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Il rapporto funzionale tra agente e ambiente

La ragione fondamentale che porta a parlare di “incorporamento” adotta le vesti di un funzionalismo biologico, diciamo, maggiormente corporeo e pragmatico che è notevolmente soppesato dalla teoria dell’evoluzione di Darwin (1859; 1889)19. Il mirino della psicologia evoluzionistica chiama infatti a rapporto un’idea di corporeità e coscienza strettamente connessa alle forme di “expertise” organizzate in funzione dell’organismo nella formazione degli adattamenti prodotti all’ambiente. Chiaramente si tratta di scandagliare le necessità-virtù della natura umana dentro l’orizzonte

19 In contrapposizione con l’impostazione classica delle scienze cognitive, all’interno di una

visione situata della cognizione, la conoscenza non viene costruita per mezzo di un processo di aggregazione e organizzazione di informazioni salienti provenienti dal mondo esterno, ma deriva da cicli percezione-azione in cui la mente e il mondo continuamente si confrontano. Motore dell’evoluzione biologica è la selezione naturale che effettua un’incessante azione discriminante sui caratteri sia fisici che comportamentali degli organismi. In questa prospettiva l’individuo è un organismo aperto, caratterizzato da un incessante scambio di informazione e conoscenza specifica con l’esterno. Ne risulta che tanto il comportamento umano quanto il funzionamento mentale, nel suo insieme e in ogni singola attività, devono essere analizzati alla luce delle leggi generali che regolano i sistemi viventi. Le conoscenze specifiche che un organismo acquisisce, progressivamente nel tempo, si integrano con quelle preesistenti, favorendo così l’incremento della complessità del sistema. La mente si manifesta nel momento in cui le interazioni con il mondo esterno si riflettono e in qualche modo modificano lo stato interno di chi ha richiesto l’interazione.

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dell’indagine biologica, in particolare dentro il quadro dell’evoluzionismo darwinista (Ferretti, 2007, 2010, 2011; Pievani, 2005). Sostenere, infatti, che la mente quanto la coscienza siano fattori incarnati e/o incorporati all’agente, cioè rintracciabili nelle sue dinamiche percettive e motorie, significa in primo luogo rivalutare il ruolo attivo che l’organismo assume nel processo evolutivo di adattamento all’ambiente20. Ciò pone un problema fondamentale a chi ha la pretesa di studiare scientificamente l’emergeneza della coscienza: l’esigenza di rendere conto oggettivamente dalla dimensione “qualitativa” del soggetto attraverso il rigore del metodo scientifico. L’obiettivo è quello di cercare di vedere se sia possibile sfruttare favorevolmente, una posizione ecologica nello studio dei processi di costruzione cognitiva del soggetto soprattutto al di fuori di ogni dicotomica forma di conoscenza. Da un punto di vista pratico significa inquadrare il corpo come un’unità di comportamento e volontà; significa poter ripartire dal principio e catalogare l’esperienza non come un “fascio di percezioni vuote e primitive”, ma come qualcosa di dinamico che conferisce unità e significato agli eventi coinvolti. Se la mente non è né nel cervello né fuori di esso, allora è da identificare con un insieme enorme di processi che si sviluppano nel tempo e nello spazio, che fanno parte dell’ambiente esterno così come delle strutture cerebrali coinvolte nelle attività pratiche dell’agente. Ė a tal proposito che Bateson (1972), ad esempio, seguendo un’ipotesi evoluzionistica caratterizzava la mente umana come “ecologica”, in grado cioè di integrarsi flessibilmente con l’ambiente attraverso un continuo processo evolutivo. Capire l’evoluzione e la funzione di un processo significa, di conseguenza, poter considerare un organismo a partire

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Lo studio della cognizione umana come strettamente legato all’azione e all’interazione con il contesto in cui gli agenti operano, ha ricevuto più ampio consenso nella comunità scientifica solo a partire dal secolo scorso. Da un paradigma strettamente computazionale, largamente diffuso nelle scienze cognitive (Fodor, 1983, 2001; Fodor e Pylyshyn, 1981), si è più recentemente giunti a una visione della conoscenza umana legata alla possibilità d’azione e interazione significativa con il mondo (Gibson, 1977; Edelman, 1992; Damasio, 1994; Clancey, 1997; Glenberg et al., 2001). Gli studi sulla cognizione e sull’apprendimento si sono, così, spostati da un punto di vista che enfatizzava gli aspetti astratti del pensiero, governati da regole formali, non biologici e indipendenti dai fattori culturali, verso una visione che vede la mente 1) situata nel contesto, 2) orientata all’azione, 3) olistica e legata profondamente a 4) principi di natura biologica.

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dalla sua notevole complessità di struttura. I termini di questa definizione, come sottolineato da Anderson e Bothell (2004), evidenziano i seguenti aspetti:

1) La cognizione, come ogni forma di adattamento, ha una storia evolutiva, il cui studio è indispensabile per capirne la funzione;

2) La cognizione è adattiva, infatti migliora le possibilità di sopravvivere e riprodursi, perché consente di interagire più efficacemente con l’ambiente;

3) La cognizione si è evoluta in ambienti specifici come risposta a specifici problemi, quindi è legata alla struttura e alle caratteristiche di questi ambienti e di questi problemi;

4) La cognizione si è evoluta in organismi con specifici attributi fisici, corpi di un certo tipo con precise caratteristiche che l’hanno indirizzata, nel contesto di un certo sistema fisico.

