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Al processo della genesis, proprio del mondo biologico, Aristotele applica la propria dottrina delle quattro cause, una tra le più coerenti e forti del suo intero sistema, benché si trovi a doverne adattare alcuni principi.50

Guardando al processo di generazione – il quale è teleologicamente direzionato alla formazione di un nuovo individuo in atto appartenente alla specie – sulla base di tale schema teoretico, risulta chiaro che esso è un mutamento che prende il proprio avvio da una causa materiale e, in virtù di una causa efficiente, si realizza, procedendo teleologicamente verso una forma.51 La trattazione della causa materiale della generazione non è problematica per Aristotele: essa è fornita al prodotto del concepimento dalla madre attraverso il nutrimento, e questa è una caratteristica costante di ogni genesis. In un primo periodo, il nutrimento serve a «conferire l’essere», ossia è finalizzato alla prima formazione del prodotto del concepimento, mentre in seguito esso è finalizzato all’accrescimento quantitativo di quest’ultimo.

Aristotele dà spiegazione di questi due differenti periodi del processo nel secondo libro del De generatione animalium:

Dell’alimento vi sono sempre una prima e una seconda parte: l’una è preposta alla nutrizione, l’altra all’accrescimento: alla nutrizione ciò che conferisce l’essere all’intero organismo e

50 Lanza osserva che tuttavia Aristotele incontra delle difficoltà nel riconoscimento di un modello causale in biologia, più di quante non ne avesse incontrate in cosmologia, attribuendole

principalmente da un lato al carattere particolare della materia in questione, dall’altro alle più ricche e precise cognizioni di cui egli dispone. Cfr. Ivi, p. 828.

alle sue parti, all’accrescimento ciò che porta la crescita fino ad una certa grandezza.52

Muta invece, a seconda delle specie animali, la modalità attraverso la quale l’essere in formazione riceve il nutrimento materno. Per i vivipari, questo passa attraverso il cordone ombelicale durante la gravidanza, e continua ad essere elargito dopo la nascita per mezzo dell’allattamento.53

Per gli ovipari, la cui prole si forma nelle uova – e dunque separatamente dal corpo materno – il nutrimento è contenuto direttamente nell’uovo, in modo che l’essere in formazione possa averlo a propria disposizione.54 È indicativo che, all’interno della trattazione riguardante quest’ultima modalità di generazione, Aristotele possa applicare efficacemente la propria teoria. Il prodotto del concepimento ha origine, come s’è detto, dall’azione coagulante del liquido seminale maschile sulla materia femminile, e la madre ha il compito naturale di fornire l’alimento necessario per la formazione, prima, e l’accrescimento, poi, dell’embrione.

Nelle uova degli uccelli55 sono presenti due parti, ben distinte tra loro: il bianco e il giallo, dice Aristotele (ovvero l’albume e il tuorlo56).

52 Ivi, II 6, 744 b 32-35, tr. cit., p. 919.

53 Cfr. Ivi, II 1, 733 b 26-34 e II 7, 745 b 25 - 746 a 28, tr. cit., rispettivamente p. 884 e p. 921. 54 Cfr. Ivi, II 7, 746 a 29 e III 1, 751 a 31 - 752 a 10, tr. cit., rispettivamente p. 922 e p. 937. 55 Tra gli animali esternamente ovipari, Aristotele classifica gli uccelli, i quali emettono uova

compiute, e i pesci, i quali le emettono incompiute e, a causa della piccolezza, apparentemente d’un solo colore. Entrambi i tipi di uova, se irrorate dal seme maschile, compiranno il proprio accrescimento esternamente al corpo della madre. Aristotele descrive, ma non tratta ampliamente la modalità di generazione dei pesci ovipari né nel De generatione animalium né nell’Historia

animalium, se non per quel che riguarda le informazioni più generali delle quali è in possesso (cfr.

ARISTOT. De gen. an. III 3, 754 b 20 - 755 a 6; III 5, tr. cit., rispettivamente p. 954 e pp. 947-950), e preferendo ad essa una trattazione più approfondita delle uova degli uccelli – analoghe alle prime all’interno della sua sistematizzazione («La riproduzione dei pesci e degli uccelli differisce dunque in questi particolari e per le cause dette, ma per tutto il resto si svolge allo stesso modo» ARISTOT.

