il mondo, e successivamente essere stato “exaptato” in ambito sociale, in quanto rivelatosi utile anche per interpretare il comportamento altrui, mediante l’utilizzazione di un canale interpersonale diretto, non esplicitamente rappresentato alla coscienza o

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rappresenta un tassello importante per la comprensione delle intenzioni, sia transitive, rivolte verso oggetti, che intransitive, di tipo espressivo. In entrambi i casi, infatti, agente e osservatore condividono lo stesso sistema di risonanza, che rende le azioni dell’altro potenzialmente eseguibili e conoscibili, quindi, attraverso l’anticipazione delle probabili conseguenze sensoriali dell’azione, collegando in questo modo realtà e modello (Gallese, 2006). Il sistema di riconoscimento dell’azione svolge, così, un ruolo importante nello sviluppo dell’intelligenza sociale: per imitare è, infatti, necessario la condivisione con l’altro di uno spazio d’azione. Se non fosse possibile una perfetta forma di integrazione tra atto osservato e movimento eseguito, non sarebbe possibile parlare di rispecchiamento imitativo. Le prime forme di imitazione poggiano, difatti, su meccanismi di traduzione dei comportamenti motori di un agente in quelli dell’imitatore, in virtù di processi neurali condivisibili in uno spazio d’azione attraverso l’attività di simulazione (Meltzoff, Gopnik, 1995).

Numerosi studi hanno ipotizzato l’esistenza di due distinti meccanismi alla base del comportamento imitativo che si esprimono secondo modalità diverse in base alle specifiche richieste della situazione da affrontare: uno responsabile dell’automatica risonanza motoria delle azioni osservate e l’altro coinvolto più in generale nell’apprendimento e nella replicazione di associazioni sensomotorie. Due sono, cioè, i processi imitativi distinti ma complementari che possano essere elicitati dall’osservazione dei movimenti dei nostri conspecifici: un processo automatico di risonanza motoria che si attiva in modo anatomicamente congruente quando la nostra attenzione è diretta alla postura o alla caratteristiche cinematiche delle azioni altrui (come, ad esempio, quando semplicemente osserviamo i movimenti di un’altra persona); e un meccanismo di associazione stimolo-risposta basato sull’apprendimento, che si attiva in modo speculare, vale a dire, spazialmente corrispondente ai corpi, quando dirigiamo la nostra attenzione verso lo scopo delle azioni altrui (come, ad esempio, quando imitiamo i movimenti diretti verso un oggetto eseguiti da un’altra persona). La prima, diffusa per lo più tra gli psicologi sperimentali, si riferisce alla capacità di un individuo di replicare un atto che appartiene al suo patrimonio motorio,

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dopo averlo visto fare da altri; la seconda, propria degli etologi, presuppone che tramite l’osservazione un individuo appreneda un pattern d’azione nuovo e sia in grado di riprodurlo nei dettagli. Entrambe gli argomenti rimandano ad una serie di questioni connesse al cosidetto “problema della corrispondenza”.

Una delle teorie specialiste più influenti è quella dell’Active

Intermodal Matching (AIM; Meltzoff e Moore, 1979, 1997), che risolve la

fondamentale questione di come sia possibile realizzare la corrispondenza fra azioni osservate e azioni eseguite durante l’imitazione proponendo che l’informazione visiva derivata dall’osservazione dell’azione del modello e l’informazione propriocettiva originata dall’esecuzione dell’azione da parte dell’imitatore vengano confrontate all’interno di un comune sistema rappresentazionale sopramodale110. La condivisione del medesimo codice neurale rappresenterebbe, cioè, il prerequisito dell’imitazione. Tale sistema, secondo la AIM, è innato e codifica le azioni in termini di “relazioni fra organi” (effettori). A livello neurofisiologico comprenderebbe una regione del cervello che codifica una precoce descrizione visiva dell’azione da imitare; una seconda regione che codifica le specifiche motorie dettagliate dell’azione da copiare; e una terza regione che codifica l’obiettivo dell’azione imitata (Lou, 2004; Iacoboni, Uddin, 2008). Evidenze a favore dell’esistenza di un tale sistema sopramodale innato provengono da studi che mostrano che, già a poche ore di vita, i neonati sono in grado di imitare alcune espressioni facciali, come la protrusione della lingua e le espressioni facciali eseguite da un modello adulto. La teoria prevede che già i neonati a poche settimane di vita riescono a codificare le azione osservate attraverso