Cambiamenti di prospettiva che derivano dai movimenti dell’animale, la morfologia del suo corpo e le caratteristiche fisiche dei suoi organi sensoriali sono importanti tanto quanto il modo in cui il cervello raccoglie e processa le informazioni che riceve da questi stessi organi. L’organo fisico che supporta la cognizione, il sistema nervoso centrale, è anche l’organo responsabile della percezione e dell’azione per cui la mente è principalmente il sistema di controllo del corpo in uno specifico contesto fisico, simbolico e culturale. Questo si traduce in un’enfasi sul ruolo

dell’ambiente nello sviluppo dei processi cognitivi emergenti

dall’interazione tra gli organismi e l’ambiente stesso. In questo modo non si trascura di catturare il modo in cui mente, corpo e mondo interagiscono mutuamente e si influenzano l’un l’altro al fine di promuovere il successo adattivo di un organismo.

La prospettiva embodied si configura quindi come un’alternativa ai modelli di cognizione classici, basati sul processamento dell’informazione con il suo focus sui processi cognitivi interni, sulle rappresentazioni astratte e sulla computazione. Studiare la cognizione a livello di concetti astratti non è più l’unico itinerario che merita di essere seguito, ma c’è posto per lo

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studio di organismi viventi più “semplici”, ma che comunque mostrano di essere adattivi. Come sottolineato da Lakoff e Johnson (1999) «il corpo è, da una parte, la cornice di riferimento nella quale tutte le nostre esperienze avvengono, dall’altra, il corpo diviene, attraverso i sensi, il principale legame fra la mente e il mondo» (ivi, p 43). Le capacità cognitive e le pratiche culturali coinvolgerebbero, in ultimo, la sfera qualitativa del soggetto e gli aspetti multisensoriali della azioni che garantirebbero un radicamento cognitivo all’ambiente. Questi aspetti garanti di expertise corporeo, convivono appunto secondo un canone multimodale che ben si presta a chiamare il causa il ruolo che l’espressività corporea tutta riveste nell’acquisizione riflessiva del sé e del linguaggio. Ad esempio Gallese e Lakoff (2005), neurologo l’uno, linguista l’altro, a tale proposito scrivono:

anche la conoscenza concettuale è embodied, cioè è mappata nel nostro sistema senso-motorio che non solo fornisce la struttura al contenuto concettuale, ma caratterizza il contenuto semantico dei concetti conformemente al modo con cui noi funzioniamo nel mondo col nostro corpo (p. 56)

Secondo l’approccio “incarnato”, infatti, le strutture nervose che presiedono all’organizzazione dell’esecuzione motoria delle azioni svolgerebbero un ruolo anche nella comprensione semantica delle espressioni linguistiche che le descrivono. Si è visto infatti come la partecipazione di determinate parti del corpo durante l’elaborazione dei concetti riferiti a un’azione o a un oggetto può attivare le aree senso-motorie corrispondenti, non solo quando produciamo azioni con quelle parti del corpo ma anche quando l’azione è eseguita da qualcun altro e osservata dal partecipante o quando è solo immaginata (Arevalo, 2008). Queste forme di adattatività e plasticità dell’organismo rappresentano la possibilità più naturale di conoscenza che è ottenuta attraverso l’interazione con l’ambiente e basata su un indivisibile ciclo percezione-azione. Ė mutuata da Gibson, infatti, l’idea di “risonanza” tra un certo sistema e certi aspetti del mondo esterno, e cioè la variante relazionale che l’informazione (e dunque buona parte dalla nostra conoscenza) nasca dall’interazione tra agente e ambiente. I concetti di “contingenza senso-motoria” e “risonanza mentale” sono, difatti, funzionali all’idea di un modello “isomorfo” tra sistema nervoso e ambiente

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che guida l’animale nel suo comportamento, cioè nelle sue forme di expertise adattivo. Questo forma di isomorfismo biologico e funzionale è efficacemente riassunta nelle parole di Ester Thelen (2001):

Dire che la cognizione è incarnata significa che emerge dalle interazioni corporee con il mondo. Da questo punto di vista, la cognizione dipende dal tipo di esperienze che derivano dall’avere un corpo con particolari caratteristiche percettive e motorie che sono inseparabilmente legate e che insieme formano la matrice all’interno della quale emozione, azione e linguaggio e tutti gli altri aspetti della vita sono inseriti (p. 35).

Mentre il cervello, per lungo tempo, era stato concepito come l’unica sede dell’intelligenza, molti ricercatori hanno enfatizzato il fatto che il cervello è inserito in un corpo, in un contesto, in una cultura. Nelle neuroscienze (Ballard, 1991, 1996), in psicologia (Smith e Thelen, 2003; Barsalou 1999), nell’intelligenza artificiale e nella robotica (Pfeifer e Scheier, 1999), in linguistica (Lakoff e Johnson, 1999) e filosofia (van Gelder 1998; Zeimke, 2002) si è osservata un’estensione del dominio della cognizione: essa non è più limitata al processamento simbolico di informazioni interne, ma implementata in vari processi senso-motori (movimento, percezione, emozioni) e vari substrati (membra, corpi, artefatti). La costante interazione senso-motoria, il ruolo dell’azione nella percezione e nell’apprendimento, il legame tra organsimo e ambiente sono le determinanti cognitive da considerare per descrivere adeguatamente i sistemi cognitivi naturali. Adottare questo punto di vista allo studio dei comportamenti adattativi implica studiare come gli animali e l’uomo imparano a riconoscere e a sfruttare le informazioni relative allo spazio riconoscendo un ruolo importante all’azione. La conoscenza spaziale e motoria del mondo in cui si vive e a cui bisogna adattarsi può essere acquisita solo muovendosi ed agendo in esso.

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