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Appare fin da subito ovvio che molteplici sono i fattori che concorrono a comporre le at- mosfere architettoniche. Qualche esempio: le forme e le loro geometrie; il ritmo, la scala, le proporzioni e la massa degli elementi; la configurazione generale della scena e i singoli dettagli; le distanze e i rapporti prossemici nello spazio; la trama, la struttura, il peso e l’aspetto dei materiali; i colori, la luce, le ombre e le loro variazioni – uniformemente diffuse o puntuali, graduali o istantanee; il clima sonoro, con i suoi effetti di riverbero, eco e assorbimento acustico; le oscillazioni di temperatura e i livelli di ventilazione e umidità; o ancora, le qualità olfattive e le loro combinazioni. Alcuni di questi ‘generatori di atmosfera’ risultano agli architetti più familiari di altri, ma tutti – sinergicamente – com- partecipano al fenomeno nella sua globalità. Su un piano di mero ragionamento logico, è ipotizzabile pensare di stilare una lista di fattori, ma la nostra esperienza corporea è intrin- secamente sinestetica ed enattiva: vale a dire, non è mai possibile correlare linearmente una caratteristica all’altra, come se si trattasse di un addendo all’interno di una somma.

G

li spazi architettonici non sono cornici inanimate, sorde e indifferenti all’attività umana che in esse viene messa in scena. Pare sin scontato sottolinearlo. L’ambiente attorno a noi è un’immersiva cassa di risonanza sensoriale, che esercita sul nostro inconscio di sensazioni, comportamenti e stati d’animo un’inconfutabile influenza, di un’importanza tale che, forse, non abbiamo ancora pienamente compreso – nonostante l’inarrestabile progredire delle conoscenze scientifiche e gli innumerevoli sforzi di interpretazione ibrida e multidisciplinare. Spesso, anche colloquial- mente, ci si riferisce all’insieme delle qualità spaziali percepite con un’unica espressione, che ne sintetizza l’intero spettro di tonalità emotive: ovvero, ‘atmosfera’. «I luoghi», infatti, «possono irradia- re un’atmosfera, ad esempio misteriosa, misera e triste oppure sti- molante o addirittura erotica, in altri termini essere responsabili di come le persone si sentono nel loro ambiente». 1 Le atmosfere,

quali condizione di percezione della realtà nella sua completez-

za, continuità e costanza, qualificano lo spazio umano, assolvendo

alla «funzione comunicativa dell’architettura, allo stesso tempo sia emotiva che intellettuale» 2. Nel ricorrere alla nozione di ‘percezio-

ne’ si richiama la sua accezione primitiva, letterale, ossia si intende l’atto con cui viene attribuito un significato a un determinato sti- molo derivato dall’ambiente. Come intuisce Tonino Griffero, inte- ressato a espandere l’indagine dell’estetica filosofica alla sfera della pratica progettuale, oggi si avverte l’urgenza di dare impulso a una ridefinizione dell’estetica, capace di assimilare anche i processi di estetizzazione della vita quotidiana. Si giunge, così, a «una estetica

1

Tonino Griffero, ‘Corpi e atmosfere: Il «punto di vista» delle cose’, in Il luogo dello spettatore: Forme dello sguardo nella cultura delle immagi- ni, a cura di Antonio Somaini (Milano: Vita & Pensiero, 2005), p. 296.

2

Alberto Pérez-Gómez, Attunement: Architectural Meaning After the Crisis of Modern Science (Cambridge, MA: The MIT Press, 2016), p. 31.

Risonanza percettiva

La polifonia dei sensi 313 312 Neurocosmi

intesa come teoria (in senso lato fenomenologica) della percezio- ne» 3, o meglio si gettano le basi per metabolizzare «una (nuova)

estetica come percezione delle atmosfere» 4. Estendendo il concetto

di atmosfera «in modo relativamente autonomo dal suo inqua- dramento nell’ambito delle scienze naturali» 5, Griffero descrive i

principi regolatori di questo debuttante indirizzo di ricerca:

