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Cenni sulla confisca delle cose “obiettivamente” criminose: un’ipotesi sui generis

LA CONFISCA DI BENI “DETERMINATI”

4. Cenni sulla confisca delle cose “obiettivamente” criminose: un’ipotesi sui generis

L’art. 240 c.2 n. 2 c.p. dispone la confisca obbligatoria “delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna”; il c. 4, poi, a chiusura dell’intero articolo, precisa che “la disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa”.

Le ragioni per le quali tali fattispecie non sono state ancora prese in considerazione in quest’indagine si fondano sulla convinzione della loro eterogeneità331 – tanto sul piano della disciplina, quanto da un punto di vista funzionale – rispetto alle altre ipotesi di confisca previste dall’art. 240 c.p. Si tratta di un aspetto di cui la giurisprudenza stessa dimostra di avere contezza, quando, nel tentativo di inquadrare la natura giuridica della confisca di prevenzione, delinea “quel tertium

genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile (quanto

al contenuto e agli effetti) alla misura di sicurezza prevista dall’art. 240 cpv. c.p.”332

.

331

ROMANO – GRASSO – PADOVANI, op. cit., pag. 610, e PADOVANI, Misure

di sicurezza, op. cit., pag. 149, collocano queste ipotesi in un “terzo gruppo” , distinto

tanto dalla confisca dello strumento, la più marcatamente preventiva, quanto dalla confisca dei proventi, ispirata da una finalità repressiva.

332

Partendo, secondo il nostro consueto metodo, dall’esame degli oggetti di ablazione, in riferimento alla prima fattispecie quel che si rileva è un carattere di intrinseca, ineliminabile, illiceità: si tratta, invero, di cose vietate in modo assoluto in ragione della loro dannosità (quali le armi da guerra, il denaro falso, gli alimenti nocivi per la salute, gli stupefacenti)333, rispetto alle quali “qualsiasi attività umana […] costituisce sempre reato”334

.

Parzialmente diverso, invece, il caso degli oggetti ricompresi entro la seconda fattispecie, vietati in modo solo “relativo”, essendone consentito l’impiego mediante un apposito provvedimento amministrativo o comunque in presenza di determinate condizioni legittimanti (tali sono, ad es., le armi il cui porto è autorizzabile). L’illiceità, in questo caso, discende dall’assenza dei presupposti stabiliti dalla legge, ed è, si potrebbe dire, “condizionata risolutivamente” alla loro realizzazione; a ciò consegue che il requisito della “autorizzabilità” in astratto335, finché non vi corrisponda un’

“autorizzazione” effettivamente conseguita, non sembra poter integrare da solo la causa di esclusione di cui al c. 4, richiedendosi, congiuntamente, il requisito dell’appartenenza a terzi336

.

333

Riportiamo altresì gli esempi proposti da MANZINI, op. cit., pag. 392: la

fabbricazione della moneta falsa, l’uso dell’atto falso, la detenzione della carta

filigranata contraffatta per i valori di bollo, l’alienazione della predetta carta filigranata. Da FORNARI, Sub art. 240, op. cit., pag. 629, si ricava che, in giurisprudenza, sono stati ritenuti confiscabili, per intrinseca criminosità, gli arnesi atti allo scasso, di cui l’imputato per furto non abbia giustificato la provenienza, i documenti dichiarati falsi, i flippers il cui uso è vietato dall’art. 110 c. 4 T.U.L.P.S., i bovini ai quali siano state somministrate sostanze anabolizzanti (per gli specifici riferimenti giurisprudenziali, si rinvia alla fonte).

334 GULLO, op. cit., pag. 50.

335 Avvertiamo che, a dire il vero, in dottrina è controverso se l’autorizzabilità debba

valutarsi “in astratto”, guardando alle sole qualità della cosa, o “in concreto”, nel caso specifico: propendono per la prima soluzione FORNARI, Sub art. 240, op. cit., pag. 630; MANZINI, op. cit., pag. 392, ROMANO – GRASSO – PADOVANI, op.

cit., pag. 625, TRAPANI, op. cit., pag. 4; per la seconda, CACCIAVILLANI –

GIUSTOZZI, op. cit., pag. 468. Noi abbiamo apoditticamente parlato di “autorizzabilità in astratto”, credendo che l’opposta interpretazione si risolva – senza il supporto di alcun dato letterale – in malam partem nei confronti del terzo.