110 Seguendo l’approccio “specialista”, l’imitazione dipendenderebbe da un meccanismo

specificamente dedicato a queste due funzioni. A differenza dell’approccio generalista che è basato su una netta separazione tra codici sensoriali e codici motori, il modello della teoria specialista ha preso, in quest’ultimi anni, il sopravvento grazie ai lavori di Prinz e dei suoi collaboratori. Essi si richiamano alla nozione di “azione ideomotoria” precisata da Lotze (1852) e William James (1890), ed estesa poi all’imitazione sotto forma di principio di “compatibilità ideomotoria” dallo psicologo americano Anthony Greenwald (1970). In base a tale principio più un atto percepito assomiglia a uno presente nel patrimonio motorio dell’osservatore più tende ad indurne l’esecuzione: percezione ed esecuzione delle azioni debbono pertanto possedere uno “schema rappresentazionale comune”, dove questo schema appare modulato dalla comprensione del tipo d’atto, ovvero dello scopo o dello stadio finale dei movimenti compiuti dal dimostratore.

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un sistema sovramodale (cioè indipendente da una specifica e sola modalità percettiva) innato, che unificherebbe l’osservazione e l’esecuzione degli atti motori. Sostanzialmente l’imitazione attuata dal neonato è concettualizzata come un processo attivo di progressivo “accoppiamento” (matching) all’azione dell’altro, reso possibile da un dispositivo neurale che permette di porre in corrispondenza (in una rappresentazione sovramodale) il contenuto proprioccettivo dell’azione osservata con i propri movimenti corporei (Decety, Sommerville, 2003). Il feedback proprioccettivo che ne deriva, garantito oltremodo da specifici segnali effettori, permette di confrontare le proprio azioni con quelle del modello attraverso ciò che è stato definito come un processo di “accoppiamento a un target”. Secondo tale modello la percezione di corrispondenze crossmodali permetterebbe al neonato di connettere stimoli sociali (azioni ed espressioni degli altri essere umani) e stati interni (di “attivazione” e “consapevolezza” proprioccettiva) fin dall’inizio della sua vita.

Il meccanismo di rappresentazione sovramodale ipotizzato del modello imitativo di Meltzoff ha implicazioni profonde per la fondazione dell’esperienza intersoggettiva. Sostenere l’esistenza di un meccanismo di trasformazione diretto fra informazioni visive e atti motori potenziali equivale, infatti, a dire che la stessa logica funzionale all’opera nel controllo del proprio agire opererebbe anche durante la comprensione dell’agire altrui. Entrambi sarebbero espressione di modelli d’interazione intero soggettivi che mappano i propri referenti su identici nodi funzionali-relazionali. L’imitazione di un comportamento costituirebbe, così, il ponte che fa sì che lo stato mentale interiore di un’altra persona “attraversi” e venga sperimentato come un proprio stato mentale (Meltzoff, Gopnik, 1993). In altre parole, queste sintonizzazioni di rispecchiamento affettivo e intersoggettivo sarebbero già racchiuse nelle routine automatiche e procedurali del sistema motorio. Meltzoff e Gopnik (1997) suggeriscono, infatti, che le interazioni imitative possano servire a riconoscere l’altro come