L’estetica come teoria della percezione è dunque, anzitutto, una teoria non della constatazione di cose e processi (essendo la constatazione solo quello che la percezione originariamente estetica diventa in seguito a differenziazione e disciplinamen- to), bensì la presa d’atto delle disposizioni corporee indotte da quelle qualità atmosferiche che, apparentemente presenti in cose e ambienti, sono in verità suscitate dalla co-presenza e interazione di un polo soggettivo e di un polo oggettivo: una interazione – ricordiamolo fin d’ora – che implica a pieno titolo anche le relazioni sociali […] Né appare forzato, in questo tipo di approccio, il nesso tradizionale tra estetica e natura. Que- sto perché la cultura estetica (quella a cui stiamo qui pensando, ovviamente) può essere considerata come l’elaborazione di una necessità – ben presente già nella natura stessa, e adeguatamente attestata […] dalle ricerche biologiche – di percepire, di comu- nicare o mostrar-si e di modificare così la valenza ‘atmosferica’ dell’ambiente di cui si è parte. Ci sono, cioè, caratteristiche degli oggetti che modificano o comunque modulano in maniera spe- cifica il medium circostante, linee e forme che, per esempio, in- ducono in chi le osservi una sorta di mimesi cinetico-corporea, e che tuttavia vanno considerate caratteristiche degli oggetti. 6

La teoria estetica della percezione atmosferica proposta da Toni- no Griffero fornisce un ottimo spunto iniziale di riflessione per comprendere come questa tesi di dottorato interpreti la dinamica atmosferica: una tensione percettiva, sollecitata dal contatto tra il soggetto senziente e lo spazio architettonico a lui attiguo, capace

3

Tonino Griffero, ‘Corpi e atmosfere: Il «punto di vista» delle cose’ (cit.), p. 286. 4 Ivi, p. 302. 5 Ivi, p. 287. 6 Ivi, pp. 293 e 301.

di provocare reazioni fisiche e irradiazioni qualitativo-espressive, che alterano lo spazio corporeo, ovvero lo spazio sentito. Questo sfondo teorico detta il perimetro entro il quale, come tra l’altro ammette essere possibile lo stesso autore, si è intesa studiare la di- mensione atmosferica da una prospettiva soprattutto naturale, più esattamente neuroscientifica (per quanto inevitabilmente inner- vata da direttrici di influenza fenomenologica ed estetica).

Quindi, riepilogando, l’atmosfera è innanzitutto un concetto spa-

ziale, è un «oggetto della percezione, primario e in un certo qual

modo fondamentale» 7, legato all’insieme compatto delle preroga-

tive qualitative di un determinato dominio fisico e alla sensibilità corporea dell’individuo che vi è immerso. Entrambi i poli del cir- cuito percettivo sono necessari. «Nonostante la nostra moderna, spesso individualistica, egocentricità, noi siamo consapevoli di non poter provare emozioni senza stimoli esterni prodotti dall’ambien- te circostante». 8 Costruiamo incessantemente una nostra atmosfe-

ra personale, intimo bozzolo di «percezione bilaterale che non ha nulla di metaforico» 9. L’atmosfera diviene stato di risonanza della

realtà mediata dall’architettura. E, nel far riecheggiare le qualità

espressive dello spazio, la percezione atmosferica – o forse sarebbe più corretto parlare di co-percezione – diviene un’esperienza di sin- tesi sensoriale, connotata da specifiche proprietà costitutive:

▪ l’atmosfera è complessa, in quanto forza coesiva

che orchestra molteplici fattori (i cosiddetti ‘gene- ratori di atmosfera’);

▪ l’atmosfera è sfocata, poiché assimilata grazie a meccanismi percettivi periferici e inconsci;

▪ l’atmosfera è multisensoriale;

7

Gernot Böhme, ‘Sulle sinestesie’, in Casabella, anno LVI, vol. 589, n. 3 (1992), p. 50.

8

Alberto Pérez-Gómez, Attunement: Architectural Meaning After the Crisis of Modern Science (cit.), p. 24.

9

Tonino Griffero, Atmosferologia: Estetica degli spazi emozionali (Ro- ma-Bari: Editori Laterza, 2010). Seconda edizione (Milano-Udine: Mi- mesis Edizioni, 2017), p. 119.

