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Un’ipotesi sulla natura giuridica della confisca

LA CONFISCA DI BENI “DETERMINATI”

0. Nomina non sunt consequentia rerum: premessa metodologica

0.2. Un’ipotesi sulla natura giuridica della confisca

Escluso che la confisca, così come disciplinata dal legislatore, persegua primariamente uno scopo specialpreventivo, si deve valutare se, in quanto sanzione, la stessa sia ispirata da finalità restitutorie, di ripristino della situazione giuridica antecedente all’illecito, o se, piuttosto, rivesta un carattere punitivo.

Se è vero – com’è vero – che le sanzioni restitutorie, al fine di ristorare la lesione, tendono ad aggredire un bene ontologicamente affine a quello offeso, si può osservare, anzitutto, che, come avviene nelle sanzioni punitive44, l’oggetto della confisca, pur essendo avvinto alla dinamica dell’illecito, è tendenzialmente eterogeneo rispetto all’interesse giuridico leso; certo, se non in quegli specifici casi – e la mente corre ai reati contro il patrimonio – in cui l’offesa si sia

42 ALESSANDRI, op. cit., pag. 44.

43 L’art. 236 c. 3 c.p., infatti, riferisce alla sola cauzione di buona condotta l’art. 207

c.p., relativo alla revoca delle misure di sicurezza personali in caso di cessazione della pericolosità sociale. Per MASSA, op. cit., pag. 984, “l’art. 207 […] non poteva essere applicato alla confisca perché questa, lungi dal colpire una persona per la sua accertata pericolosità sociale, che può come tale cessare, cade su di una cosa che può essere fattore di pericolosità per la persona fin tanto che sia nelle sue mani, per cui la revoca della misura non potrebbe in nessun caso essere ammessa”. Una simile opinione, tuttavia, non ci sembra condivisibile, poiché riteniamo che la pericolosità oggettiva debba essere valutata in rapporto alla pericolosità soggettiva: sul punto, v.

infra, §La confisca dell’instrumentum sceleris e il problema della pericolosità reale.

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sostanziata proprio nella “traslazione” del bene confiscabile (in quanto, ad es., compendio furtivo) dalla sfera giuridica del soggetto passivo alla sfera giuridica del soggetto attivo.

Ad ogni modo, se proprio si vuole cercare un esito restitutorio nella confisca, si deve ammettere che, ove oggetto di ablazione sia lo strumento del reato, non si verifica alcun ripristino dello status quo

ante, bensì soltanto una modificazione in senso peggiorativo per il reo,

trattandosi di cose precedentemente in suo possesso, ed ora sottrattegli. Quanto, invece, alla confisca del prodotto, del profitto e del prezzo, si tratta sì di elidere acquisti privi di un titolo giuridico45, ma attraendoli coattivamente alla sfera giuridica dello Stato e pervenendo, comunque, ad una situazione diversa da quella antecedente all’illecito: si può ritenere che la restitutio operi in una direzione, per così dire, “unilaterale”, in quanto la neutralizzazione delle conseguenze del reato si verifica solo nei confronti del reo, e non nei confronti dell’offeso, la cui situazione – giuridica e materiale – non beneficia di alcuna “reintegrazione”46

. Sembra che quel che conti sia, piuttosto, impedire che il reato possa fruttare alcuna utilità a colui che lo ha commesso, secondo l’antico brocardo – non privo di venature eticizzanti – “crimen

non lucrat” 47.

45 Benché la dottrina (v. FORNARI, Luigi, Criminalità del profitto e tecniche

sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale moderno, Padova,

1997, pag. 96 e ss.), ispirata dall’opera di ESER, Albin, Die strafrechtlichen

Sanktionen gegen das Eigentum, Tübingen, 1969, tenda a distinguere il fine

compensativo/riparatorio della confisca da quello propriamente afflittivo/ generalpreventivo, riteniamo, come sarà chiarito infra, che il primo sia ricompreso nel secondo.

46 Se non nel caso in cui alla confisca si sostituisca la restituzione: per non incorrere

nel ne bis in idem sostanziale, la giurisprudenza ha escluso che ove si riconosca la pretesa restitutoria della parte civile possa darsi luogo anche a confisca, ritenendo che la previsione di cui all’art. 19 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, costituisca un principio generale, in qualche modo già enunciato dall’art. 240 c. 3 (v. Cass., sez II, 20 dicembre 2006, Napolitano).

