2. SELF , CORPO ED ESPERIENZA NUOVE POSSIBILITÀ PER UNA FENOMENOLOGIA NATURALIZZATA
2.1 Radicamento percettivo e riconoscimento corporeo
2.2.3 Strategie spaziali basate su stimoli corpore
Il comportamento di un organismo dipende sia dalla stimolazione ambientale che riceve attraverso gli organi di senso sia dagli stimoli interni che il corpo stesso produce, ad esempio gli orologi interni legati ai ritmi circadiani o il feedback motorio. Nel caso in cui l’utilizzo di questi ultimi sia preponderante rispetto ai primi, possiamo parlare di orientamento spaziale con strategie basate su stimoli corporei. Per l’orientamento spaziale, quale che sia il meccanismo implicato, è necessario che l’organismo conosca la propria posizione in un preciso momento, la direzione e la distanza per andare in un altro luogo.
Tra le strategie basate su stimoli interni, il dead reckoning consente di fare ciò. Questo termine, sinonimo di path integration, deriva probabilmente da un’abbreviazione corrotta di deduced reckoning, cioè il processo di aggiornamento continuo della stima della posizione in base alla velocità di spostamento, della direzione e della durata del movimento. Quando i primi navigatori transoceanici, come Cristoforo Colombo, si trovarono, per la prima volta, nella condizione di non vedere la terra per un lungo periodo di tempo, per non perdersi dovettero escogitare un sistema per registrare la
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propria posizione rispetto al punto dal quale erano partiti. Per fare questo misurarono due componenti relative al movimento della nave nel corso del loro viaggio verso le Americhe: la direzione rispetto ad un punto di riferimento conosciuto che potevano vedere, come il sole o le stelle e la distanza percorsa in un certo lasso di tempo, stimata in base alla velocità della nave. Trascrivendo continuamente queste informazioni nel diario di bordo, i navigatori potevano sommare i vettori e stimare quindi la posizione attuale rispetto al punto di partenza.
Il dead reckoning è quindi il processo che consente al navigatore di dedurre la propria posizione (rispetto ad un punto di partenza) in base ai movimenti effettuati. Più in generale possiamo definire questo meccanismo come un processo attraverso il quale la relazione spaziale tra l’animale e uno o più luoghi significativi dell’ambiente è continuamente aggiornata mentre l’animale si muove. Se una formica del deserto del genere
Cataglyphis, ad esempio, si sposta alla ricerca di cibo, la sua posizione
relativamente al nido si modificherà mentre essa si muove nel deserto. Rappresentando il formicaio come l’origine di un sistema di coordinate allocentriche, cioè indipendenti dalla posizione del soggetto navigatore, la posizione attuale della formica può essere rappresentata come un vettore che ne specifica la distanza e la direzione rispetto al nido ed è continuamente aggiornato. Le formiche (Wehner e Wehner, 2000), durante le loro peregrinazioni nel deserto alla ricerca di cibo, misurano le componenti angolari e lineari, integrandole in un unico vettore che consente il ritorno diretto al formicaio.
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Figura 2.2.3 Esempio di integrazione compiuta dalle formiche del deserto: si allontanano
dal formicaio, punto in basso e si muovono in cerca di cibo lungo un tragitto fatto di varie svolte. Memorizzano però il tragitto percorso e sono in grado di tornarvi seguendo un percorso diretto (Wehner R., Michel B., e Antonsen P., 1996).
