Il cervello è la più complessa componente dell’intero organismo umano. Responsabile della nostra intelligenza, interpreta ogni sensazione corporea, controlla qualsiasi movi- mento e orchestra tutti i nostri comportamenti. Ricercatori e letterati hanno studiato il cervello fin dagli albori della storia scientifica: molto però resta ancora da scoprire a causa dell’estremo livello di articolazione della sua struttura e del suo funzionamento; tanto più, se a esso viene sovrapposto il dominio delle facoltà mentali. Sussiste, poi, l’imprescindibi- le contributo dell’esperienza e del simbiotico rapporto con l’ambiente esterno, incessante condizionamento di funzioni cognitive, emotive e mnemoniche, nonché di abilità motorie.
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C
osì come il resto del sistema nervoso centrale 1, di cui co-stituisce l’organo principale, il cervello è composto da una molteplicità di cellule: l’unità, strutturale e funzionale, primaria è una cellula chiamata neurone. Percezioni, movimenti, ricordi, sentimenti sono il frutto di segnali che passano attraver- so neuroni, tra loro assai eterogenei per morfologia, dimensioni e funzione. Da queste cellule dipendono, di fatto, la conduzione e la trasmissione di tutti i segnali elettrici all’interno del sistema nervoso. Il cervello, in media, contiene ottanta-novanta miliardi di neuroni, il cui insieme di corpi (nuclei e citoplasma) dà origine alla
materia grigia. Ancora più numerose sono le cellule di supporto
altamente specializzate – dette neuroglia (o cellule della glia) 2: esse
nutrono, proteggono e sostengono i neuroni della materia grigia, assicurandone il dovuto isolamento e salvaguardandone le delicate interconnessioni, gli assoni neuronali, ovvero prolungamenti del corpo cellulare che si sviluppano dentro la materia bianca 3, con-
1 —
Il sistema nervoso è l’insieme degli organi e delle strutture che permet- tono di trasmettere segnali tra le diverse parti del corpo, coordinandone azioni e funzioni, sia volontarie che involontarie, sia fisiche che psico- logiche, in relazione agli stimoli che provengono dall’ambiente esterno nonché dall’interno dell’organismo stesso. È convenzionalmente orga- nizzato, dal punto di vista anatomico, in due sezioni: il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico.
Cfr. supra ‘Glossario: Piccolo quaderno neuroscientifico’.
2
Il numero di cellule della glia supera di cinque volte quello dei neuroni. Seppur scoperte nel 1891 da Santiago Ramón y Cajal, solamente nel 2004 ne è stato stabilito il ruolo attivo nelle sinapsi, e dunque nella ve- locità di apprendimento.
3
I termini ‘materia bianca’ e ‘materia grigia’ derivano dal colore delle rispettive regioni dell’encefalo dopo il decesso. La materia bianca è una componente di tessuto nervoso costituita dagli assoni neuronali. Gli as- soni, riuniti in fasci, appaiono bianchi a causa del colore, appunto bian- castro, del rivestimento isolante in mielina che li avvolge.