▪ l’atmosfera è multimodale, ossia gestisce e integra gli stimoli ambientali indipendentemente dalla moda- lità tramite la quale i dati sensoriali sono acquisiti;

▪ l’atmosfera è sinestetica;

▪ l’atmosfera è cinestetica e aptica, e trascende perciò il filtro della visione;

▪ l’atmosfera è istintiva e immediata, in grado di in- nescarsi in maniera autonoma rispetto alla media- zione cognitiva di chi la vive.

La complessa articolazione di uno spazio architettonico è – in prin- cipio – colta nella sua totalità, prima di poter essere analizzata in ogni sua parte e dettaglio. Questa è la lezione che ci forniscono le neuroscienze: «nella visione, come anche in altre operazioni menta- li, la nostra percezione del mondo esterno è globale. Le diverse ca- ratteristiche visive di un oggetto, il suo movimento, la sua distanza, la sua forma e colore, ci appaiono tutte coordinate in una singola immagine». 10 La realtà, pur essendo radiografata punto per punto,

non viene, infatti, restituita come una nuvola di segni, ma è coagu- lata in un’associazione unitaria e interattiva delle sue componenti, che non è da considerarsi una mera sintesi additiva delle singole sensazioni elementari. Tale idea di una percezione onnicomprensi- va, e non frammentata, viene formulata per la prima volta all’ini- zio del ventesimo secolo, dagli esponenti della scuola della Gestalt (il sostantivo tedesco ‘Gestalt’ significa forma, struttura).

[Gli] psicologi della Gestalt, gli antesignani degli odierni psico- logi cognitivi […] ci hanno fatto comprendere che i percetti, per esempio legati a una scena visiva, non possono essere sempli- cemente scomposti in una serie di elementi sensoriali indipen- denti come le dimensioni, il colore, la luminosità, il movimento o la forma. La psicologia della Gestalt ha evidenziato che la percezione complessiva, piuttosto, è qualcosa di più della som-

10

Eric R. Kandel et al. (a cura di), Principles of Neural Science, edizione n. 4 (New York, NY: The McGraw-Hill Companies, 2000). Edizione italiana a cura di Virgilio Perri & Giuseppe Spidalieri, Principi di neu- roscienze, edizione n. 3 (Milano: Casa Editrice Ambrosiana – CEA, 2003), p. 542.

Complessità

ma delle singole parti. Il modo in cui percepiamo un aspetto di una figura – per esempio, la sua forma o il suo colore – è determinato in parte dal contesto in cui l’immagine è percepita. Quindi, questi studi hanno evidenziato che per comprendere la percezione non possiamo limitarci a studiare le proprietà fisiche degli elementi che vengono percepiti, ma dobbiamo so- prattutto comprendere in che modo il cervello ricostruisca il mondo esterno, fino a pervenire a una rappresentazione interna coerente e non contraddittoria. 11

Grazie a una concatenazione di relazioni reciproche tra gli elemen- ti, la percezione che si ha della scena complessiva è diversa da quella relativa alle singole parti che la costituiscono. Sulla base della loro configurazione spaziale, gli stimoli possono essere assimilati secon- do specifici principi organizzativi, che ne trascendono la struttura fisica, per via di precise tendenze innate del cervello umano nell’in- terpretare tali pattern. Con particolare riferimento ai percetti visi- vi, tra questi criteri selettivi (detti ‘leggi della Gestalt’) 12 si possono

citare la legge di prossimità (gli elementi tra loro più vicini tendono a essere raggruppati in unità percettive), la legge di somiglianza (gli elementi tra loro simili tendono a essere raggruppati in unità percettive), la legge di chiusura (gli elementi che alludono a forme chiuse riconoscibili tendono a essere ordinati in unità formali), la

legge della buona continuazione (gli elementi aventi le medesime

caratteristiche di movimento, di ritmo o di orientamento tendono a essere percepiti come appartenenti a un insieme coerente e conti- nuo) e la legge della buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice, la più riconoscibile). Oltre alle proprietà del dominio fisico, pure ciò che si è sperimentato nel passato e conserva tracce nella memoria gioca un ruolo cruciale, imponendo dei vincoli che, sommandosi ai processi genetici, rendono più probabili determinate