47 Si avrà modo di ribadire questa affermazione; per il momento, basti considerare

che già dai lavori preparatori del Codice Rocco traspaiono finalità diverse dalla mera prevenzione, quando si afferma che “le utili trasformazioni dell’immediato prodotto del reato, gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa non debbono, né possono impedire che al colpevole venga sottratto ciò che era precisamente obbietto del disegno criminoso e che egli sperava di convertire in mezzo di maggior lucro e di

Si può parlare, tutt’al più, di una compensazione nei confronti della collettività offesa dal reato: finalità, questa, dalla portata meramente simbolica48, riconducibile, a nostro giudizio, ad un’idea di retribuzione e, conseguentemente, di prevenzione generale.

Come scrivono Cacciavillani e Giustozzi49:

Della proprietà, del frutto dell’attività illecita, devi egli essere privato perché, espiata la pena principale, non possa godere del frutto del commesso reato, conseguendo quella locupletazione che costituisce il fine ultimo dell’azione criminosa, e senza la cui confisca la pena principale diventerebbe al limite una burla, una specie di tassa da pagarsi per conseguire un determinato utile, col che potrebbesi addirittura instaurare una immonda comparazione tra utile e danno conseguente al reato, potendosi giungere a scegliere quest’ultimo […].

Nel capitolo precedente avevamo ricondotto le multiformi declinazioni della confisca ad un’unitaria matrice punitiva50. Si può immaginare un “nucleo duro di afflittività”, che il legislatore ha il potere di modellare, smussandone o meno le spigolosità: certamente, nella confisca facoltativa si è preoccupato di farlo più che in quella obbligatoria; ma in nessun caso ha voluto neutralizzarle del tutto.

Individuata una “strutturale” funzione afflitiva, resta da vagliare – secondo l’iter metodologico che abbiamo tracciato in premessa – se la illeciti guadagni”. (Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura

penale, Volume V, Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli, On. Alfredo Rocco, pag. 280, reperibile all’indirizzo:

https://www.omeka.unito.it/omeka/ files/original/89a2e8151fe03dd5327a7b3f973d03 ae.pdf). Sull’opportunità, a fini generalpreventivi, di “riassorbire il vantaggio acquisito dall’agente tramite l’azione illecita” – risultato, questo, non raggiunto dalla sanzione pecuniaria penale e dalla sanzione amministrativa – v. BRICOLA, Franco,

La riscoperta delle “pene private” nell’ottica del penalista, in BUSNELLI –

SCALFI, op. cit., pag. 30.

48 Diverso ci sembra il caso della confisca delle “cose intrinsecamente criminose”,

che realizza effettivamente il ripristino di uno stato conforme a diritto. Il tema sarà approfondito infra.

49 CACCIAVILLANI – GIUSTOZZI, op. cit., pag. 462.

50 Cfr. capitolo I, Premessa, dove avevamo parlato di “sanzione allo stadio

embrionale” per indicare il modello “minimo” a partire dal quale il legislatore “declina” le eterogenee fattispecie di confisca.

confisca assuma la natura di vera e propria pena, e, cioè, se vi si possa scorgere quell’efficacia simbolico-stigmatizzante che riteniamo il

proprium della sanzione penale51.

Prima di procedere, però, s’impone una precisazione.

Non si dev’essere indotti a pensare che, affermando la natura punitiva (e penale) della confisca, si neghi qualunque possibilità di concreti esiti specialpreventivi: al contrario, può ben darsi – e la comune esperienza lo dimostra – che sottrarre al reo lo strumento di cui si è avvalso per commettere il reato (specie se di difficile reperibilità o addirittura insostituibile), nonché privarlo dei frutti conseguiti per effetto della sua condotta illecita, effettivamente lo dissuada dal delinquere di nuovo.

Del resto, nulla osta ad una compresenza di fini diversi all’interno del medesimo istituto: come chiarisce la stessa Corte Edu, infatti, “gli scopi di prevenzione e riparazione si conciliano con quello repressivo e possono essere considerati elementi costitutivi della stessa nozione di pena”52

.

Tornando al quesito sulla natura penale della confisca, a nostro avviso, la risposta si ricava, senza troppi sforzi, guardando alle modalità di incidenza della confisca sulla realtà materiale: essendo finalizzata ad “isolare” cose che, per essere “corpo del reato”, ne riflettono il disvalore53, essa non fa che rimarcare la loro “criminosità”54

, e, di rimando, il crimine stesso.

51 V. Premessa metodologica.

52 Sent. Welch c. Regno Unito, cit., par. 30.

53 E ciò vale, come si vedrà, anche per le cose confiscate in ragione non della loro

pertinenzialità ad un reato, ma di un mero “versari in re illicita” (come – seppur con i dovuti distinguo – nel caso della confisca per equivalente o delle confische patrimoniali).

