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Parentesi storiografica sulla confisca generale

2. Le forme “estese” di confisca: fenomenologia di un’involuzione

2.1. Parentesi storiografica sulla confisca generale

Ci è data, a questo punto, l’occasione di ripercorrere, seppure per grandi linee, il passato storico di “uno strumento tradizionalmente presente negli arsenali sanzionatori di tutti gli ordinamenti”56

, tanto da costituire una “tenace costante del fenomeno punitivo […] in cui si insinuano poco conclamate, ma robuste, voracità fiscali” 57.

Si può partire dall’epoca romana, che conosce, sin dall’epoca repubblicana, l’istituto della publicatio bonorum (nella cognitio extra

ordinem, ademptio bonorum), totale o della dimidia pars58, come conseguenza della perdita della cittadinanza nei casi di condanna a pena capitale59, oltre a forme di confisca di beni particolari, quale, ad esempio, quella disposta dalla Lex Iulia de adulteriis coercendis sulla dote e sui

parafernalia dell’adultera60.

Nel Medioevo e per tutto l’Ancien régime, la confisca generale permane, anzitutto, come accessorio della condanna a morte o del bando (secondo un’eloquente massima: “qui confisque le corps, confisque les

biens”) e viene principalmente collegata a delitti di lesa maestà, apostasia,

55 Per gli aspetti di comparazione, si vedano, ad esempio, MAUGERI, op. cit.,

passim, e EAD., Relazione introduttiva. I modelli di sanzioni patrimoniali nel diritto comparato, in EAD. (a cura di), Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione”, Milano, 2008, pagg. 1-126.

56 FORNARI, op. cit., pag. 5.

57 ALESSANDRI, Confisca, op. cit., pag. 42. 58

SANTALUCIA, Bernardo, Diritto e processo penale nell’antica Roma, 1998, pag. 181 (nota 255).

59 Con riferimento al periodo repubblicano, precisa, però, CIVOLI, Cesare, v.

Confisca (diritto penale), in Digesto italiano, VIII, Torino, 1884, pag. 893: “[…] è

indubitato che essa non accompagnava ogni condanna capitale, ma veniva aggiunta alle altre pene in quei casi, in cui esse parevano insufficiente castigo al misfatto che si trattava di punire. […] Fu Giulio Cesare che diede al bando per ordinario accessorio la confisca di tutto o di parte del patrimonio”.

60

falso nummario e certi omicidi61, con finalità evidentemente repressive di dissensi politici o ideologici e in una frequenza tale da tradursi in abuso: “e come era irrazionalmente applicata – scrive Civoli62

– così la pena della confisca veniva pure iniquamente decretata”.

Se, dunque, nel Cinquecento le pene pecuniarie risultano quasi del tutto scomparse, perché disfunzionali al rigore punitivo dei sovrani, “non così però la confisca; la quale si tenne cara in certi delitti, e specialmente nei politici, come mezzo di dar forza e ricchezza ad un partito e di opprimere ed indebolire l’altro” 63

.

Bisognerà attendere il “secolo dei lumi” perché si assista alla presa di coscienza, da parte dei legislatori, dell’eccessiva afflittività della confisca dei beni, non soltanto nei confronti del soggetto colpito, ma anche, drammaticamente, dei familiari innocenti.

Scrive Cesare Beccaria, nell’opera Dei delitti e delle pene64

:

Ma chi è bandito ed escluso per sempre dalla società di cui era membro, dev’egli esser privato dei suoi beni? […] Se alcuni hanno sostenuto che le confische sieno state un freno alle vendette ed alle prepotenze private, non riflettono che, quantunque le pene producano un bene, non però sono sempre giuste, perché per esser tali debbono esser necessarie, ed un’utile ingiustizia non può esser tollerata da quel legislatore che vuol chiudere tutte le porte alla vigilante tirannia, che lusinga col bene momentaneo e colla felicità di alcuni illustri, sprezzando l’esterminio futuro e le lacrime d’infiniti oscuri. Le confische mettono un prezzo sulle teste dei deboli, fanno soffrire all’innocente la pena del reo e pongono gl’innocenti medesimi nella disperata necessità di commettere i delitti. Qual più tristo spettacolo che una famiglia strascinata all’infamia ed alla miseria dai delitti di un capo[…]!

61 MANZINI, op. cit., pag. 133. 62

CIVOLI, op. cit., pag. 897.

63 CARRARA, Francesco, Programma del corso di diritto criminale. Parte generale,

vol. II, Lucca, 1863, pag. 459.

64

BECCARIA, Cesare, Dei delitti e delle pene, 1764, § XXV, Bando e confische (ed. a cura di BURGIO, Alberto, Milano, 2010).