11

Thomas D. Albright, Thomas M. Jessel, Eric R. Kandel & Michael I. Posner, ‘Neural Science: A Century of Progress and the Mysteries that Remain’, in Cell / Neuron Millennial Review Supplement: Neuron, vol. 100 & Cell, vol. 25 (2000), pp. S1-S55. Tradotto da Diego Sarracino, ‘Neuroscienze: Un secolo di progressi e i misteri ancora irrisolti’, in Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente, a cura di Eric R. Kandel, edizione italiana a cura di Diego Sarracino (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2007), p. 248. Corsivo degli autori.

12

Dale Purves et al. (a cura di), Principles of Cognitive Neuroscience, edizione n. 1 (Sunderland, MA: Sinauer Associates, 2008). Edizione italiana a cura di Alberto Zani, Neuroscienze cognitive, edizione n. 1 (Bologna: Zanichelli Editore, 2009), p. 34.

La polifonia dei sensi 317 316 Neurocosmi

organizzazioni piuttosto che altre. Si sottolinea che «esperienze psicofisiche e neurofisiologiche più recenti hanno dato ulteriore conferma a un certo numero di questi principi» 13; ad attestarlo è il

Kandel. Anche Richard Neutra, nel suo approcciarsi al mondo da ar- chitetto, aveva assai chiari tali meccanismi di ‘masticazione’:

Nella vita quotidiana siamo continuamente assaliti da una cao- tica complessità di forme, sfumature, colori, odori, rumori. Ma si verifica un processo differenziante, astraente e poi sintetiz- zante, finché il caos non si articola in qualche modo in oggetti più o meno distinti ed entità organizzate. Questa masticazione di un mondo esterno a morsi individuali, cui segue l’amalgama- zione di tutte le particole in un’immagine digeribile del mondo, è un procedimento non dissimile dalla masticazione, salivazio- ne e digestione miranti ad assimilare il cibo fisico. 14

Sostenuto dalle riprove teoriche fornite da Michael Arbib, neuro- scienziato, in merito al fatto che la percezione e la comprensione della realtà partano dall’entità complessiva per dissociarsi e spo- starsi sui particolari, Juhani Pallasmaa afferma che analogamen- te la percezione atmosferica «è un’esperienza immediata del tutto, dell’essenza, e solo in un secondo momento risulta possibile distin- guere i dettagli che ne fanno parte. […] Il rimbalzare avanti e in- dietro tra unità e dettaglio è in qualche modo un processo naturale della percezione e del pensiero umano» 15. Attenendoci a queste pre-

messe – di ordine sia architettonico che psicologico nonché neuro- fisiologico – si asserisce, dunque, che la percezione atmosferica sia una forma di percezione globale di tutto ciò che ci circonda.

13

Eric R. Kandel et al. (a cura di), Principles of Neural Science (cit.), p. 488.

14

Richard Joseph Neutra, Survival Through Design (New York, NY: Oxford University Press, 1954). Tradotto da Glauco Cambon, Proget- tare per sopravvivere (Milano: Edizioni Comunità, 1956), p. 109.

15

Juhani Pallasmaa intervistato da Klaske Havik & Gus Tielens, ‘Sfeer, mededogen en belichaamde ervaring: Een gesprek over sfeer met Juhani Pallasmaa / Atmosphere, Compassion and Embodied Experience: A Conversation about Atmosphere with Juhani Pallasmaa’, in OASE – Tijdschrift voor Architectuur / Journal for Architecture, n. 91 (2013): ‘Sfeer bouwen / Building Atmosphere’, pp. 37-38.

Sfocatura Sempre su suggerimento di Juhani Pallasmaa, che d’altronde è dive-

nuto riferimento obbligato all’interno della comunità architettonica nell’ambito dell’indagine atmosferica (da lui intrapresa con rigore a partire dall’inizio degli anni dieci) 16, è lecito ipotizzare che «l’at-

mosfera sia nel suo complesso una qualità sfocata. Essa deve essere esperita in maniera non focalizzata e parzialmente inconscia» 17.

