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3.3.1 Dal cerchio non si esce

Le conseguenze dell’amore è il primo film di Sorrentino frutto della collaborazione con Luca

Bigazzi, direttore della fotografia.

Il film sembra sancire l’inizio di quella ricerca di estetica e artisticità delle immagini, che contraddistingue il cinema del regista. Un’opera girata attraverso numerose riprese rivoluzionarie, in cui possiamo notare anche un iniziale inserimento di opere d’arte funzionali al racconto.

In questo secondo lungometraggio sono presenti alcuni quadri, che fanno da sfondo e da scenografia, opere che sembrano essere rappresentate come se fossero l’emblema dell’esistenza di Titta de Girolamo.

I principali quadri che si vedono nelle inquadrature del film sono due, che ricorrono numerose volte lungo tutta la pellicola. Le due opere sono similmente composte da elementi concentrici, immagini molto grigie e di poco impatto, cerchi che potrebbero simboleggiare quella predeterminazione dell’esistenza di Titta (Fig.7).

Le opere sono state create appositamente per il film dallo scenografo e pittore Lino Fiorito. Anche i coniugi, i nobili caduti in disgrazia a causa del vizio del gioco del marito, ci vengono mostrati circondati da opere d’arte. Loro sono gli inquilini di quell’hotel di cui una volta erano proprietari e vivono in una camera arredata come una sorta di galleria d’arte (Fig.8). Tutti gli oggetti che sono riusciti a salvare tra le rovine della loro vita, sono riuniti come in un museo all’interno della loro stanza. Le opere, come il ritratto della contessa, altro non sono che il flebile ricordo di una vita passata che difficilmente potranno riconquistare e tuttavia non riescono ad abbandonare.

L’utilizzo delle opere d’arte all’interno dei film di Sorrentino è collegato ad un sofisticato e continuo gioco di scambi tra vedute oggettive e inquadrature soggettive, ossia l’occhio dello spettatore.

E’ infatti attraverso “(…)l’abbagliante funambolismo stilistico di questi piani-sequenza, che il regista punta ogni volta al coinvolgimento fisiologico e sensoriale dello spettatore (…) tecniche da lui utilizzate che hanno(…)il potere di sensualizzare lo sguardo (…)”. 107

De Sanctis P., Monetti D., Pallanch L.(a cura di), Divi e antidivi: il cinema di Paolo Sorrentino, cit. p. 34

3.3.2 Il Giudizio

Il divo è un film che viene girato tra gli ambienti della politica, camere signorili arredate nei

secoli all’interno dei grandi palazzi storici romani.

Palazzi che un tempo appartenevano alle grandi famiglie nobili e che contengono al loro interno numerose opere d’arte. Dipinti che in alcuni casi sono legati alle azioni che vengono svolte nelle relative stanze, mentre altre volte risultano un monito al lavoro della classe dirigente.

Nella scena in cui viene presentato il settimo governo di Giulio Andreotti, si susseguono una serie di riprese in cui sono inserite due interessanti immagini pittoriche. In questa sequenza viene mostrata la perfetta contrapposizione tra i politici e i giornalisti.

Dietro alla squadra politica di Andreotti si intravede un grandissimo dipinto, identificato come

La sete dei crociati sotto Gerusalemme di Francesco Hayez (Fig.9). 108

La vicenda che viene mostrata all’interno del dipinto di Hayez, è la grande sofferenza dovuta alla sete che i primi crociati patirono alle mura di Gerusalemme, sembra evidente il parallelo con la sete di potere, che caratterizza Andreotti e i suoi fidi compagni.

Dalla parte opposta, sullo sfondo del numeroso gruppo di fotografi, troviamo invece l’opera di Francesco Podesti: Il giudizio di Salomone (Fig.10). 109

Il dipinto rappresenta la storia di Re Salomone, re giusto il cui giudizio venne considerato il più veritiero su tutti, dopo la vicenda delle due donne e il bimbo che entrambe rivendicavano come proprio . 110

La presenza di fotografi e giornalisti sembra sottolineare il giudizio sospeso sul nuovo governo. Potremmo simbolicamente considerare gli obiettivi delle macchine fotografiche come gli occhi che mai perdonano e che controllano l’operato della classe politica.

Tra realtà e fantasia appare anche la sequenza dell’incontro tra Andreotti e Riina, un evento che il Divo negò sempre . 111

L’incontro viene rappresentato in una ambientazione fredda e asettica, un salotto totalmente bianco, in cui vediamo Andreotti seduto, in una posa quasi fanciullesca, sovrastato da una grandissima immagine rappresentante il volto di un bambino . (Fig.11) 112

La sete dei crociati sotto Gerusalemme, Francesco Hayez, olio su tela, 1838-1850, Palazzo Reale di

108

Torino.

Il giudizio di Salomone, Francesco Podesti, 1836 - 1843, olio su tela, Palazzo Reale, Torino

109

La vicenda è narrata nel primo dei Libri del Re. Due donne che si contendevano entrambe un bimbo,

110

Salomone decise allora di tagliarlo a metà e darne un pezzo a ciascuna, ma fu quando una delle due madri lo supplicò di non tagliarlo ma piuttosto di darlo all’altra donna. E così Salomone capì quale fosse la vera madre del bimbo.

Giulio Andreotti negò sempre che il suo incontro con Totò Riina. Un evento narrato dal pentito di mafia

111

Balduccio di Maggio, che raccontò anche di un fantomatico bacio tra i due. Lo stesso Riina, una volta catturato, raccontò di questo incontro, smentendo però la vicenda del bacio.

Cfr., Vigni F., La maschera, il potere, la solitudine: il cinema di Paolo Sorrentino, cit., pp. 144-146

L’immagine che sovrasta Andretti sembra rappresentare la raffigurazione di una divinità pagana, quasi a simboleggiare la divinità del Divo. (Fig.12)

Secondo Franco Vigni, il quadro, sembra avere una duplice simbologia, se da un lato esso allude alla grandezza e alla divinità della figura di Giulio Andreotti, dall’altro sottolinea l’infantilismo del personaggio . 113

Durante la narrazione viene infatti molte volte mostrato Andreotti nel suo lato fanciullesco. Un infantilismo che possiamo ritrovare nella sua posizione su quel divano bianco oltre che nella richiesta alla moglie di ripetere parole in gradi di sottolineare il suo difetto di pronuncia.

Cfr., Ibidem.