ducendo impulsi nervosi. La maggior parte dei neuroni del cervello è localizzata nella corteccia cerebrale, strato laminare (irregolare ma continuo) di materia grigia che ricopre gli emisferi cerebrali. Ciascuno dei quattro lobi, in cui è zonizzata la corteccia, possiede una serie di frastagliate circonvoluzioni e caratteristici ripiegamen- ti: 4 questi attestano il meccanismo evolutivo di scelta, che ha con-
sentito di racchiudere un elevato numero di neuroni in uno spazio ristretto. Tale sistema di pieghe permette, infatti, l’esistenza, entro i confini del cranio, di un’area di superficie corticale molto maggiore rispetto a quanto sarebbe altrimenti possibile, mediamente circa 1,6 m² in più. Di conseguenza, aumenta in modo significativo il nu- mero di informazioni che il cervello si dimostra capace di processare. Nei secoli gli scienziati hanno imparato, gradualmente, a conosce- re e comprendere il cervello: molto però resta ancora da scoprire a causa dell’estremo livello di articolazione della sua struttura e del suo funzionamento. Si è capito, per esempio, come i segnali vengono trasmessi da un neurone all’altro attraverso le sinapsi 5 e
come centinaia – anzi migliaia – di neuroni possono accendersi e collaborare insieme innestando un circuito diffuso, preposto alla gestione di qualsiasi atto corporeo. Come già si è annotato nelle ri- ghe precedenti, il cervello umano sovrintende all’attività di miliardi di neuroni (quasi un centinaio di miliardi), ognuno dei quali è sog- getto, di norma, a settemila connessioni sinaptiche. Il risultato è un incalcolabile sistema di contatti, oltremodo difficile persino da im- maginare. I cervelli degli esseri umani condividono tutti la mede- sima base anatomica e interazioni sinaptiche dello stesso tipo, ma l’esatta architettura di connessioni varia notevolmente da persona a persona. Ogni cervello è, cioè, differente, unico; non soltanto se confrontato con l’apparato intellettivo dei suoi simili, ma anche se osservato rispetto a se stesso, essendo un congegno in perenne stato di apprendimento e trasformazione. Gli effetti di tale com- plessità si riflettono nell’infinito spettro dei comportamenti umani:
—4
Le parti sporgenti di queste circonvoluzioni sono chiamate giri, mentre gli avvallamenti che le separano sono detti solchi o, se sono particolar- mente profondi, scissure.
5
Si definisce sinapsi il punto di contatto specializzato tra l’assone di un neurone (la cellula presinaptica) e una cellula bersaglio (la cellula postsinaptica). Tra le cellule presinaptiche e quelle postsinaptiche viene trasmessa informazione mediante il rilascio e la ricezione di neurotra- smettitori biochimici.
disallineamenti di temperamento, responsività agli stimoli, capaci- tà cognitive e modalità espressive sono evidenti sin dall’infanzia. D’altronde «nel mondo reale non vi è cosa più complessa dei nostri cervelli» 6, ammette Steven Rose – professore emerito di neurobio-
logia presso la Open University di Londra.
Alla complessità non c’è limite: essa può ulteriormente accentuarsi. Ciò si verifica quando alla matrice cerebrale si somma l’enigmatico intreccio del mentale. Si raggiunge, così, un dominio di sconfinata espansione e critico controllo. Sorge spontaneo chiedersi: «abbia- mo [davvero] bisogno di affiancare alla nozione di cervello anche quella di mente?»; scienziati e intellettuali sono solidalmente una- nimi: «la risposta a questa domanda è sì». 7 Sovente, accade che si
invertano e confondano i due termini: questo equivoco ha una storia molto lunga. Lo psicologo Paolo Legrenzi la riassume, con schema- tica chiarezza, puntellandola in una successione di momenti chiave:
Le culture del passato hanno dato per scontato che ci fosse qualcosa ‘nel’ nostro corpo, diverso dal corpo stesso, che ci per- metteva di parlare, di pensare, di ricordare, di immaginare e di sognare. [...] la distinzione era spesso non tra mente e corpo, ma tra corpo e anima. […] Avere un’anima non vuol dire avere una mente. Gli antichi avevano quasi sempre localizzato nel cuore le funzioni mentali. […] Già prima di Socrate, nell’Antica Grecia, affiora l’idea che il cervello sia la sede della mente. [...] In epoca moderna, nel corso del Seicento, è Cartesio a siste- matizzare il dualismo mente-corpo. Cartesio separa il corpo, e cioè la res extensa (la materia che ha un’estensione), dallo spirito (res cogitans), che pensa ed è privo di estensione. [...] Questa concezione verrà poi accettata anche dalla Chiesa, che si riserverà come territorio autonomo lo studio dell’anima. Solo in seguito alla completa naturalizzazione dell’uomo, resa pos- sibile dalla teoria dell’evoluzione di Darwin, tutte le capacità umane, anche quelle mentali, verranno concepite come fenome-
6 —
Steven Rose, The Future of the Brain: The Promise and Perils of Tomor- row’s Neuroscience (Oxford: Oxford University Press, 2005). Tradotto da Elisa Faravelli, Il cervello del ventunesimo secolo: Spiegare, curare e manipolare la mente (Torino: Codice Edizioni, 2008), p. 14.