In questa temperie culturale, la Leopoldina, dando seguito a motupropri del Granduca di Toscana datati 1780 e 1781, bandisce perentoriamente “la confiscazione dei beni”, per aver “considerato quanto sia ingiusta, in qualunque circostanza ed in qualunque delitto che dar si possa anche atrocissimo”65

; quattro anni dopo, con l. 21 gennaio 1790, la Francia rivoluzionaria la abolisce, ma solo in via provvisoria, ripristinandola ben presto nei confronti dei nemici della Repubblica, fino alla soppressione definitiva, nel 1814. Analogamente, dopo la Restaurazione, la confisca dei beni non trova cittadinanza nel codice delle Due Sicilie, nel parmense e nel toscano, e Carlo Alberto, con regie patenti del 1831, ribadisce che “resta abolita la confisca generale dei beni”, cosicché né i codici piemontesi del 1839 e del 1859, né il codice italiano del 1889 la accoglieranno66.

All’epoca in cui scrive il Civoli, la confisca “non esiste quindi più se non sotto la forma di confisca speciale” 67, prevista dall’art. 36 del codice

Zanardelli, che la annovera tra gli effetti penali della condanna, e da numerose previsioni extracodicistiche.

La confisca generale viene però “resuscitata, come tante altre cose contrarie alla ragione e alla civilità, dalle condizioni create dalle ultime due guerre mondiali” 68

.

La via è tracciata dal d. lgs. lgt. 10 dicembre 1917, n. 1952, che, all’art. 2, commina la confisca dei beni ai danni dei disertori della guerra (“la sentenza potrà inoltre ordinare la confisca parziale o totale dei beni del condannato, che verrà immediatamente eseguita, anche se la sentenza sarà stata pronunciata in contumacia”).

65 Art. XLV, “Riforma della legislazione criminale toscana”, 30 novembre 1786; si

veda anche il Proemio, in cui la confisca è definita come “tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie, che non hanno complicità nel delitto”. Per approfondimenti, ZULIANI, Dario, La riforma penale di Pietro Leopoldo, Milano, 1995.

66 MANZINI, op. cit., pag. 135. 67

CIVOLI, op. cit., pag. 899.

68

Un decennio più tardi, la l. 31 gennaio 1926, n. 108, prescrive, modificando la l. 13 giugno 1912, n. 555, che alla perdita della cittadinanza (per aver commesso o concorso a commettere all’estero un fatto diretto a turbare l’ordine pubblico nel Regno o da cui possa derivare danno agli interessi italiani o diminuzione del buon nome o del prestigio dell’Italia) può essere aggiunto il sequestro e, nei casi più gravi, la confisca dei beni; nello stesso anno, ancora, l’art. 5 l. 25 novembre 1926, n. 2008, sulla difesa dello Stato, dispone la confisca dei beni come accessorio della condanna in contumacia per la diffusione all’estero di voci o notizie false, esagerate o tendenziose sulle condizioni interne dello Stato, tali da nuocere al prestigio statale o agli interessi nazionali. Risulta evidente, già da queste prime previsioni, come negli intenti del governo fascista la confisca generale assuma funzioni di neutralizzazione delle minacce alla stabilità del regime.

Non risultano distonici al contesto, dunque, il Progetto preliminare e il Progetto definitivo del codice Rocco, che contemplano la perdita della cittadinanza e la confisca generale dei beni del condannato69; a tali previsioni, però, non si dà seguito nella stesura del codice, prediligendo che la materia sia regolata da leggi speciali70. Tra queste, si segnala la l. 28 luglio 1939, n. 1097, concernente disposizioni penali in materia di scambi di valute e di commercio dell’oro, che prevede la confisca dei beni

69 Testo del Progetto definitivo di un nuovo Codice penale con la relazione del

Guardasigilli On. Alfredo Rocco, art. 29, “Confisca generale dei beni del

condannato”: “La confisca generale dei beni importa la devoluzione allo Stato di tutti i beni del condannato, presenti e futuri. Non sono soggetti a confisca: 1° - i beni, che non possono essere pignorati a norma delle leggi civili ; 2° - i proventi del lavoro”.

70 Relazione al re sul codice penale, n. 15, in MANZINI, op. cit., pag. 137, nota 11:

“Da un lato la perdita della cittadinanza e la confisca generale dei beni davan luogo, nella sfera del diritto privato, a ripercussioni e a complicazioni che conviene evitare; dall’altro, mi è sembrato che il codice penale, legge permanente e normale, possa fare a meno di queste pene, destinate a soddisfare piuttosto bisogni repressivi contingenti e transitori, mentre tale omissione non può impedire che leggi speciali, emanate appunto per sopperire a tali bisogni, stabiliscano le pene medesime quando le ritengano necessarie”.

come pena accessoria a condanne per fatti in danno dell’economia nazionale71.