336 Abbracciamo, per questa ragione – oltre che per il significato che la congiunzione

“e” naturalmente esprime nella lingua italiana –, la c.d. tesi “congiuntiva”, secondo cui, per escludere la confisca, devono ricorrere contestualmente le due condizioni

Stante il carattere di obiettiva illiceità delle cose, sia essa intrinseca, assoluta, o solo relativa, si è indotti ad escludere che la ratio fondante della misura sia la prevenzione, dal momento che non si tratta di scongiurare la realizzazione di un potenziale, futuro, reato, quanto, piuttosto, potremmo dire, di interrompere la consumazione di un “reato” che è già in atto, ed è destinato a perpetrarsi fintantoché le cose permangono all’interno della circolazione giuridica.

E neppure sembra, d’altra parte, che la previsione normativa della confisca sia ispirata, in queste ipotesi, da una finalità repressiva: essa, piuttosto, è “proiezione, del regime giuridico della cosa”337, trovando il suo presupposto non in una condotta illecita338– tanto da poter esser disposta, quando non si tratti di cose autorizzabili, anche nei confronti di un terzo estraneo al reato –, ma in uno “stato illecito”,che interviene a rendere conforme a diritto.

La situazione, forse, può atteggiarsi diversamente nel caso concreto in cui si sia avuta condanna, nel senso che, dato il quintessenziale contenuto di afflittività che costituisce, come abbiamo sostenuto, il “cuore” di ogni forma di ablazione, in dipendenza da una responsabilità penale accertata la confisca potrebbe assolvere anche una funzione punitiva.

Ad ogni modo – almeno a livello, per così dire, di “comminatoria edittale” – si può ritenere che, nei casi in esame, “la confisca non ha

richieste dal c. 4, ovvero deve trattarsi di cosa autorizzabile che appartenga a un terzo estraneo al reato. V. in dottrina, CACCIAVILLANI – GIUSTOZZI, ibidem, MASSA, op. cit., pag. 986; contra, MELCHIONDA, op. cit., pag. 338, che, nell’adottare un’interpretazione “disgiuntiva”, esclude la confisca tanto quando di tratti di cosa autorizzabile, tanto quando si tratti di cosa appartenente ad un terzo, anche se intrinsecamente criminosa, dovendo presumersi lecita la titolarità in capo alla persona estranea al reato.

337 ROMANO – GRASSO – PADOVANI, op. cit., pag. 610. 338

Le pronunce della Corte Cost. 17 luglio 1974, n. 229, 29 dicembre 1976, n. 259, e 19 gennaio 1987, n. 2 (citate da ROMANO – GRASSO – PADOVANI, ibidem, e da PADOVANI, Misure di sicurezza, op. cit., pag. 149) evidenziano che, in questi casi, rileva “un’illiceità obiettiva della cosa”, la quale “prescinde dal rapporto con il soggetto che ne dispone”.

una funzione né preventiva, né repressiva, ma è esclusivamente volta al ripristino della legalità”339

.

Individuata la funzione delle fattispecie, si dovrebbe essere in grado di sciogliere taluni nodi ermeneutici.

Anzitutto, sembra corretto propendere per l’inapplicabilità della confisca nei casi in cui eventuali trasformazioni siano successivamente intervenute a rendere lecita la natura o la finalità della cosa340, essendosi già realizzata, per un’altra via, la cessazione dello stato di antigiuridicità. Pertanto, andrebbe considerata “distorsiva” – in senso repressivo – la corrente giurisprudenziale341 propensa a valutare la criminosità della cosa in rapporto al momento della commissione del reato, e non al momento del giudizio.

Quanto al tema, ben più controverso, dei rapporti tra confisca e condanna, si giunge a conclusioni differenziate, a seconda del carattere assoluto o relativo dell’illiceità.

Quando si tratti di cose vietate in modo assoluto, l’evidenza dell’antigiuridicità è in re ipsa342

, e non è necessario che una condanna formale intervenga ad accertarla; anzi, se non si vuole l’automatica perpetuazione del reato343, sembra ragionevole ammettere la misura ablativa quand’anche siano stati dichiarati il proscioglimento o l’assoluzione dell’imputato344

.

339 PADOVANI, ibidem.

340 ROMANO – GRASSO – PADOVANI, op. cit., pag. 625; v. anche NOCETI –

PIERSIMONI, op. cit., pag. 22. Allo stesso modo, trattandosi di cose solo relativamente criminose, la presenza dell’autorizzazione deve essere valutata al tempo dell’applicazione della misura, e non al tempo della commissione del reato: sul punto, MELCHIONDA, op. cit., pag. 341.