In quella più calda, ossia, secondo il filosofo, la parte bianca, è contenuto il principio generativo, mentre il giallo è la parte dalla quale l’essere in formazione trarrà il proprio alimento. Di che cosa si può trattare, se non di due differenti potenzialità della materia contenuta nelle uova?

Scrive infatti Aristotele:

Le uova degli uccelli sono di due colori, quelle di tutti i pesci di un solo colore. Si può vedere la causa dei due colori nella potenzialità di ciascuna delle due parti, del bianco e del giallo. […] Una parte dell’uovo, quella calda, è dunque più vicina alla forma degli esseri in formazione, quella più terrosa invece procura consistenza al corpo ed è più lontana. Per questo in tutte le uova di due colori l’animale si procura dal bianco il principio generativo (perché il principio generatore si trova nel caldo), e l’alimento dal giallo.57

Si hanno dunque due diversi tipi di potenzialità. Una, propria di una materia dotata di scarso calore organico, che, passando all’atto, diviene il corpo dell’essere in formazione: è questa la materia fornita dalla madre. L’altro tipo di potenzialità è quella propria del liquido seminale maschile, il quale informa la materia, trasmettendo cioè ad essa la forma propria dell’essenza individuale, e dunque di genere, del genitore.

Che Aristotele utilizzi proprio il termine «potenzialità» (dynamis) non è casuale: esso esprime con esattezza la differenza concettuale che passa tra l’ente in potenza e l’ente in atto. L’albume non è per Aristotele

che Aristotele e le sue fonti (i pescatori) hanno incontrato, possono forse costituire una spiegazione a riguardo (cfr. ARISTOT. De gen. an. III 1, 750 b 30, tr. cit., p. 935).

56 Interessante notare che questo concetto aristotelico è rimasto nel lessico botanico: viene chiamato “albume” anche la parte del seme delle piante che non appartiene all’embrione e che contiene sostanze di riserva. Cfr. Dizionario enciclopedico italiano, Treccani, Roma 1970, s. v. albume in vol. I,p. 231 e s. v. tuorlo, vol. XII, p. 447.

57 ARISTOT. De gen. an. III 1, 751 a 31 - 751 b 7, tr. cit., p. 936. Che alle due parti contenute nelle uova degli uccelli siano rispettivamente proprie diverse potenzialità, quella materiale e quella del principio generativo, è un concetto di cui Aristotele è convinto, e che ribadisce più volte nel corso del De generatione animalium: II 1, 732 a 30-33; III 2, 752 b 18-22; III 2, 753 b 31 - 754 a 9; III 3, 754 b 34 - 755 a 6; III 7, 757 b 12-14, tr. cit., rispettivamente p. 880, p. 940, p. 943, p. 946 e p. 953.

in atto il pulcino che, se non sorgeranno ostacoli, potrà nascere da

quell’uovo: esso è tale potenzialmente. Si può supporre che il filosofo, per esprimere questa situazione, non avesse a disposizione che questi termini: che non ci fossero – e, a mio avviso, non ci siano tutt’ora – altri

concetti per descrivere questo status. È infatti coerente con la trattazione

di potenza e atto contenuta nella Metafisica affermare che le due parti dell’uovo abbiano due diverse potenzialità.

In primo luogo, nel libro della Metafisica, viene definita la potenza nella sua accezione generale: essa è «principio di mutamento in altra cosa, o nella medesima cosa in quanto altra».58 Che l’uovo fecondato contenga in sé, per virtù propria, un principio di mutamento, è un fatto intuitivamente chiaro.

Ma la potenza è altresì limitata da una serie di condizioni, tra le quali primeggia l’esclusione di impedimenti esterni:

L’agente ha la potenza di agire nei limiti in cui quest’ultima è realmente potenza d’agire, ed è potenza d’agire non già in ogni modo, ma solo entro certe determinate condizioni che comportano, peraltro, l’esclusione di impedimenti esterni […].59

Anche questo aspetto non fa difficoltà: un impedimento esterno alla potenzialità intrinseca all’uovo fecondato di generare, per virtù propria, un pulcino, farà sì che essa non passi all’atto; non si attualizzerà, cioè, il principio generativo contenuto nell’albume, secondo Aristotele, in potenza.

58 ARISTOT. Metaph. 1, 1046 a 12-13, tr. cit., p. 395-397. 59 Ivi, 5, 1048a 17-19, tr. cit., p. 409.