Sotto il vessillo della Repubblica sociale italiana, poi, il d.lgs. 4 gennaio 1944, n. 2 (“Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica”), nel prevedere, all’art. 7, che “i beni immobiliari e le loro pertinenze, i beni mobiliari, le aziende industriali e commerciali e ogni altro cespite esistente nel territorio dello Stato, di proprietà dei cittadini italiani di razza ebraica o considerati come tali […], nonché quelli di proprietà di persone straniere di razza ebraica, anche se non residenti in Italia, sono confiscati a favore dello Stato”, si iscrive nella tendenza del regime fascista a finalizzare la confisca dei beni a scopi repressivi, e sembra, per di più, recuperare un’antica funzione di “stigma d’indegnità” apposto a soggetti esclusi – o che si intende escludere – dal consorzio civile.

Similmente, si orientano all’afflizione dei “nemici del fascismo” i decreti n. 145 e 394 del 1944, che prevedono, accanto alla pena di morte, la confisca generale ai danni di partigiani e favoreggiatori dei patrioti, e il decreto n. 30, del medesimo anno, che commina la predetta forma di confisca come pena accessoria nei confronti di disertori e mancanti alla chiamata nazifascista; ancora nel 1944, il decreto n. 417 dispone la confisca di tutti i beni appartenenti a funzionari statali in servizio all’estero che abbiano compiuto malversazioni a danno dello Stato sui

71 In VASSALLI, Giuliano, La confisca dei beni. Storia recente e profili dommatici,

Padova, 1951, pagg. 3-5, si rinvengono anche esempi di confisca dei beni prevista dalla legislazione fascista come sanzione amministrativa, e precisamente come pena di polizia. Li citiamo, per completezza: l’art. 210 del T.U. di pubblica sicurezza r.d. 18 giugno 1931, n. 773, ove si prevede che il prefetto possa disporre la confisca dei beni sociali nei casi di “scioglimento delle associazioni, enti o istituti costituiti ed operanti nel regno che svolgono un’attività contraria agli ordinamenti politici costituiti nello stato (fascista)”; e altresì gli ordinamenti di polizia per la Tripolitania e la Cirenaica del 1927 (art. 194) e del 1933 (art. 193), che riconoscono al governatore della colonia il potere di ordinare la confisca dei beni mobili e immobili di cittadini libici condannati per delitti contro la personalità dello Stato. Con riguardo a quest’ultimo caso, l’autore nota come la rilevanza dell’ “aggregato etnico” al quale il destinatario della misura appartiene rappresenti un’ “estensione veramente aberrante e avente il sapore delle peggiori età barbariche”, precorritrice – possiamo aggiungere noi – dei futuri provvedimenti in danno dei cittadini di origine ebraica (sui quali infra, nel corpo del testo).

beni loro affidati, ed il n. 452 ordina la confisca dei beni mobiliari e immobiliari di proprietà dell’ex casa regnante e dei principi dei rami collaterali.

Dopo la caduta del fascismo, non si assiste al tramonto della confisca generale, anzi, piuttosto, ad un suo recupero in seno alla legislazione contro il collaborazionismo, con connotati e fini ambigui, che innescano nella dottrina dell’epoca un’accesa diatriba sulla natura giuridica dell’istituto, ma che non sembra inopportuno ricondurre, ancora una volta, ad intenti sanzionatori del “tipo d’ autore”: citiamo, per tutti, il d. lgs. lgt. 27 luglio 1944, n. 159 (“Sanzioni contro il fascismo”), al cui art. 9 è previsto che “senza pregiudizio dell’azione penale, i beni dei cittadini i quali hanno tradito la patria ponendosi spontaneamente ed attivamente al servizio degli invasori tedeschi sono confiscati a vantaggio dello Stato […]”72

.

Alla confisca generale nella legislazione contro il fascismo è dedicato un ormai risalente studio di Vassalli73, in cui si ritrova una riflessione di disarmante attualità, che può far da “cerniera” tra il passato e il presente:

Il diritto del tempo di guerra, inteso a salvaguardare le supreme esigenze di difesa e di conservazione dello Stato, è quello nel quale la sanzione della confisca dei beni fa più frequente apparizione […]. I legislatori, nella repressione della diserzione e del tradimento, fanno particolare affidamento