7
Paolo Legrenzi, La mente: Anima, cervello o qualcosa di più? (Bolo- gna: Il Mulino, 2002), p. 35.
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no da analizzare con una prospettiva scientifica. […] Il passag- gio fondamentale, dopo Cartesio, consisterà nel domandarsi non che cosa sia la mente, ma come funzioni: non dobbiamo capire la sua essenza ma i suoi processi. Questo cambiamento di prospettiva renderà via via meno rilevante il problema della localizzazione nel corpo delle funzioni mentali. […] Infatti nes- suno pensa più che si tratti di una sostanza diversa, che ha delle funzioni biologiche precise come il fegato o i reni. E nessuno pensa che la comprensione dei meccanismi biologici del cervel- lo sia sufficiente per capire come funzionino i processi emotivi e cognitivi della mente. Ci può aiutare, nel senso che i vincoli biologici possono restringere il numero di menti che potremmo ‘in astratto’ ipotizzare. 8
La ben nota distinzione sostenuta da Cartesio tra materia e pensie- ro, che ha assoggettato i reparti della scienza e della filosofia all’in- circa per tre secoli, e che ha affascinato gli universi della religione e della poesia, è entrata in crisi con lo studio rigoroso delle funzioni mentali, avviato all’inizio del Novecento. La spinta definitiva è ar- rivata, poi, sulla fine del secondo millennio, grazie al contributo delle neuroscienze – a cui va riconosciuto il merito di aver intentato l’impresa di «ricomporre l’intero mosaico» della complessità delle relazioni che intercorrono tra cervello, mente e comportamento. «Fino a poco tempo fa», infatti, «l’analisi delle molecole era un compito lasciato ai chimici, mentre l’osservazione delle proprietà degli aggregati di cellule spettava ai fisiologi e l’interpretazione del comportamento animale era competenza specifica degli psicologi». 9
Oggi, nello sforzo di suturare i lembi della riflessione, perseguendo un disegno di organicità e coesione, si fortifica sempre di più l’i- dea che non sia necessario scindere i campi di esistenza del corpo, del cervello, della mente, delle emozioni, dello spazio fisico e del patrimonio culturale. Si pretende, cioè, di superare la consolidata predilezione della tradizione occidentale per le dicotomie: psiche vs cervello, eredità genetica vs contesto, dentro vs fuori, biologia vs conoscenza, e così via. Teorie, come quella dell’embodiment, che si vedrà meglio nel dettaglio nei capitoli successivi 10, confluiscono
—8
Ivi, pp. 69-72.
9
Steven Rose, The Future of the Brain: The Promise and Perils of Tomor- row’s Neuroscience (cit.), p. 5.
10
Cfr. supra cap. 13.
