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L’identità interdisciplinare dell’architettura

L’architettura è priva di un carattere esatto: il suo significato sfuma da sempre in un mu- tevole processo di ibridazione, tecnica e culturale. È invocata come arte e scienza. I suoi fruitori sono individui unici, sinoli di forma e materia, geneticamente determinati ma pla- smati dall’ambiente nel quale sono cresciuti. Numerose discipline, nel corso dei secoli, ne hanno influenzato l’interpretazione, avviando innovativi scenari di indagine, sia teorici che sperimentali; fra queste: le scienze cognitive.

L’identità interdisciplinare dell’architettura 197

*

«La mia risposta alla domanda

se l’architettura sia o meno una forma d’arte è: l’architettura è un’espressione artistica

ma allo stesso tempo non è arte.

L’architettura è un’arte nella sua essenza

di metafora spaziale e materiale dell’esistenza umana, ma non è una forma d’arte nella sua natura seconda di artefatto strumentale di utilità e razionalità».

Juhani Pallasmaa, architetto e critico: 2011

L

’architettura, quale scienza e arte 1* del progettare spazi per

l’essere umano, è spoglia di un carattere esatto: il suo signi- ficato 2 sfuma da sempre in un mutevole processo di ibrida-

zione, tecnica e culturale. «Non è prodotta semplicemente dall’ag- giunta di piante e sezioni ai prospetti. È qualcosa di altro e di più. Non è possibile spiegare precisamente che cosa sia; i suoi limiti non sono affatto ben definiti». 3 Le viene richiesto di far dialogare

categorie opposte e, apparentemente, inconciliabili: norma e intui- zione, calcolo e immaginazione, realtà e utopia, mattone e matita, contabilità ed estetica, passato e futuro, intimo e pubblico; l’altale- na potrebbe oscillare avanti e indietro, ancora, innumerevoli volte. Nel suo febbrile ondeggiare, persegue un fondamento teorico che

1

Juhani Pallasmaa, Lampi di pensiero: Fenomenologia della percezione in architettura, a cura di Matteo Zambelli e Mauro Fratta (Bologna: Pendragon, 2011), p. 16.

2

«È ovvio che l’architettura rientra, ed ha anzi il primo posto, tra le atti- vità umane intese a modificare l’ambiente fisico in rapporto alle neces- sità dell’esistenza. Tra queste attività si distingue per l’impiego di un ‘si- stema di segni visivi dimensionali-geometrici’, col quale esprime ‘idee, valori’; ed è valutabile come arte [...] La distinzione, che corrisponde all’incirca a quella tra architettura ed edilizia, non trova sostegno in dif- ferenze di destinazione o di tecnica, e spesso neppure di intenzionalità estetica, ma soltanto nel carattere di ‘organicità’ che deriva all’elaborato dall’esplicitazione di ‘idee e valori’: cosicché può dirsi che l’architettura modifica l’ambiente mediante un processo attributivo di valore, che lo rende rappresentativo configurandolo come spazio, cioè dandogli orga- nicità e struttura».

Giulio Carlo Argan, ‘architettura’, voce in Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, diretto da Paolo Portoghesi (Roma: Istituto Editoriale Romano, 1968), vol. 1, pp. 140-141.

3

Steen Eiler Rasmussen, Experiencing Architecture (Cambridge, MA: The MIT Press, 1959). Tradotto da Nicola Braghieri & Alessandra Spada, Architettura come esperienza (Bologna: Pendragon, 2006), p. 27.

la distingua e distanzi dall’industria dell’edilizia. Solo così, si può innalzare a veicolo comunicativo di idee e valori, contenitore di un significato, designato «come esito di una specifica intenzione – di committenti, costruttori, progettisti... – o riconosciuto a posteriori in strutture spontanee, totalmente utilitarie e/o prive di ambizioni estetiche» 4. Indipendentemente dal suo specifico statuto ontologico

l’architettura, lavora sotto il peso ineluttabile di vincoli fisici: ogni progetto nasce sull’innesto del continuo compromesso, immolato per necessario anelito di realizzabilità. «Un pittore può dipingere le ruote di un cannone quadrate per esprimere la futilità della guer- ra. Uno scultore può scolpire le medesime ruote quadrate. Ma un architetto deve usare ruote circolari». 5 La missione architettonica

non si accontenta di conseguire il risultato prefissato, ma rivendica una nobilitazione di intenti, da ricercarsi in una singolare sensibi- lità progettuale, che trascenda la mera rispondenza alla funzione a cui il manufatto è destinato. Su questo punto, scrive con estrema chiarezza Le Corbusier:

L’architettura esiste quando esiste emozione poetica. L’architet- tura è un fatto plastico. La dimensione plastica è ciò che si vede e si misura con lo sguardo. Va da sé che se il tetto gocciolasse, se il riscaldamento non funzionasse, se i muri si crepassero, le gioie dell’architettura sarebbero seriamente messe in forse; come una persona che ascoltasse una sinfonia seduta su un puntaspilli o esposta alla corrente d’aria di una porta. 6

Infine, l’intricato gioco di variabili si complica se si esaminano le caselle (collimanti) di partenza e di arrivo della ingegnosa partita a cui è sfidato il progettista: le esigenze dell’utente. L’essere uma- no, suo imprescindibile epicentro, è di fatto una complessa «entità

4

Giovanni Corbellini, Lo spazio dicibile: Architettura e narrativa (Sira- cusa: LetteraVentidue Edizioni, 2016), p. 5.

5

Louis Isadore Kahn, ‘Form and Design’, estratto di The Voice of America Forum Lectures (1960). Tradotto da Teresa Fiori, ‘Forma e progetta- zione’, in Louis I. Kahn: Idea e immagine, a cura di Christian Norberg- Schulz (Roma: Officina Edizioni, 1980), p. 73.

6

Le Corbusier, ‘Architecture’, in Vers une Architecture (Paris: Les Édi- tions G. Crès et Cie, 1923), pp. 119-183, pubblicato a firma di Le Corbusier-

Saugnier in L’Esprit Nouveau (1922), con alcune variazioni. Tradotto da Sergio Arecco, ‘Architettura’, in Le Corbusier: Scritti, a cura di Rosa Tamborrino (Torino: Giulio Einaudi Editore, 2003), p. 61.

biologica, psicologica e sociopolitica» 7, un individuo unico – sinolo

di forma e materia, geneticamente determinato ma al contempo pla- smato dall’ambiente nel quale è cresciuto.

L’architettura oggi non è né sapere scientifico né attività arti- gianale né forma artistica. Se misurati attraverso i progressi raggiunti nelle scienze sociali e nelle invenzioni tecniche, noi progettisti siamo ancora degli architetto-sauri. 8

Nel tempo, la pratica dell’architettura ha saputo – o, meglio, ha dovuto – imparare a condividere teorie e scoperte maturate in al- tri campi di indagine, lasciandosi osservare attraverso prospetti- ve disciplinari molto differenti; salda nella propria autonomia, ha progressivamente forgiato un polifonico nucleo di collaborazioni 9*,

fondate sul reciproco confronto. Si potrebbe asserire che l’intero scibile sia stato interrogato ed esplorato:

▪ innanzitutto, l’architettura si è lasciata permeare dal fasci-

no delle discipline artistiche, interessandosi di pittura, scul- tura, fotografia, teatro, cinema, musica, per citarne alcune. Nella storia è stata identificata essa stessa ‘arte’, in quanto prodotto culturale, e ammessa tra le arti figurative, ossia le arti del bello visibile 10, anticamente riconosciute come arti

maggiori. Nel 1921 il critico Ricciotto Canudo, nel cristal- lizzare la definizione di cinema quale ‘settima arte’, consa-

7

Frederick Kiesler, ‘Pseudo-Functionalism in Modern Architecture’, in Partisan Review, vol. 16, n. 7 (1949), p. 738.

8

Ivi, p. 939.

9

Fig. 6.1: esagono delle collaborazioni interdisciplinari che coinvolgono la materia architettonica. Schematizzazione propria.

Vedere pagina seguente.

10

«Per secoli architettura, pittura e scultura sono state chiamate belle arti, ovvero arti che si occupano del ‘bello’ e piacciono alla vista, pro- prio come la musica può piacere all’orecchio».

Steen Eiler Rasmussen, Experiencing Architecture (cit.), p. 27.

Collaborazioni disciplinari

L’identità interdisciplinare dell’architettura 201 200 Neurocosmi discipline artistiche discipline umanistiche discipline scientifiche: scienze dure discipline scientifiche: scienze formali discipline scientifiche: scienze molli scienze cognitive *

Architettura

&

Architettura: esagono delle collaborazioni interdisciplinari Fig. 6.1

cra l’architettura a madre di tutte le arti; 11

sono intensamente intervenute le discipline umanistiche (tra cui la filosofia, i beni culturali, la religione e la semio- tica): persino i codici della letteratura sono stati manipolati per leggere le regole compositive e narrative che innervano la costruzione architettonica; e, viceversa, compiuti proget- ti di architettura – disegnati ovvero eretti sotto forma di maquette – sono stati impiegati per decifrare la struttura, non solo spaziale, di storie e romanzi; 12