72 Segnaliamo, altresì: d.lgs. lgt. 31 maggio 1945, n. 364, sull’avocazione e confisca

dei profitti del regime fascista, ed i correlati d.lgs. lgt. 26 marzo 1946, n. 134 (“Inquadramento nel sistema tributario dell’avocazione dei profitti di regime”) e d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato, 19 novembre 1946, n. 392 (“Modificazioni ed aggiunte al d.lgs. lgt. 26 marzo 1946, n. 134, sull’inquadramento nel sistema tributario dell’avocazione dei profitti di regime”), il quale ha cura di precisare, all’art. 1 c. 3, che “nel caso di estinzione del reato, per qualsiasi causa, permangono gli effetti della confisca già ordinata”; last, but not least, la l. 3 dicembre 1947, n. 1546 (“Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico”), in cui si detta, già all’art. 1, che “chiunque promuove la ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma di partito o di movimento che, per l’organizzazione militare o paramilitare o per l’esaltazione o l’uso di mezzi violenti di lotta, persegua finalità proprie del disciolto partito fascista, è punito con la reclusione da due a venti anni e con la confisca dei beni”. Si veda, ancora, VASSALLI, ivi., passim.

73

sulla virtù intimidatrice di una sanzione che pone il colpevole e i suoi congiunti nella condizione di essere privati dei beni elementari della vita […].

“Diritto del tempo di guerra”sembra potersi definire, invero, anche il diritto penale odierno74, che, proclamando situazioni di rischio sociale, isola categorie di tipi criminologici “devianti”, avvertiti come insidiosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, e li sottopone a strumenti neutralizzatori, in una spasmodica “tensione al risultato” (Folgenorientierung)75 culminante nell’erosione, se non addirittura nell’azzeramento, delle garanzie, sostanziali e processuali.

In particolare, come già anticipato in premessa, l’introduzione, tra gli anni Ottanta e Novanta, di forme “estese” di confisca, connotate da pervasività e distorsioni probatorie, va letta come parte integrante di una “strategia bellica”, indirizzata a “tipi d’autore” inquadrabili, in senso lato, nella categoria della “criminalità del profitto”76

,organizzata (nel caso della confisca di prevenzione antimafia) e non solo (con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 12 sexies)77

. E non è difficile individuare una ratio emergenziale anche nell’estensione delle misure

74 Per i riferimenti bibliografici, si rimanda alla nota n. 11. 75 FORNARI, op. cit., pag. 217.

76

Ma cfr. ivi, pagg. 208-209, dove si prospetta, in realtà, un impoverimento dei requisiti del tipo d’autore: il bersaglio della legislazione statunitense RICO (“Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act”), ovvero un racketeer “professionale” dedito all’accumulazione e al reinvestimento di ricchezze tramite il traffico di droga ed altre forme organizzate di criminalità, viene importato in Europa, ma è progressivamente spogliato dei propri connotati criminologi, in favore, piuttosto, di schemi che presumono la consuetudine criminale del soggetto sulla base della semplice appartenenza ad associazioni criminali o della commissione anche di un solo reato ritenuto dalla legge tipicamente appannaggio della criminalità organizzata.

77 Eloquente, a riguardo, MANES, Vittorio, L’ultimo imperativo della politica

criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, n. 3,

pag. 1262: ‹‹Questo programma efficientistico di lotta alle plusvalenze del crimine prende forma in una risposta penale strutturata – pur secondo le alterne cadenze della punizione e della prevenzione – in termini di vera e propria “lotta”, quasi che – nell’attuale contesto di crisi economica – gli autori di reati lucrativi (crimina

atrocissima) si atteggino ad avversari politici, cui non devono essere riconosciute

garanzie (in atrocissimis licet iura transgredi); un programma alla cui stregua – come è ovvio - la componente intimidatoria (deterrence/Abschreckung) appare tanto più efficace e capace di “spaventare e dissuadere”, quanto più libera da vincoli costituzionali, “automatica” e soprattutto indefettibile››.

di prevenzione al contrasto del terrorismo78: la criminalità organizzata e il terrorismo internazionale si presentano, infatti, accomunati, “da connotati che superano la dimensione delittuosa e svelano la radicata persistenza di modelli culturali di comportamento, dalla compresenza di elementi di innovazione ed elementi di continuità (sicché alla dimensione transnazionale si accompagna il radicamento nei tradizionali contesti di appartenenza), dalla combinazione di attività economiche legali e illegali, dalla intensa potenzialità di destabilizzazione del sistema democratico” 79.

Quel che queste fattispecie svelano, in conclusione, è l’interesse dell’ordinamento a reprimere non tanto un singolo episodio delittuoso, quanto, piuttosto, stili di vita contrastanti con le regole del consorzio civile80: la confisca dei beni torna ad imporsi, ancora una volta nella storia, con tutta la sua forza “simbolico-stigmatizzante” 81

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