Questo tipo di meccanismo è stato identificato negli insetti (Collett et al., 1993), negli uccelli (Regolin et al., 1995) e nei mammiferi (Etienne, 1992) tra cui anche gli uomini (Loomis et al., 1993). I cambiamenti della direzione di movimento rispetto alla posizione di partenza dell’animale possono essere registrati tramite l’uso di propriocettori come i canali semicircolari nei vertebrati per la detezione dell’accelerazione angolare o facendo riferimento a “bussole” come la posizione del sole. Una bussola magnetica è stata identificata per gli uccelli (Wiltschko e Wiltschko, 1987, 1999) ed una specie di termiti (Korb, 2003), ma sono state identificate anche altre bussole basate su indizi visivi come le stelle, grossi punti di riferimento all’orizzonte o il pattern di luce polarizzata del cielo (la rifrazione della luce nell’atmosfera produce uno specifico pattern del cielo che è invisibile all’occhio umano, ma può invece essere percepito da api, formiche, scarafaggi e libellule). Solo determinando la direzione del movimento, l’orientamento non sarebbe possibile: è quindi necessario calcolare anche la distanza dal punto di partenza. Anche in questo caso gli animali possono
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servirsi di propriocettori quali gli organici otolitici che misurano l’accelerazione lineare o di informazioni sui movimenti effettuati. Ad esempio mantenendo stabile il ritmo dei passi, la distanza percorsa sarà riconducibile al numero dei passi. Questi sistemi idiotetici sono però soggetti all’errore, quindi, quando è possibile, gli animali sfruttano anche informazioni provenienti da stimoli esterni. Infatti utilizzando solo il meccanismo di dead reckoning, gli errori si possono accumulare su lunghe distanze. Il risultato sarà che gli animali raggiungeranno le zona del nido, ma non il nido stesso. Quindi, dopo che la path integration ha condotto gli animali nelle vicinanze del nido, potrà entrare in gioco un altro meccanismo, basato sull’utilizzo di punti di riferimento ambientali, che cooperano per riportare un animale a casa. Infatti, anche se grazie alla path integration gli animali possono approssimativamente raggiungere l’area desiderata, è necessario che essi considerino informazioni locali per identificare accuratamente l’obiettivo. Ad esempio le formiche (Ronacher e Wehner, 1995) e le api usano degli odometri visuali. Questo è stato mostrato attraverso degli esperimenti nei quali, se nelle formiche del deserto il flusso ottico lungo il percorso viene aumentato artificialmente, le formiche sovrastimano la distanza che hanno percorso e iniziano la ricerca del formicaio prima rispetto ai controlli con il flusso ottico non modificato (Wehner, Michel e Antonsen, 1996).
Gli animali quindi si orientano anche basandosi su indizi esterni, con la strategia del beaconing homing, avvicinandosi a segnali che sono posti vicino all’obiettivo che vogliono raggiungere o con la landmark navigation, sfruttando appunto la configurazione relativa di diversi punti di riferimento per identificare una certa area. Ma di questo è opportuno parlare a proposito delle strategie basate su stimoli esterni. Basarsi solo su informazioni auto- generate dell’organismo può infatti costituire una fonte di errore: per questo motivo, nel corso dell’evoluzione, sono stati acquisiti dei meccanismi che consentono di orientarsi e navigare servendosi degli indizi che sono presenti nell’ambiente nel quale si agisce (Healy, 1998).
Parlare di indizi, insieme agli stimoli, implica la considerazione del ruolo attivo dell’organismo che si orienta nel selezionare la propria
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stimolazione. Gli indizi esterni possono essere infatti raccolti in modi diversi: direttamente attraverso sensazione e percezione, indirettamente tramite l’azione e coordinando sensazione ed azione. Un meccanismo di orientamento che sfrutta indizi esterni all’animale utilizza punti di riferimento ambientali per associarli a specifici luoghi. Questi punti di riferimento costituiscono delle guide, dei fari da avvicinare, evitare, rispetto a cui girare a sinistra o a destra. Esempi di comportamenti che sfruttano questi indizi sono l’approaching o beaconing, termini che descrivono la capacità di dirigersi verso indizi ambientali che si trovano in corrispondenza dell’area target, riconducibili a meccanismi stimolo-risposta. A questo estremo del nostro continuum si può ricondurre la landmark navigation (Hong et al., 1992; Lambrinos et al., 2000; Cartwright e Collett, 1983) secondo la quale una posizione è definita dalla distribuzione spaziale di una serie di punti di riferimento circostanti. Un organismo che vuole ritornare in un certo posto immagazzinerà l’informazione relativa a come questi punti di riferimento sono percepiti da questa posizione. Questa informazione che consente di identificare una posizione in base alla distribuzione di punti di riferimento nello spazio è chiamata spesso location signature. Per ritornare nel luogo desiderato, l’animale compara la “firma” della posizione corrente con quella depositata in memoria e si muove in modo da minimizzare la discrepanza tra le due, fino al raggiungimento del target. Alcune ricerche di laboratorio sono state condotte sull’uso di landmark per ritrovare una posizione, ad esempio il centro, in base ad una configurazione di punti di riferimento. La prima di queste esperienze risale agli anni ’30 quando Tinbergen (1932, 1952) posizionò delle pigne in modo da formare un cerchio intorno ad un nido di vespa della sabbia. In un secondo tempo spostò il cerchio di pigne in una nuova posizione e osservò che la vespa cercava il nido al centro delle pigne spostate. Più recentemente Spetch e colleghi (1997) hanno mostrato che sia i piccioni sia gli esseri umani riescono ad usare una configurazione di landmark per trovare il centro; e Tommasi e Vallortigara (1997, 2000) hanno mostrato che anche i pulcini riescono ad identificare il centro di un’arena chiusa di diversa forma, basandosi solo sull’informazione geometrica fornita dall’arena.