Ovvero, «la percezione periferica è la modalità percettiva attraver- so cui si afferrano le atmosfere» 18. Questa osservazione parrebbe

rivelarsi esatta, innanzitutto, sul piano dell’analisi delle informa- zioni visive. L’occhio umano gestisce due procedure di visione, per- fettamente integrate: quella centrale, che si polarizza su determi- nati particolari, oggetti e frammenti di scena, risultando sensibile per esempio al colore; e quella periferica, che sembra fornire una rappresentazione strutturale primaria, il quadro d’insieme. Qualsi- asi dettaglio che ricade al di fuori della fovea 19, la regione centrale

della retina dove la visione è in assoluto più chiara, nutre la sensi- bilità periferica, deputata alla rilevazione dei contorni, dei contra- sti e del movimento. La visione periferica dirige il progressivo, e fondamentale, processo di selezione delle informazioni sensoriali che affollano il campo visivo, ossia le viene delegato il compito di scegliere gli oggetti di interesse da esplorare: un’eccessiva immissio- ne di dati appesantirebbe, infatti, l’analisi dello spazio circostante, rallentandola e cospargendola di lacune. Pertanto, l’approssimazio- ne del complesso nell’indistinto, nel fuori fuoco, nell’atmosferico, è un atto fisiologicamente necessario. Accade che «mentre guardia- mo il mondo esterno ci focalizziamo su particolari oggetti e ne tra- scuriamo altri». 20 L’occhio si concentra su quanto è reputato impor-

16

Ivi, pp. 25-36.

17

Ivi, pp. 45-46.

18

Juhani Pallasmaa, ‘Space, Place and Atmosphere: Emotion and Periph- eral Perception in Architectural Experience’, in Lebenswelt: Aesthetics and Philosophy of Experience, vol. 1, n. 4 (2014), p. 244.

19

I nostri occhi riescono a vedere nitidamente solo una ridotta porzione dello spazio attorno a noi, che corrisponde all’area definita dai 1,5±2 gradi centrali del campo visivo rispetto all’asse della fovea. Perciò, la visione foveale tocca e mette a fuoco solo un centottantesimo dell’am- biente in cui siamo immersi.

20

tante; «per questa ragione l’Uomo muove costantemente gli occhi in modo che le immagini che risvegliano il suo interesse vadano a cadere sulla fovea». 21 Da qui la sensazione di vedere tutto sempre

nitidamente. La visione periferica è debole negli esseri umani, è significativamente attenuata, anestetizzata rispetto ad altre specie animali. Eppure è essenziale, dal momento che quando si entra a contatto con qualsivoglia esperienza architettonica, è la ricognizio- ne visiva a prevalere su tutte le interazioni sensoriali che si innesca- no con il dominio spaziale. Di recente, alcune ricerche, incentrate sull’interpolazione di concetti architettonici con principi neuro- scientifici, hanno affrontato questo tema del duplice filtro visivo:

Considerati i meccanismi di funzionamento della visione, dalla retina alle vie visive corticali, ventrale e dorsale, l’esperienza dell’architettura agisce simultaneamente all’interno dei campi visivi centrale e periferico, attraverso modalità visive sia focali che ambientali. A causa di questo suo stato fluido, l’architettu- ra – a differenza della maggior parte degli altri stimoli – costi- tuisce un unico tipo di stimolo ambientale, che può oscillare dalla percezione del [singolo] oggetto alla percezione dello spa- zio [nel suo complesso], sperimentando uno spettro cognitivo di risposte visive e riflessi attentivi. [...] c’è un’architettura che valutiamo intellettualmente per mezzo della nostra attenzione focalizzata e c’è un’atmosfera architettonica che viene perce- pita grazie alla nostra straordinaria capacità di comprensione dell’ambiente che ci circonda; la peculiarità più consistente è che queste sono forme separate di esperienza architettonica, che operano in parallelo, governate dal sistema percettivo visivo. 22

Il passo appena riportato è stato estrapolato da una tesi dottorale con- clusa nel 2016 sotto la supervisione del professor Robert J. Condia, che da alcuni anni si occupa dello studio dei fondamenti biologici dell’estetica architettonica, toccando anche la questione della perce- zione atmosferica. Quando mi sono confrontata con il dottor Colin Ellard su una possibile definizione del fenomeno atmosferico 23, il

21

Ivi, p. 503.