54 Cfr. CACCIAVILLANI – GIUSTOZZI, op. cit., pagg. 462-463: ‹‹il fine tipico

della confisca è di sottrarre al soggetto la “cosa intrinsecamente criminosa”, nelle varie accezioni possibili di tale pericolosità: il cui semplice possesso od uso costituisce reato o che fu usata per commettere reato, o sulla consistenza l’aver interferito costituisce reato o che infine costituiscono il frutto o compendio del reato commesso”.

In definitiva, la confisca sembra esprimere un’efficacia stigmatizzante55 che, si potrebbe dire, “si frange” sulla persona del reo dopo averne colpito i beni. Risulta integrato, dunque, anche il piano penale in senso proprio56.

Sennonché, tutto ciò premesso, non si deve dimenticare che – al di là di ogni tentativo di decifrare la mens legis, comunque destinato, lo ammettiamo, a rimanere un’ipotesi, senza possibilità di convalida – esiste, de jure condito, una qualificazione normativa da cui non è dato svincolarsi57.

Paradossalmente, però, la soggezione alla lettera della legge può ridondare a vantaggio di quelle stesse garanzie minacciate dalla “truffa delle etichette”: invero, all’interprete, in sede di applicazione, spetta il prezioso compito di “riallineare” l’istituto allo scopo dichiarato, valorizzando le finalità di prevenzione speciale e rifuggendo da soluzioni ermeneutiche che, al contrario, ne implementino i connotati punitivi. Si tratta, in altre parole, di “fingere di credere” che nelle profonde intenzioni del legislatore la confisca sia una misura di sicurezza, e agire come se lo fosse davvero.

Si vedrà cosa ciò comporti in relazione alle singole fattispecie.

55 Analoga funzione neghiamo, invece, alla confisca come sanzione amministrativa,

disciplinata agli artt. 20-21 l. 24 novembre 1981, n. 698. Tuttavia, è doveroso segnalare che anche la natura di “pena in senso tecnico” della confisca amministrativa è oggetto di un dibattito dottrinale, suscitato dal carattere obbligatorio della sanzione e dall’esclusiva applicabilità ai responsabili dell’illecito.

56 Alla confisca obbligatoria, in particolare, certa dottrina attribuisce espressamente il

carattere di pena accessoria, giacché, ex art. 20 c.p., consegue di diritto alla condanna: v. ALESSANDRI, op. cit., pag. 49, MAUGERI, op. cit., pag. 514, FORNARI, op. cit., pag. 29.

57 È la stessa Suprema Corte a Sezioni Unite (con sent. 29 novembre 1958) ad

ammonire che “l’interprete non può contrastare la testuale ed inequivoca definizione giuridica di misura di sicurezza che la vigente legge positiva attribuisce alla confisca”.

Sezione I

La confisca facoltativa

La confisca facoltativa rappresenta l’ipotesi rispetto alla quale è più disagevole ricostruire le finalità perseguite dal legislatore, dal momento che non se ne può aprioristicamente escludere, come nel caso della confisca obbligatoria, la natura di misura di sicurezza.

Ad un primo sguardo, infatti, il regime di facoltatività giustifica il

nomen juris e sembra rispondere all’esigenza specialpreventiva di

‹‹neutralizzare la forza “seduttiva” che la res illicita potrebbe esercitare sul reo ove lasciata nella sua disponibilità››58; tuttavia, come abbiamo già dimostrato, un esame più attento della norma, che tenga conto dei rapporti con l’intero sistema delle misure di sicurezza, induce a scorgere profili di disfunzionalità della disciplina rispetto allo scopo dichiarato (disfunzionalità che, va detto sin d’ora, con riserva di successivo approfondimento, comunque si atteggia in modo e in grado diverso in relazione ai vari oggetti di ablazione).

Anzitutto, guardando ad una peculiarità che contraddistingue la confisca facoltativa, ovvero il giudizio prognostico, si può osservare che la mancata tipizzazione del relativo contenuto lo rende suscettibile di dilatarsi, sul piano interpretativo, fino ad assumere la portata di una generica prognosi di recidiva59. Tanto più che l’art. 236 c.p. neppure richiama, in relazione alla confisca, l’applicabilità delle norme in tema

