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Mentalizzazione e sviluppo del sé: due modelli teorici a confronto

3. La Pratica della Mente

3.2 Mentalizzazione e sviluppo del sé: due modelli teorici a confronto

Molta parte della discussione sulla natura della cognizione sociale ha avuto luogo all’interno del dibattito sulla cosiddetta “Teoria della Mente”96. Come abbiamo appena visto l’espressione teoria della mente viene generalmente utilizzata come abbreviazione per la nostra capacità di attribuire stati mentali a noi stessi e agli altri e per interpretare, predire e spiegare il comportamento in termini di stati mentali quali intenzioni, credenze e desideri (Meini, 2007; Marraffa, Paternoster, 2011). Anche se in origine si assumeva che fossero il possesso e l’uso di una teoria a fornire all’individuo la capacità di attribuire stati mentali, il dibattito contemporaneo si è diviso e generalmente è considerato una disputa tra due concezioni: da un lato troviamo la cosiddetta “teoria della teoria”; dall’altro la “teoria della simulazione” (Goldman, 1989; 1992; 2000; Gordon, 1986; 1992; 1995; Herris, 1995; Heal, 1994, 1996).

La teoria della teoria (TT) è così chiamata perché sostiene che la nostra comprensione degli altri si basa sull’adozione di un atteggiamento teorico: essa richiede l’appello ad una particolare teoria, cioè la “psicologia del senso comune”, che ci offre la spiegazione in termini di senso comune

96 La metacognizione indica un tipo di autoriflessvità sul fenomeno cognitivo, attuabile

grazie alla possibilità di distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali. L’attività metacognitiva ci permette, tra l’altro, di controllare i nostri pensieri, e quindi anche di conoscere e dirigere i nostri processi di apprendimento. Come accennato, in termini epistemologici, una “teoria della mente” è un paradigma esplicativo della struttura e dei processi funzionali della mente umana, intesa come entità funzionale autonoma. Al variare delle epoche e dei paradigmi filosofici, culturali, scientifici e storico-psicologici di riferimento, sono variate le ipotesi e le modellizzazioni diffuse “su cosa fosse e come funzionasse la mente”. In termini cognitivi, è la fondamentale capacità umana di comprendere e riflettere sul proprio e l’altrui stato mentale, e sulle proprie ed altrui percezioni, riuscendo così a prevedere il proprio come l’altrui comportamento. È questo il significato che viene sviluppato nell’ambito degli studi metacognitivi. Se una coerente teoria della mente non si forma adeguatamente nel bambino, possono svilupparsi deficit e patologie molto serie: molti studiosi ad esempio ritengono che l’autismo possa collegarsi ad un deficit in termini di costruzione e rappresentazione interna della propria teoria della mente. Per verificare la comparsa di una coerente teoria della mente è, dunque, possibile effettuare alcuni test psicologici, come quello appunto della “falsa credenza”.

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della ragione per la quale le persone fanno quello che fanno97. La teoria della simulazione (ST), al contrario, è la nipote dell’argomento dell’analogia (Gordon, Cruz, 2003). Essa sostiene che la nostra comprensione dell’altro è basata su un’autosimulazione delle sue credenze, dei suoi desideri e delle sue emozioni. Mi metto nei suoi panni e mi chiedo che cosa sentirei e proverei, e quindi proietto su di lui i risultati ottenuti. Secondo tale approccio, dunque, non abbiamo bisogno di una teoria o della psicologia del senso comune, poiché abbiamo la nostra mente da usare come modello del mondo in cui la mente dell’altro deve essere.