22

Kevin Kelley Rooney, ‘Vision and the Experience of Built Environments: Two Visual Pathways of Awareness, Attention and Embodiment in Ar- chitecture’, tesi di dottorato (Kansas State University: College of Archi- tecture, Planning and Design, 2016), pp. 50-51.

23

Cfr. infra cap. 5 (frammento datato 11 settembre 2018).

neuroscienziato ha completato il suo intervento sostenendo di voler aggiungere un’ultima riflessione riguardo al meccanismo percet- tivo coinvolto: «ipotizzo, sulla base del lavoro di ricerca che sto approfondendo in collaborazione con Bob Condia e il mio studen- te Jatheesh Srikantharajah, che la dinamica atmosferica sia inten- samente mediata dal sistema visivo periferico, che sembra essere particolarmente attivato nello stato emotivo». 24 Ruotando attorno

a tali presupposti, si stanno sviluppando sperimentazioni che pre- vedono l’uso di metodiche di monitoraggio oculare (eye tracking) 25

e tecnologie di realtà virtuale.

«Lo spazio in quanto atmosfera non è altro che oscillazione o con-

duttività pura» 26, dichiara Peter Sloterdijk. Lo sciame di sensazio-

ni, coscienti e semicoscienti, diffuse dall’intorno architettonico, che stimola sensorialmente e cerebralmente l’individuo in esso im- merso, produce di fatto un medium percettivo, continuo e integra-

to – e, come tale, accende in modo simultaneo più canali sensoriali.

«La polifonia dei sensi» 27, l’ha ribattezzata un altro filosofo, il fran-

cese Gaston Bachelard. L’essere umano dipende dal suo ambiente – anche – per provvedere al suo primario fabbisogno di segnali, tanto di natura fisico-biologica (come gli stimoli sensoriali) quanto

24

Cfr. Jatheesh Srikantharajah, Colin Ellard & Robert J. Condia, ‘Place, Peripheral Vision, and Space Perception: A Pilot Study in VR’, in Acad- emy of Neuroscience for Architecture (ANFA) 2018 Conference – ‘Shared Behavioral Outcomes’: Book of Abstracts (La Jolla, CA: Salk Institute, 20-22 settembre 2018), pp. 180-181.

25

L’eye tracking è una tecnica foto-oculografica con cui si registrano i mo- vimenti oculari, per mezzo di sensori che proiettando un fascio di raggi infrarossi sulla pupilla ne tracciano gli spostamenti. In questo modo, è possibile stabilire con precisione su quali punti e per quanto tempo un soggetto focalizzi la propria attenzione.

26

Peter Sloterdijk, Sphären II: Globen. Makrosphärologie (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 1999). Tradotto da Silvia Rodeschini, Sfere II: Globi. Macrosferologia, edizione italiana a cura di Gianluca Bonaiuti (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2014), p. 126. Corsivo dell’autore.

27

Gaston Bachelard, La poétique de la rêverie (Paris: Presses Universitai- res de France, 1960). Tradotto da Giovanna Silvestri Stevan, La poeti- ca della rêverie, edizione italiana revisionata da Barbara Sambo (Bari: Edizioni Dedalo, 2008), p. 12.

La polifonia dei sensi 321 320 Neurocosmi

di natura sociale (come i messaggi veicolati dalla mimica facciale e dalla gesticolazione dei suoi simili, con cui convive). Si pensi a come reagiamo al vuoto, all’assenza totale di segnali. «Il vuoto ci fa spesso rabbrividire; il suo orrore sembra implicito nella struttura della nostra mente, un horror vacui mentale. […] In genere, l’uomo prova l’impulso di riempire di disegni uno spazio vacante. I bam- bini tendono naturalmente a scarabocchiare un muro vuoto». 28 La

tensione atmosferica riunisce in sé l’insieme dei percetti innescati dall’esperienza architettonica, operando una funzione di stabiliz-