58 VERGINE, Francesco, Confisca, in www.archiviopenale.it, 9.2013.

59 Scrive ALESSANDRI, op. cit., pag. 44: ‹‹proprio nell’assenza di indici di

valutazione della “pericolosità” del rapporto reo/cosa pare annidarsi un concreto rischio di elusione delle garanzie di certezza, risultando sensibilmente appannata l’ “univocità” di quel giudizio prognostico, che si ritiene essere la soglia minima richiesta per le misure di sicurezza››. Similmente, FIORAVANTI, Laura, Brevi

riflessioni in tema di confisca facoltativa, in Giur. It., II, 1992, pag. 505:

“l’applicazione della confisca facoltativa, per come è configurata nel codice, si potrebbe prestare ad essere ancorata ad un concetto di pericolosità rimesso pressoché totalmente alla creatività del giudice piuttosto che al suo prudente apprezzamento”; e MAUGERI, op. cit., pag. 126: “il legislatore non si è sforzato di fornire dei parametri sui quali fondare la valutazione di pericolosità, né di stabilire il grado minimo di pericolosità che giustifica l’applicazione della confisca”.

di pericolosità sociale del reo (artt. 202-204 c.p.), riservandola, tra le misure di sicurezza patrimoniali, alla sola cauzione di buona condotta.

Si può pensare che il legislatore non si curi di determinare aprioristicamente il fine (“rispetto a cosa” deve orientarsi la prevenzione) per legittimare il libero uso (o abuso) del mezzo (nel nostro caso, la misura di sicurezza); al contrario, “se il testo avesse un contenuto precettivo definito renderebbe irragionevole un’ermeneusi radicalmente innovativa”60

. Sorge il sospetto che la prevenzione speciale non sia il più pressante obiettivo preso di mira dalla norma, ma soltanto un esito accessorio ed eventuale, che può indifferentemente realizzarsi o non realizzarsi.

Si deve ammettere, però, che una simile riflessione non può valere più di una congettura. Potrebbe anche essere vero, del resto, il contrario: presumibilmente, una disciplina più stringente sul contenuto del giudizio di pericolosità finirebbe per dar luogo, nella prassi, a meccanismi presuntivi, che, lungi dal risolvere il problema, lo aggraverebbero61, mentre il silenzio della legge, consentendo al giudice di modellare la prognosi sul caso singolo, favorisce le possibilità che la prevenzione speciale “colga” – per così dire – “nel segno”.

60

GAMBERINI, Alessandro, La crisi della tipicità. Appunti per una riflessione sulla

trasformazione della giustizia penale, in www.penalecontemporaneo.it, 31 marzo

2016, pag. 5, con riferimento alla crisi della legalità in generale.

61

Ad esempio, si potrebbe immaginare che la norma imponesse, in sede di giudizio prognostico per l’applicazione della confisca del prodotto o del profitto, di considerare detti beni alla stregua di strumenti dell’eventuale reato futuro (per esemplificare, sarebbe confiscabile la somma di denaro di cui si fosse in grado di prevedere l’autoriciclaggio, o l’impiego a titolo di “tangente” di un atto di corruzione, e così andando): una simile regolamentazione non potrebbe certo essere tacciata di un difetto di determinatezza, ma si tradurrebbe nel richiedere al giudice lo sforzo di formulare una profezia, magari “assolutizzando” con meccanismi presuntivi il valore di determinati indici. Il problema, almeno apparentemente, non ha via d’uscita, e la causa sembra risiedere nel fatto che il giudizio prognostico, in ogni caso, sconta il “vizio d’origine” di consistere in “giudizio sul futuro”, al di là delle capacità umane. Per approfondimenti, si segnalano le interessanti riflessioni di BOSCARELLI, Marco, Appunti critici in materia di misure di sicurezza, in

Piuttosto, sono soprattutto taluni indici “positivi” (tanto nel senso “ontologico”, quanto nel senso giuridico del termine) – su cui ci siamo già soffermati in sede di ricognizione dei caratteri generali – a far sospettare che la definizione legislativa non rifletta l’autentica natura giuridica della confisca, persino quando essa soggiaccia ad un regime di facoltatività. Elementi di disciplina quali l’irrevocabilità, l’inapplicabilità a seguito di proscioglimento per non imputabilità, o, al contrario, l’applicabilità in sede di sospensione condizionale rendono l’istituto “anelastico” in rapporto alle effettive condizioni di pericolosità, e provano che, ragionevolmente, non è un’istanza di incapacitazione a fondarne la primaria ragion d’essere.

Rebus sic stantibus, non resta che limitare, in sede di

interpretazione, applicazioni distorsive, “svincolate” da effettive istanze di prevenzione speciale ed “esorbitanti” rispetto alla qualificazione normativa dell’istituto.

1. La confisca dell’instrumentum sceleris e il problema della