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Fraintendimenti e paradossi della potenzialità

4. L’argomento dell’identità

Come già ricordato, Maurizio Mori affronta, nel suo volume intitolato La fecondazione artificiale, il tema della fecondazione assistita, prendendo in considerazione anche la questione dello statuto dell’embrione umano. A questo riguardo egli sviluppa la propria argomentazione individuando e criticando gli argomenti a suo parere più utilizzati da parte di quella che qui ho definito la posizione tuziorista. Dopo aver definito l’individualità e la razionalità quali i requisiti che a suo parere contraddistinguono le persone rispetto al resto degli enti naturali (fatto già di per sé esplicativo di come l’autore si ponga senz’altro tra coloro che sostengono la posizione attualista riguardo alla questione sullo statuto dell’embrione), l’autore passa all’analisi e alla critica di due argomentazioni, rispettivamente l’argomento della continuità dello sviluppo e l’argomento di potenzialità. Per quel che riguarda il primo dei due argomenti, Mori osserva che il solo fatto che il passaggio graduale di un ente da uno stato A ad uno stato B, posto che A e B siano stati con caratteristiche diverse tra loro, non implica affatto che A sia identico a B, né viceversa. Sarebbe come concludere, per il fatto che non si riesce a stabilire con precisione quando si passi dal bianco al nero, che il bianco non esista, ricordando così i celebri paradossi di Zenone. Non ritengo tuttavia che tale critica sia efficace, dal momento che non tiene conto del fatto che il bianco e il nero hanno due essenze differenti mentre, com’è noto, «l’atto è l’essenza dell’ente in potenza».277

La critica che Mori muove all’argomento di potenzialità è tuttavia ciò che ai fini della mia ricerca è più rilevante, dato che l’autore intende esplicitamente la potenzialità come ciò che rivela di un ente la o le caratteristiche che esso potrebbe in futuro sviluppare e che dunque, per definizione, non ha. L’affermazione «l’embrione è potenzialmente persona» sarebbe, a parere di Mori, coestensiva a «l’embrione non è persona»:

dire che qualcosa è potenzialmente qualcos’altro è un modo di dire che non è (ancora) questo qualcos’altro, pur essendo in presenza di un processo intrinsecamente finalizzato che fa tendere a tale stato finale. Pertanto, a ben vedere, l’argomento di potenzialità conferma l’idea che l’embrione non è persona, e quindi anche questa seconda supposta “altra ragione” si rivela inconsistente.278

Una critica pressoché identica ha espresso, prima di Mori, Engelhardt: il concetto di potenzialità, predicando che un ente abbia un potenziale di sviluppo, indica che l’ente iniziale non è l’ente che si avrà alla fine dello sviluppo, ma lo è solo potenzialmente. Non mantenendo le proprie caratteristiche, esso non manterrà nemmeno la propria identità:

Se X è un potenziale Y, ne consegue che non è Y. Se i feti sono persone potenziali, ne consegue chiaramente che non sono persone.279

Gli esiti della riflessione che Mori riprende da Engelhardt sono, a mio parere, da una parte lapalissiani e dall’altra gravemente incompleti. Gli autori, da un lato, stanno semplicemente ribadendo ciò che è presupposto nella dottrina di potenza ed atto, ovvero che in effetti

278 Maurizio MORI, La fecondazione artificiale, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 73.

279 Hugo Tristram ENGELHARDT Jr., The Foundations of Bioethics, Oxford University Press, New York 1986, tr. it. di Massimo MERONI, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1991, p. 131.

sussiste una differenza ontologica tra l’essere in potenza e l’essere in atto, differenza che fa sì che questi due sensi in cui si dice l’essere non possano essere identificati l’uno con l’altro: l’essere potenzialmente qualcosa non coincide con l’essere attualmente quella stessa cosa e, ovviamente, le qualità che conseguono dal primo senso dell’essere non coincidono con quelle proprie del secondo. È senz’altro vero, pertanto, che l’affermazione «l’embrione è potenzialmente persona» implica quella che dichiara «l’embrione non è attualmente persona» ma le due affermazioni non sono assimilabili poiché non sono affatto coestensive. Questo è subito reso evidente se sostituiamo il soggetto “embrione” con un generico soggetto X: mentre la seconda proposizione ha un valore di verità per un gran numero di enti, naturali e non («X non è persona»), la prima proposizione ha valore di verità solo in pochissimi casi, specificamente quelli in cui il soggetto sia un embrione o un feto umano. Facendo riferimento agli enti naturali è corretto, allora, affermare che la potenzialità manifesti anche ciò che un ente non è attualmente, mentre non è corretto ritenere che la sua portata si esaurisca in questa sola indicazione. La categoria di potenzialità non coglie “tutto ciò che un ente non è” bensì un sottoinsieme di questa categoria: tra tutte le cose che un ente non è, essa specifica ciò che esso attualmente non è ma che è

naturalmente predisposto a divenire, indipendentemente dal fatto che

esso poi realizzi o meno tale predisposizione. Tale lungimiranza

teleologica, valida in riferimento agli enti naturali, equidistante dai due

poli rispettivamente della mera possibilità logica e della mera necessità, è il nodo cruciale del concetto di potenzialità.

Nella nota a piè di pagina riferita al brano appena riportato, Mori dedica ancora qualche riga alla potenzialità:

L’errore che spesso si compie in materia dipende dal fatto che la nozione di potenzialità spesso è oscura, così che sembra che le caratteristiche che si manifestano siano già come «racchiuse» in precedenza. Ma la falsità di questo assunto del senso comune diventa chiaro ove si consideri che l’enorme calore sviluppato dallo scoppio della dinamite non è affatto «racchiuso» nella polvere, anche se questa ha la potenzialità di sviluppare tale calore.280

Qui vi sono ancora due riflessioni improprie. Non è possibile tralasciare la fondamentale articolazione di potenzialità attiva – propria degli enti naturali – e potenzialità passiva – propria di ogni ente – senza cadere in paradossi talmente numerosi (quello che Mori propone è solo uno fra i molti) da svuotare completamente di significato la categoria di potenzialità. L’articolazione che Mori ignora è propria della dottrina aristotelica originaria: è Aristotele stesso ad affermare che la differenza tra queste due accezioni è quella che passa tra un ente che sviluppa le proprie potenzialità per virtù propria e un ente che, per compiere questo passaggio all’atto, necessita di un intervento dall’esterno. Ciò che collega questi due differenti tipi di potenzialità è un rapporto di analogia che, in quanto tale, non legittima un’acritica trasposizione delle riflessioni di stampo ontologico e morale dal primo al secondo, né viceversa. L’esempio a proposito della polvere da sparo rientra nel caso della potenzialità passiva (caso in cui il principio di mutamento è

estrinseco): la polvere da sparo ha la potenzialità di sviluppare calore,

ma ne ha la potenzialità passiva, poiché necessita che un intervento esterno dia inizio alla combustione che provocherà quel calore. Solo

analogo è il caso dell’embrione, caratterizzato invece da una potenzialità

280 Ivi, nota 25, p. 153. Anche in questo caso Mori è in sintonia con Engelhardt, sebbene non lo citi. Mentre Mori ritiene che il concetto di potenzialità sia “oscuro”, Engelhardt lo definisce “misterioso”.

di tipo attivo poiché, in mancanza di impedimenti esterni che ne intralcino il naturale percorso, passerà all’attualizzazione delle proprie potenzialità per virtù propria.