• Non ci sono risultati.

La cognizione sociale dei primati non uman

3. La Pratica della Mente

3.4 Simulazione incarnata e intelligenza motoria

3.4.2 La cognizione sociale dei primati non uman

Al pari degli esseri umani, anche i primati non umani vivono in gruppi sociali estremamente coesi. La sopravvivenza dell’individuo all’interno di un gruppo sociale sembra strettamente correlata allo sviluppo di una sensibilità acuta verso informazioni sociali quasi impercettibili (Humphrey, 1976).

182

I primati non umani sono infatti in grado di discriminare gli altri membri sulla base di informazioni visive o acustiche (Snowdon, 1986). Diversi studi etologici hanno dimostrato che possiedono un certo di livello di intelligenza sociale in quanto riconoscono individualmente ciascun membro del proprio gruppo sociale; sono capaci di stabilire rapporti diretti con gli altri individui sulla base di fattori come la parentela, l’amicizia, la gerarchia di dominanza; possono prevedere il comportamento degli altri individui in relazione a stati emozionali o alla direzione della locomozione; riescono a formare coi conspecifici alleanze e coalizioni sociali, cooperando in compiti di soluzione di problemi e utilizzano strategie sociali e comunicative con i compagni di gruppo in situazioni di competizione per le risorse.

I primati dimostrano inoltre una buona comprensione delle relazioni sociali nelle quali non sono direttamente coinvolti: ad esempio, comprendono le relazioni di dominanza e di parentela che individui terzi hanno l’uno con l’altro (Tomasello, Call, 1997). I primati scelgono accuratamente i compagni con cui allearsi, preferendo, per esempio, un individuo dominante rispetto al loro potenziale avversario (comportamento che dimostra la comprensione della gerarchia di dominanza tra terzi). Inoltre, se vengono attaccati, cercano di vendicarsi non solo sull’assalitore, ma anche, in talune circostanze, sui suoi parenti (comprensione delle relazioni di parentela fra terzi).

Secondo Tomasello (2005), la capacità di comprendere e gestire le categorie relazionali, costituisce un potenziale precursore evolutivo della capacità di comprendere le relazioni intenzionali che gli esseri umani hanno con il mondo esterno.

Dopo gli studi pionieristici di Köhler (1927) sull’intelligenza intuitiva (insight) dei primati antropomorfi, Premack e Woodruff (1978) hanno tentato di studiare negli scimpanzè, la capacità di comprendere le azioni finalizzate di un essere umano. Nel loro esperimento, Sara, una femmina di scimpanzè, visionava dei filmati di persone impegnate a risolvere un problema e doveva selezionare tra varie fotografie quella che ne rappresentava la soluzione. Poiché la scimmia tendeva ad indicare la fotografia corretta, gli autori hanno proposto che i primati non umani

183

fossero dotati della capacità di comprendere lo scopo delle azioni altrui e quindi di una forma elementare (o rudimentale) di Teoria della Mente. Nello stesso anno, Savage-Rumbaugh e colleghi (1978) hanno tuttavia rivelato che gli scimpanzè dimostravano un’abilità simile nei compiti di associazione di oggetti semplici (ad esempio, una chiave da associare ad una serratura). Ė stato allora sollevato il dubbio che ciò che questi compiti rilevavano fosse in realtà un’abilità cognitiva molto più semplice della capacità di comprendere gli scopi o le intenzioni. Dato il fallimento nei compiti di Teoria della Mente (Woodruff e Premack, 1979; Povinelli, 2000; 1994; Call, Tomasello, 1999) e l’ambiguità dei risultati ottenuti negli esperimenti che tentarono successivamente di dimostrare l’esistenza della capacità di discriminare la natura volontaria o accidentale di un comportamento (Call e Tomasello, 1998; Povinelli e coll., 1998), la capacità dei primati non umani di attribuire stati mentali agli altri è stata fortemente rimessa in causa nell’ultimo decennio.