verso traguardi di indagine che non vengono più affrontati soltanto come «un’astrazione filosofica», bensì si affermano come «una re- altà biologica ora vividamente catturata dalle tecnologie attuali e dai nostri nuovi modelli umanistici» 11. La disciplina architettonica,
chiamata a farsi interprete delle istanze e delle urgenze, sia materia- li che spirituali, dell’essere umano, deve operare questa mediazio- ne di scarti e sinergie. Le parole di Juhani Pallasmaa ne descrivo- no, evasive ma efficaci, il doppio dominio d’azione, fisico e mentale:
L’architettura struttura e umanizza uno spazio fisico privo di senso proiettandovi significati esistenziali. […] Lo spazio vis- suto è sempre una combinazione dialettica di spazio esteriore e spazio mentale e interiore, di passato e presente, di realtà e costruzione psichica: nel farne esperienza, insieme con le per- cezioni fisiche si fondono memoria e sogno, timore e desiderio, valori e significati. […] Noi non viviamo alternativamente in un mondo fisico e in uno mentale separati l’uno dall’altro; si tratta infatti di dimensioni indissolubilmente intrecciate. 12
Il cervello – in estrema sintesi – è deputato al controllo di tutte le parti del corpo, compreso il cervello stesso, e al sostentamento delle prerogative mentali dell’essere umano. Ma le sue funzioni, come se queste già non bastassero, non si fermano qui. Necessita di misurarsi con l’ambiente esterno, sia esso inteso come insieme di condizioni fisicochimiche che come contesto socioculturale. Neces- sita, al contempo, di confrontarsi ininterrottamente con l’esperien- za, che attinge risorse dalla pantagruelica complessità del mondo per cementare brani di storia personale. Se il cervello non dovesse sperimentare tali richieste, ne verrebbero compromessi i normali processi di adattamento e funzionamento. Tutto ciò in virtù della
plasticità cerebrale, vale a dire la capacità del cervello (soprattutto
11 —
Harry Francis Mallgrave, Architecture and Embodiment: The Impli- cations of the New Sciences and Humanities for Design (Abingdon: Routledge, 2013). Tradotto da Alessandro Gattara, L’empatia degli spazi: Architettura e neuroscienze, edizione italiana con prefazione di Vittorio Gallese (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2015), p. 113.
12
Juhani Pallasmaa, Lampi di pensiero: Fenomenologia della percezione in architettura, a cura di Matteo Zambelli e Mauro Fratta (Bologna: Edizioni Pendragon, 2011), p. 164.
Pressioni demiurgiche
in fase di formazione) di rispondere dinamicamente all’esperienza e di restare modificato da quest’ultima. A intervenire non sono, per- ciò, soltanto fattori intrinseci come il corredo genomico o l’attività ormonale. Dal momento della sua nascita, l’essere umano subisce l’influenza di un coacervo di condizionamenti: il condizionamento delle divinità e del fato; il condizionamento delle tradizioni familia- ri; il condizionamento delle convenzioni sociali e culturali; il condi- zionamento dei vincoli biologici, esito di istinti e trappole logiche 13,
dettati dagli orientamenti evolutivi; il condizionamento, insomma, della realtà esterna. Come suggerito dall’istologo spagnolo San- tiago Ramón y Cajal, il primo a ipotizzare il concetto di plasticità sinaptica al volgere del XIX secolo, «ogni uomo può essere, nel caso in cui se lo proponga, scultore del proprio cervello» 14.
Se da un lato il cervello disciplina e accorda il nostro comporta- mento e manovra le nostre interazioni spaziali, dall’altro è l’am- biente circostante ad avere un fortissimo impatto sullo sviluppo del cervello e, conseguentemente, sulla natura dei nostri comporta- menti. Si innesca, per l’esattezza, un rimodellamento a livello neu- rale. Ecco che l’azione architettonica, alterando e forgiando ma- terialmente l’habitat per l’essere umano, esercita un connaturato influsso sul comportamento degli individui e sulla percezione che questi hanno del proprio intorno. A tal punto che si rivela vera, su un duplice piano, la seguente condizione causa-effetto: «Noi diamo forma ai nostri edifici; dopodiché sono loro a plasmarci». 15 Gli or-
—13
Accade che «una mente fortemente vincolata sul piano biologico […] ha cercato nel corso dell’evoluzione di sopperire ai suoi limiti rendendo au- tomatiche delle procedure di semplificazione basate su modelli incom- pleti del mondo. Oggi, alle prese con ambienti tecnologicamente sofisti- cati, queste strategie, frutto di un adattamento millenario all’ambiente, si rivelano spesso delle trappole».
Paolo Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive (Roma-Bari: Editori Laterza, 2002), p. 125.
14
Santiago Ramón y Cajal, Reglas y Consejos sobre Investigación Cien- tifica: Los tónicos de la voluntad, edizione n. 2 (Madrid: Imprenta de Fortanet, 1899). Tradotto da Neely Swanson & Larry W. Swanson, Ad- vice for a Young Investigator (Cambridge, MA: The MIT Press, 1999), p. XV – ‘Preface to the Second Edition’.