Questa divisione netta, tuttavia, è un’ipersemplificazione, non solo perché esistono alcune teorie ibride che combinano la TT con la ST, ma anche perché nessuna delle due posizioni principali è monolitica da un punto di vista teorico. I teorici della teoria sono fondamentalmente divisi sul tema della natura della teoria in questione: è innata o modulare (Carruthers, Baron-Choen), oppure è acquisita alla stessa maniere in cui si acquisiscono le teorie scientifiche (Gopnik, Wellman). Quanto ai simulazionisti, alcuni sostengono che la simulazione in questione comporta l’esercizio dell’immaginazione cosciente e dell’inferenza deliberativa (Goldman), altri insistono, invece, nel dire che la simulazione, ancorché esplicita, possa anche avere natura inferenziale (Gordon), e infine vi sono autori che pensano che la simulazione non sia esplicita e cosciente, bensì implicita e subpersonale (Gallese).

In generale, comunque, la TT pensa che comprendere la creature dotate di mente (che si tratti di noi stessi o degli altri) è un’operazione di natura teorica, inferenziale e quasi scientifica. L’attribuzione di stati mentali è vista come un’inferenza alla migliore spiegazione e predizione dei dati comportamentali, e si sostiene che gli stati mentali sono entità inosservabili e postulate teoricamente. Di conseguenza si nega che si possa avere una

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Con il termine di “psicologia del senso comune” o “psicologia ingenua” si è soliti intendere la tendenza all’interpretazione mentalistica dei comportamenti, cioè la capacità di anticipare e spiegare i comportamenti delle persone attraverso l’attribuzione di stati mentali. Questi ultimi sono tradizionalmente suddivisi in due categorie, gli stati fenomenici o qualitativi, e gli stati intenzionali. Non si tratta, tuttavia, di categorie mutualmente esclusive: in diversi casi uno stesso stato mentale ha verosimilmente tanto un aspetto intenzionale quanto uno qualitativo.

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qualche esperienza diretta di questi stati. Quando i sostenitori della TT affermano che l’attribuzione di stati mentali è mediata teoricamente, tuttavia, hanno in mente qualcosa di più radicale. L’idea è fondamentalmente che l’impiego della teoria ci permette di trascendere ciò che è dato nell’esperienza:

Uno dei poteri più importanti della mente umana è la capacità di pensare e concepire se stessa e le altre menti. Poiché gli stati mentali degli altri (e anche in nostri, infatti) sono completamente nascosti ai sensi, possono sole essere inferiti (Leslie, 1987, p. 139).

Gli esseri umani normali di ogni latitudine non solo dipingono di colore il mondo, ma dipingono anche le credenze, le intenzioni, i sentimenti, le speranze, i desideri, e le simulazioni sugli agenti del loro mondo sociale. Lo fanno anche se nessun essere umano ha mai visto un pensiero, una credenza o un’intenzione (Tooby, Cosmides, in Baron-Choen, 1995, p. 12).

Si noti, quindi, che la TT difende una duplice tesi: non solo sostiene che la nostra comprensione degli altri così come di noi stessi è di natura inferenziale, ma argomenta anche che la nostra esperienza è teoricamente mediata. Dopotutto, l’idea di base che qualsiasi riferimento agli stati mentali comporta un atteggiamento teorico, e che quindi coinvolge l’applicazione di una teoria della mente.

Mentre la TT sostiene che la nostra comprensione degli altri impiega dei processi intellettuali e linguistici, muovendosi per via inferenziale da una credenza a un’altra, la ST sostiene che per comprendere gli altri sfruttiamo innanzitutto le nostre risorse motivazionali ed emotive. In opposizione ai teorici della teoria, i simulazionisti, quindi, negherebbero che ciò che sta alle radici delle nostre capacità di mentalizzare, cioè di leggere la mente degli altri, sia una forma di teoria. Non possediamo alcuna teoria del genere, o perlomeno nessuna che sia abbastanza completa da far sì che tutte le nostre competenze siano sostenute da nozioni psicologiche. Fin qui le varie versioni della simulazione sono tutte d’accordo. Tuttavia quando si arriva a dover fornire un resoconto maggiormente concreto di ciò in cui l’alternativa simulazione consiste, le opinioni divergono. Ci concentreremo sulla visione di Alvin Goldman, dato che è quelle che in maniera meno equivocabile si basa su, e fa riferimento a, un’attività che merita il nome di “simulazione”.

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