Call e Tomasello (1999) hanno proposto che anche se i primati non umani posseggono molte abilità cognitive relative ad eventi ed oggetti fisici, tra cui una comprensione delle categorie relazionali e delle relazioni antecedente-conseguente che strutturano le sequenze di eventi, non sembrano tuttavia collegarne la causa agli stati mentali, intesi come forze mediatrici che spiegano il perché di questa particolare sequenza di eventi. Ė stato enfatizzato, quindi, che ciò che maggiormente differenzia la cognizione sociale degli esseri umani da quella dei primati non umani sia la capacità di comprendere le forze causali ed intenzionali soggiacenti agli eventi e non facilmente osservabili. Mentre gli uomini possono inferire gli stati mentali soggiacenti al comportamento presente e futuro dell’altro (Povinelli, Eddy, 1996; Tomasello, Call, 1997), le capacità cognitive sociali dei primati si basano invece sull’estrazione di regole procedurali dalle regolarità situazionali osservabili (Visalberghi, Tomasello, 1998). Le scimmie imparerebbero dunque a comprendere e prevedere un’azione imminente grazie all’associazione di una certa sequenza antecedente- conseguente di comportamento ad una situazione ricorrente in un determinato contesto. Secondo Povinelli (2001), anche se la capacità di

184

discriminare ed elaborare le regolarità statistiche del comportamento altrui risulta essere comune ai primati umani e non, questa abilità non precede e tanto meno facilita lo sviluppo dell’abilità riscontrabile unicamente negli umani di concepire e ragionare sull’esistenza degli stati mentali. I dati ottenuti da una serie di recenti studi condotti in paradigmi sperimentali che rispettavano maggiormente l’ecologia sociale dei primati (come le situazioni di competizioni per le risorse), ha tuttavia portato diversi autori a rivedere la loro posizione teorica (Tomasello, 2005).

Gli studi svolti sugli scimpanzè hanno dimostrato come quando vengono messi in condizione di competizione, essi siano in grado di regolare il loro comportamento in base a quello che l’altro vede o meno (Hare et al., 2001) e distinguono un comportamento intenzionale da uno involontario. Anche tra le scimmie non-antropomorfe è stata evidenziata la presenza di alcuni dei cosiddetti “precursori” della ToM. Ad esempio, nei macachi è stata più volte osservata la naturale tendenza a percepire e seguire lo sguardo dei conspecifici (Emery, 2000) e non (Ferrari, 2002), anche se si pensava che questa capacità non si fosse poi tradotta nell’abilità di assumere la prospettiva visiva dell’altro. Se ne riteneva prova l’esito dell’esperimento di Anderson e collaboratori (1996), dove i macachi fallivano sistematicamente nell’ utilizzare la direzione della testa e degli occhi dell’altro come segnali per trovare il cibo nascosto. Allo stesso modo, i macachi rhesus sono in grado di attuare strategie comportamentali per accaparrasi del cibo in maniera silenziosa quando pensano che un rivale potrebbe sentirli (Santos et al., 2006). Una serie di recenti studi ha anche dimostrato l’esistenza nei macachi di una discreta capacità analitica delle azioni finalizzate, evidenziata in particolare dalla loro competenza nei compiti di imitazione cognitiva. In un compito di apprendimento per osservazione (Subiaul et al., 2004), i macachi dovevano imparare da uno dimostratore a toccare, seguendo una determinata sequenza, una serie di immagini esposte su uno schermo. I risultati hanno dimostrato che le scimmie non imparavano le nuove sequenze tramite una semplice imitazione motoria ma piuttosto grazie alla discriminazione e all’imitazione delle regole cognitive che guidavano il comportamento motorio del

185

dimostratore. Paukner e collaboratori (2005) hanno anche dimostrato che i macachi sono in grado di riconoscere quando le loro azioni vengono imitate da uno sperimentatore.

Questi dati consentono di ipotizzare che la comprensione delle percezioni altrui può fondarsi su abilità cognitive che non dipendono necessariamente da una mediazione metarappresentazionale, creata ascrivendo agli altri atteggiamenti preposizionali. Ė possibile allora che in tutti tipi di primati (umani e non) esista una forma di consapevolezza, di comprensione del significato delle azioni altrui, che poggia su meccanismi automatici e non dichiarativi che permettono di discriminare la struttura finalizzata dell’azione osservata, oltre alla lettura degli aspetti cinematici del comportamento. Una tale ipotesi, scuote le fondamenta della concezione tradizionale della cognizione sociale, fortemente orientata verso un modello di intelligenza sociale che si concentra solamente su rappresentazioni mentali interne (Barrett, Henzi, 2005; 2007). Capacità cognitive apparentemente dissimili, come quella di leggere il comportamento o quella di leggere la mente, potrebbero invece reggersi su meccanismi funzionali simili che, nel corso dell’evoluzione hanno acquisito un maggior livello di complessità per adattarsi ai cambiamenti sociali ed ambientali (Gallese, Umiltà, 2006; Barrett, Henzi, 2007; Lyons et al., 2006; Lyons, Santos, 2007).