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simile a sé111. Gli autori propongono che il bambino utilizzi la sua capacità innata transmodale per rappresentarsi i movimenti visivi a livello selle sensazioni proprioccettive generate dai propri movimenti durante l’atto imitativo. Assumiamo che questo avvenga sia a livello degli indizi di stato viscerali e fisiologici che accompagnano gli stati delle emozioni fondamentali, sia a livello delle diverse conseguenze proprioccettive dei movimenti muscolari facciali:

i lattanti possiedono un codice per interpretare che l’altro è “come me” fin dalla prima fase dello sviluppo. Sé e altro possono essere connessi perché le azioni del loro corpo possono essere confrontate in termini commensurabili: “io posso agire come l’altro, e l’altro può agire come me”. Un primo esempio di intersoggettività può consistere nello “stato d’assere” che il neonato sperimenta mentre imita intenzionalmente (ivi, p. 58).

Questo stato comprenderebbe un primo senso di sé (la consapevolezza proprioccettiva di sé e il tono affettivo provato nello sforzo dell’imitazione), dell’altro (la comprensione delle azioni dell’altro attraverso le proprie) e della relazione (la possibilità di essere in relazione con l’altra persona). Tuttavia potremo sostenere che il ruolo precoce dell’imitazione come

fondamento dell’intersoggettività non si esaurisce semplicemente

nell’essere esperienza di connessione con un “altro” indifferenziato. Una seconda funzione sarebbe quella di differenziare l’ampia classe degli “altri” in specifici individui. In tal senso il rispecchiamento imitativo è utilizzato anche per verificare l’identità degli individui. Considerando, infatti, che l’intersoggettività richiede non solo comunione ma anche differenziazione di sé e dell’altro, cioè una relazione con l’altro considerato come specifico individuo, l’imitazione viene interpretata come funzionale al suo sviluppo anche in questo secondo senso. Il risultato degli esperimenti metterebbe, infatti, in luce che, oltre all’informazione spaziotemporale, i lattanti usano le modalità di interazione (specifiche azioni del corpo ed espressioni) con cui le persone si propongono, cioè proprietà funzionali che possono essere

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L’ipotesi del modello “proprio come me” di Meltzoff e Gopnik riguarda la preferenza mostrata per il rispecchiamento sociale, prevalentemente orientato verso la ricerca di contingenze sensomotorie.

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stimolate attraverso l’interazione come “marcatori” di identità personale112. Nello specifico le prime forme di interazione imitativa, secondo Tronick (1989, 1998, 2001) genererebbero “stati diadici di coscienza” che contribuiscono ad espandere a livelli di maggiore complessità l’organizzazione degli stati mentali. Nel caso di un neonato in interazione con il proprio caregiver, come ogni sistema capace di autorganizzazione, in base alle informazioni che incorpora (input percettivi, output motori, intenzioni d’azione, informazioni di ritorno rispetto ai propri obiettivi) è in grado di organizzare uno stato “affettivo” coerente e di manifestare questo stato attraverso una configurazione espressiva che include azioni, espressioni facciali e vocali, sguardo e movimento del corpo.

La percezione delle contingenze interpersonali, ossia dell’influenza del proprio stato e comportamento, gioca, così, un ruolo importante tra i processi all’origine dell’intersoggettività, non meno importante della percezione di corrispondenze crossmodali tra le proprie azioni e quelle del partner. L“imitazione precoce” (early imitation), definita anche da Trevarthen (1998) come “intersoggettvità primaria” getterebbe, infatti, nuova luce sulla “ri-enazione imitativa” (Braten, 1988, 1998) nonché sui passaggi che vanno dalla simulazione embodied delle azioni alla simulazione dei processi di comprensione mentale. In quest’ottica, anche i meccanismi che secondo la psicologia cognitiva sarebbero caratteristici dello sviluppo dell’intersoggettività, come il linguaggio, possono essere interpretati in modo alternativo, ovvero mettendo in luce la base pre- riflessiva a partire dalla quale essi possono svilupparsi. La nostra comprensione della mente degli altri sarebbe, cioè, fondata su un accesso primariamente introspettivo che poggia su di un sistema di risonanza