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Nella parte centrale del continuum che unisce i due estremi relativi alla stimolazione interna ed esterna, trovano posto le strategie per l’orientamento che sfruttano sia gli indizi esterni che le informazioni provenienti dall’interno45. Tra queste si possono distinguere, da una parte, le informazioni auto-generate dall’organismo che costituiscono il versante interno della stimolazione e dall’altra le conoscenze spaziali su cui l’organismo stesso può contare. Queste ultime vengono acquisite nel corso dei processi evolutivi, di sviluppo e di apprendimento attraverso l’assimilazione di informazioni derivanti da stimoli autogenerati. Una volta acquisite divengono un patrimonio a cui attingere anche in assenza degli stimoli esterni da cui avevano tratto origine, un patrimonio custodito internamente dall’organismo. La navigazione richiede l’uso dei nostri sensi, richiede cioè che si faccia attenzione ai punti di riferimento e alle nostre conoscenze di base. In tal senso possiamo affermare più semplicemente che la principale funzione dei sistemi di riferimento basati su coordinate egocentriche e allocentriche, è la possibilità di combinare messaggi provenienti da differenti sistemi sensoriali L’utilizzazione di segnali propriocettivi ed endogeni ha, infatti, un forte carattere predittivo per l’azione. Essi sono in effetti capaci di misurare le derivate velocità, accelerazione, cambiamenti di forza e di pressione delle grandezze fisiche che li attivano. La configurazione di una scena e il successivo spostamento nello spazio non è, dunque, dovuto ad una semplice catena di risposte a degli stimoli, ma implica il confronto dello stato dei recettori con una predizione da verificare e mantenere costante durante il movimento.
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Anche il piloting implica un’interazione tra stimolazioni interne ed esterne. Questo comportamento è stato definito da Gallistel (1990) come l’uso di “landmark osservabili per aiutare a localizzare la propria posizione su una mappa mentale, quindi rispetto a landmark non attualmente osservabili ” e da Sholl e colleghi (2000) come “il processo di orientarsi rispetto a landmark che sono nascosti alla vista usando landmark visibili e una mappa”. Entrambe queste definizioni sottolineano il fatto che il piloting si basa sulle configurazioni dei landmark all’interno di una rappresentazione mentale mantenuta dall’organismo sotto forma di mappa. Il piloting presuppone il processamento delle informazioni esterne, in particolare il mantenimento della rappresentazione di 3 posizioni spaziali: la posizione dei
landmark osservabili che sono usati come punto di riferimento per la navigazione; la
posizione dei landmark invisibili che rappresentano la destinazione; la posizione dei
landmark percepiti durante la navigazione e le relazioni spaziali (direzioni, distanze) tra
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Il repertorio motorio costituisce la prova migliore del fatto che il movimento non è il risultato di meccanismi passivi, ma è iscritto nella pianificazione generale dell’azione. L’organismo porta cioè nella testa non solo una mappa degli avvenimenti esterni, ma anche un modello in scala ridotta della realtà esterna e delle sue azioni possibili. A tale riguardo i neurologi Head e Holmes (1911) sono stati i primi a suggerire che la corteccia cerebrale contiene ciò che essi hanno chiamato “schema corporeo”, in funzione del quale sarebbero realizzati la postura, la localizzazione e la coordinazione del movimento. Il cervello conterrebbe un modello interno delle misure relative dei segmenti corporei, delle loro relazioni e delle loro posizioni in un contesto fisico e di riferimento spaziale. Ma come vedremo nel paragrafi successivi lo schema corporeo è soprattutto la fonte principale della nostra percezione del corpo la cui importanza si consolida, in aggiunta, nel fornirci una adeguata integrazione percettiva e sensoriale delle azioni possibili.