15
La frase venne pronunciata da Sir Winston Churchill nell’ottobre 1943, a Londra, di fronte al Parlamento per discutere la ricostruzione della
ganismi viventi sono costruttori attivi, intervengono costantemente nella determinazione delle parti dell’ambiente ‘esterno’ 16, che repu-
tano rilevanti per la loro sopravvivenza e il loro benessere. Inoltre, procedendo a correggerlo in maniera concorde alle proprie esigen- ze, apprestano una contingenza ambientale (‘il loro ambiente’), che sarà diversamente caratterizzata rispetto all’ambiente esterno tout
court. Nel caso della specie umana questo contesto, filtrato e già
manipolato, viene ereditato dalle generazioni precedenti o vengo- no tramandati i codici conoscitivi necessari a ricomporne la com- petenza progettuale, testata e collaudata. Come ricorda Darwin, «non c’è dubbio […] che gran parte del lavoro intelligente dell’uo- mo sia dovuto all’imitazione e non alla ragione; ma c’è una grande differenza tra le azioni dell’uomo e quelle di molti animali inferiori; l’uomo non può, al primo tentativo, fare ad esempio un’ascia di pietra o una canoa ricorrendo solo alla sua capacità di imitazione. Egli deve imparare il suo lavoro con la pratica». 17
Il principio, per cui l’essere umano trasformando fisicamente il pro- prio ambiente (considerato innanzitutto in termini biologici) venga a sua volta condizionato da tali alterazioni, a livello sia di strutture genetiche che di schemi comportamentali, sta alla base della cosid- detta Niche Construction Theory, prospettata da F. John Odling- Smee nel 1988 e da allora riscontrata positivamente nell’ambito della teoria dell’evoluzione del XXI secolo, dato il suo contributo ad allargare gli orizzonti dell’approccio darwiniano classico. La te-
oria della nicchia, infatti, enfatizza la capacità degli organismi (tra
cui l’uomo) di mutare l’ambiente in cui vivono e, di conseguenza, Camera dei Comuni, rasa al suolo dai violenti bombardamenti tedeschi
perpetrati durante la notte del 10 maggio 1951. Rif. Rebecca L. Henn & Andrew J. Hoffman (a cura di), Constructing Green: The Social Structures of Sustainability (Cambridge, MA: The MIT Press, 2013), p. 1.
16 —
Si veda la definizione di ‘ambiente esterno’ elaborata da Robert N. Brandon in Adaptation and Environment (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1990) e la lettura critica fornita da Saverio Forestiero, ‘Ambiente, adattamento e costruzione della nicchia’, in Life and Time: Selected Contributions on the Evolution of Life and its History, a cura di Sandra Casellato, Paolo Burighel & Alessandro Minelli (Padova: Cleup, 2009), pp. 253-283.
17
Charles Darwin, The Descent of Man and Selection in Relation to Sex, vol. 1 (London: John Murray, 1871). Tradotto da Franco Paparo, L’ori- gine dell’uomo (Pordenone: Edizioni Studio, 1991), p. 83.
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influenzare lo sviluppo della propria specie e di quelle con cui inte- ragiscono. 18 I cambiamenti apportati sul contesto assumono valore
proprio perché attivamente provocati dagli organismi in risposta alle pressioni ambientali esterne. I processi adattivi, quindi, non appaio- no più unidirezionali, esclusivamente sollecitati dall’ambiente e ge- stiti dalla selezione naturale in modo autonomo rispetto all’attività degli organismi; bensì, risultano inscritti in un circuito ricorsivo in cui fattori esterni ed esseri viventi sono reciprocamente agenti mo- dificatori, gli uni degli altri. In altre parole: l’ambiente dirama delle pressioni a cui gli organismi sono tenuti ad adattarsi per sopravvi- vere, ma – parallelamente – questo viene modulato dall’attività degli organismi, dal loro comportamento e dalle trasformazioni che inne- scano, anche non intenzionalmente. «Subire o stimolare la presen- za dell’ambiente» 19, così sintetizzerebbe la questione Le Corbusier.