112 Nello specifico Meltzoff e Moore hanno posto lattanti di sei settimane nella situazione in

cui due persone diverse Aarrivavano di fronte al bambino, interagivano brevemente, e poi se ne andavano: la madre compariva e proponeva un gioco (per esempio l’apertura della bocca) al lattante; poi se ne andava, e al suo posto arrivava un estraneo che proponeva un gioco diverso (per esempio la protusione della lingua). Quando i lattanti eseguivano visivamente tutti questi cambiamenti, cioè l’arrivo e l’allontanamento di ciascuno dei due partner, riuscivano a cambiare gioco secondo il partner, imitando l’apertura della bocca con uno e la protusione della lingua con l’altro. Quando invece non seguivano tutti i movimenti, di fronte al secondo adulto esitavano perplessi, scrutando la nuova persona, e poi riproponevano l’azione del partner precedente. Questo esempio di imitazione differita potrebbe essere interpretato come una sorta di “test comportamentale” adottato dal bambino per verificare se il nuovo partner fosse la persona precedente o una diversa.

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sensori-motoria di basso livello e che si serve di risorse motivazionali ed emotive di comprensione propria e altrui. Stern ha recentemente introdotto il concetto di “matrice intersoggettiva” (2005) proprio per indicare come ogni persona, fin dai primi mesi di vita, cresca circondata dalle intenzioni, dagli stati affettivi, dai desideri e dai pensieri degli altri che interagiscono costantemente con i propri, in un dialogo incessante da cui sviluppa la vita mentale soggettiva. Un ulteriore correlato neurale della “matrice intersoggettiva”, è offerto secondo l’autore, dalla scoperta degli oscillatori adattivi (Varela, Lachaux et ali., 2001), cioè di quei meccanismi biologici che, registrando in tempo reale le proprietà dei segnali in ingresso e sincronizzando il tasso di attivazione neurale con il periodo di questo input, permettono la coordinazione temporale con i movimenti e le intenzioni di un’altra persona. Sebbene non siano ancora disponibili ricerche sui neuroni specchio e gli oscillatori adattivi riferite ai primi mesi di vita numerose ricerche concordano nel ritenere che i bambini nascono con un apparato psichico sintonizzato, in modo speciale, sulla mente e il comportamento degli altri esseri umani. Questo processo si compie principalemte attraverso la ricerca di corrispondenze cross modali nell’intensità, nella forma e nel ritmo degli stimoli e dei comportamenti. La proposta deriva da un’osservazione fenomenologica della prassi sociale, secondo cui essa non avviene necessariamente ad un livello meta-cognitivo. Nella maggior parte dei casi ciò che avviene sono relazioni intersoggettive, che coinvolgono metodi di comprensione essenzialmente pragmatici e immediati (Gallagher 2004)113. Questa ipotesi teorica applica quei principi che abbiamo visto essere propri dell’idea di una mente incorporata. Ponendo attenzione a quei meccanismi che permettono ad un agente cognitivo di essere situato relativamente ad un contesto sociale, legato ad una dimensione temporale, capace di scambiare attivamente informazioni con un ambiente che fa a sua volta da impalcatura alle sue attività cognitive.

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Occorre sottolineare che la distinzione fatta da Gallagher tra meta-cognizione e interazioni sociali dirette non ha nulla a che vedere con la distinzione tra sistemi coscienti e non. I sistemi meta-cognitivi, che permettono una comprensione teorica dei comportamenti possono essere inconsci e risultare tuttavia inutili in gran parte della prassi sociale quotidiana. Non è l’esistenza di queste strutture meta-cognitive ad essere messa in discussione, quanto il loro ruolo nelle prassi sociali di una mente incorporata.