341 Cass., sez. I, 30 novembre 1994, Flori. 342

CACCIAVILLANI – GIUSTOZZI, op. cit., pag. 473; GULLO, op. cit., pag. 49; MASSA, op. cit., pag. 986; SABATINI, Giuseppe, Ancora sui rapporti tra amnistia

e confisca, in La giustizia penale, II, 1947, pag. 562; SERIANNI, op. cit., pag. 980.

343 ALESSANDRI, Confisca, op. cit., pag. 47. 344

ALESSANDRI, ibidem; CASALINUOVO, Aldo, La confisca “obbligatoria” in

rapporto all’estinzione del reato per amnistia, in Archivio penale, II, 1947, pag. 205,

MELCHIONDA, op. cit., pag. 337, SERIANNI, op. cit., pag. 980. Più recentemente, FORNARI, Sub art. 240, op. cit., pag. 630, ROMANO – GRASSO – PADOVANI,

Nel caso di cose consentite mediante autorizzazione, ovvero solo relativamente vietate, poiché, come si è già detto, l’illiceità “esiste” perché – e fintantoché – “non esistono” i requisiti richiesti dalla legge, la confisca dovrebbe ritenersi impedita quando non sia possibile accertare la sussistenza (rectius, l’insussistenza) delle condizioni legittimanti345.

Vero è che tale accertamento è precluso quando una causa di estinzione del reato intervenga a “sbarrare” la cognizione del giudice346; tuttavia, non pare vi sia ragione di escludere la confisca quando dall’istruttoria compiuta prima della dichiarazione di estinzione si evinca inequivocabilmente l’assenza dell’autorizzazione, e dunque, l’illiceità obiettiva delle cose347: “verità processuale” e

“verità fattuale”, del resto, sono tra loro distinte e indipendenti. Allo stesso modo, rilevando la sola materialità del fatto, la confisca dovrebbe ritenersi ammissibile in caso di assoluzione per carenza dell’elemento soggettivo348

.

A chi, eventualmente, obiettasse la violazione del principio di colpevolezza, si potrebbe controbattere che tale principio, in questo caso, neppure viene in questione, giacché, una volta tanto, non è per punire che si confisca, ma per eliminare dal traffico giuridico ciò che non vi ha cittadinanza.

Sennonché, potrebbe esser fatto notare che siamo giunti ad una diversa conclusione nel caso della c.d. “confisca urbanistica”,

345

Escludono, per questa ragione, la confisca: ALESSANDRI, Confisca, op. cit., pag. 48; CASALINUOVO, op. cit., pag. 204, il quale, tuttavia, distingue i casi in cui “possa risultare e risulti l’obiettiva materialità del reato, il cui accertamento non contrasti con la natura della causa estintiva”, come, ad es., quando sia concesso il perdono giudiziale; FORNARI, ivi, pag. 631; ROMANO – GRASSO – PADOVANI, ivi, pag. 628, che ammettono una diversa conclusione solo quando la causa estintiva sopravvenga nel corso del procedimento di cassazione e il giudice di merito abbia interamente accertato i presupposti della confisca; SABATINI, Ancora sui rapporti,

op. cit. pag. 562. Per i relativi riferimenti giurisprudenziali, si rimanda a FORNARI e

ROMANO – GRASSO – PADOVANI, ibidem.

346 Su questi aspetti, v. § La confisca del prezzo. 347 SERIANNI, op. cit., pag. 980.

348

CASALINUOVO, op. cit., pag. 205; SABATINI, Ancora sui rapporti, op. cit. pag. 563.

nonostante i terreni abusivamente lottizzati e le opere abusivamente costruite presentino un’evidente affinità con le cose “relativamente vietate”, potendo intervenire la sanatoria amministrativa della lottizzazione abusiva.

In verità, si può osservare che i terreni e i manufatti sono sì “obiettivamente criminosi”, ma la loro criminosità è, per così, dire “mediata”, nella misura in cui deriva dalla contrarietà non già a precetti di singole fattispecie incriminatrici, bensì a norme regolamentari (i piani urbanistici), presidiate da una norma penale – l’art. 30 d.p.r. 380/2001 – che ne sanziona l’inosservanza.

Si potrebbe discutere della legittimità di quest’ultima fattispecie, certamente carente sul piano della determinatezza (tanto da poter essere considerata, addirittura, norma penale “in bianco”), ma la natura punitiva della confisca urbanistica non sembra dubbia: quando lo stato di antigiuridicità discende dalla violazione di disposizioni di carattere amministrativo, non si pongono esigenze di ripristino della legalità tali da esaurire, da sole, la ratio dell’intervento ablativo, e da giustificarne un’attuazione incondizionata, anche in assenza di un accertamento di responsabilità.