L’uomo, che controlla nicchie maggiormente complesse rispetto a nidi, tane, ragnatele, astucci pupali o sacche nutritive (persino per i vegetali è possibile parlare di nicchie ecologiche), negli ultimi die- cimila anni 20 è divenuto, a poco a poco, sempre più a dipendere da
quelle risorse materiali che sono state create dalle attività manuali e intellettuali dei suoi predecessori. Tra queste, gioca un ruolo senza dubbio fondamentale l’allestimento dell’ambiente costruito, risultato di una sinergica evoluzione di variabili, sia genetiche che culturali. 21
—18
F. John Odling-Smee, Kevin N. Laland & Marcus W. Feldman, Niche Construction: The Neglected Process in Evolution (Princeton, NJ: Princeton University Press, 2003).
19
Le Corbusier, ‘Préfère-tu faire la guerre?’, in Des canons, des munitions? Merci! Des logis… S.V.P. – Monographie du ‘Pavillon des Temps Nouveaux’ à l’Exposition Internationale ‘Art et Téchnique’ de Paris 1937 (Boulogne- sur-Seine: Editions de l’Architecture d’Aujourd’hui, 1938), p. 8. Tradot- to da Sergio Arecco, ‘Preferisci fare la guerra?’, in Le Corbusier: Scritti, a cura di Rosa Tamborrino (Torino: Giulio Einaudi Editore, 2003), p. 331.
20
Il riferimento temporale che, per strategia di semplificazione, si è stabi- lito di conteggiare è l’era in cui, sviluppandosi e diffondendosi l’agricol- tura, compaiono i primi villaggi, ossia le prime forme di organizzazione sistematica e permanente dello spazio abitativo e sociale. Sono state ri- trovate anche tracce più antiche di rifugi appositamente costruiti (come capanne): si tratta, però, di episodi ancora sostanzialmente sporadici e emarginati nell’iniziativa del singolo.
21
Jeremy Kendal, Jamshid J. Tehrani & F. John Odling-Smee, ‘Human Niche Construction in Interdisciplinary Focus’, in Philosophical Trans- actions of the Royal Society B, vol. 366, n. 1566 (2011), pp. 785-792.
Ripercorrendo a larghe pennellate la narrazione evolutiva della specie umana, si può osservare quanto ridotto sia il periodo di con- vivenza tra l’uomo (o quelli che sono ritenibili i suoi progenito- ri) e i manufatti edilizi da lui prodotti, soprattutto se si confronta suddetto intervallo con l’intero ciclo della sua storia biologica. È come se si immaginasse un iter di formazione lungo vent’anni, e il contatto con la dinamica architettonica subentrasse, approssimati- vamente, solo l’ultimo giorno di scuola, o appena poco di più. 22 Di
fatto: — cinquantacinque milioni di anni fa comparvero sulla Terra le prime varietà di primati, ordine di mammiferi a cui appartiene anche l’uomo. Essi vivevano allo stato brado, servendosi di ripa- ri accidentali, per nulla predeterminati e strutturati, dal momento che a differenza di altre specie animali erano totalmente sprovvisti di qualsiasi istinto, orientato all’autocostruzione di un luogo sicu- ro; — attorno ai sei milioni di anni fa si stima l’alba del bipedismo, con l’ominide orrorin tugenensis (nome comune: millennium man), in grado, seppure ancora prevalentemente arboricolo, di spostarsi sulle gambe in posizione eretta; — fu tre milioni di anni fa che visse il celebre australopiteco Lucy, i cui resti ossei rinvenuti testimo- niano chiaramente che questo esemplare camminasse mantenendo una stazione eretta per la maggior parte del tempo, e non solo per alcuni brevi tratti; — l’homo sapiens, cioè la specie che annovera l’essere umano attuale, apparve poco meno di duecentomila anni fa; — infine, circa diecimila anni fa si manifestò la rivoluzione neo-