▪ la materia architettonica è stata, poi, esaminata e testata, in ogni sua parte, dall’estesa rete delle discipline scientifiche: elasticamente, con salti di scala dall’immensamente gran- de all’invisibilmente piccolo, si sono pronunciate le scienze naturali della Terra (ovvero la geografia, la geologia, l’eco- logica e la climatologia), le scienze sociali e umane (come l’antropologia, la sociologia, la psicologia, l’economia e il diritto), le scienze applicate con i loro relativi ambiti di eser- cizio (su tutte le materie tecnologiche, l’ingegneria e la me- dicina), le scienze della vita (tra cui la biologia e l’etologia), le scienze fisiche (con la chimica e la fisica) nonché le scienze formali, ossia quelle scienze che (come la matematica e la lo- gica) prescindono dall’esperienza e dalla realtà fisica. Sche- maticamente, per strategia di semplificazione, suddetti set-

11

«Esistono due arti che inglobano tutte le altre. Sono i due punti focali della ‘sfera in movimento’, dell’ellissi sacra dell’Arte, dove l’uomo ha gettato fin dalle sue origini il meglio delle proprie emozioni, il fondo della propria vita interiore, i segni più intensi della sua lotta contro l’aspetto fuggevole delle cose: l’Architettura e la Musica. La Pittura e la Scultura non sono che ‘complementi’ dell’Architettura; non sono altro che la raffigurazione sentimentale dell’uomo e della natura; e la Poesia non è che lo sforzo della Parola – come la Danza lo è della Carne – di divenire Musica. Ecco perché il Cinema, che riassume queste arti […] ne è la ‘Settima’».

Ricciotto Canudo, ‘L’estetica della Settima Arte’ (1921), in Problemi del film: Saggio di antologia estetica, di Luigi Chiarini & Umberto Bar- baro (Roma: Edizioni di Bianco e Nero, 1939), p. 48.

12

Cfr. l’esperienza promossa dal Laboratorio di Architettura Lettera- ria di Matteo Pericoli, un progetto interdisciplinare che esplora le sto- rie e lo spazio letterario da esse prodotte, senza ricorrere alle parole, ma sviluppando autentici progetti di architettura (www.lablitarch.com).

tori della ricerca possono essere compendiati nel trittico: 13

scienze dure, scienze molli e scienze formali;

▪ negli ultimi anni, infine, si sono rafforzate le relazioni con il dominio delle scienze cognitive, territorio composito di incroci disciplinari avente come oggetto di studio la cogni- zione, «e cioè la capacità di un qualsiasi sistema, naturale o artificiale, di conoscere e di comunicare a se stesso e agli altri ciò che conosce» 14. Si innesca, pertanto, con lo sparti-

to architettonico uno scambio dialettico di tesi molto profi- cuo, in grado di assumere una rilevanza sempre più urgen- te e incisiva, come di seguito approfondito.

Al principio, nel cercare un fondamento empirico che la legittimas- se, l’architettura si è affidata alle verità della statica, radicandosi sulle teorie newtoniane nel tentativo di accordarsi all’azione gra- vitazionale, a cui deve rispondere con totale ubbidienza. Diviene scienza effettivamente sostenuta su basi sperimentali solo agli al- bori dell’Ottocento, il secolo della consacrazione della fisica classi- ca, la quale fiorisce dall’osservazione dei fenomeni termodinamici, elettrici, magnetici, elettromagnetici e nucleari. Con il passaggio di secolo, il Novecento viene alla luce in un clima diffuso di progresso e innovazioni tecnologiche, entusiasmato dalla spinta propulsiva della fisica moderna, scosso dalla carica detonante dell’esplosione della chimica, dell’energetica, dell’informatica e della telematica: il sapere ingegneristico infuoca e tempra il fare architettonico. Oggi,

13

Il vocabolo ‘scienza’ deriva dal verbo latino scire, ossia ‘sapere’: da qui il suo significato cumulativo di sistema di conoscenze. Con il susseguir- si delle epoche e delle rivoluzioni del pensiero umano, sono germogliate nuove branche scientifiche, via via raggruppate in classificazioni dai con- fini duttili e non definite in senso univoco, ma tradizionalmente accettate, spesso schierate su posizioni dicotomiche: scienze esatte/scienze comples- se, scienze positive/scienze speculative, scienze pure/scienze applicate, scienze dure/scienze molli. Quest’ultima distinzione (hard science/soft science, frequente soprattutto nel mondo anglosassone) pone da un lato le scienze sperimentali e applicate, contraddistinte da un rigore metodo- logico analitico e oggettivo, dall’altro – per contrapposizione – le scienze sociali e umane, alimentate da indagini non prettamente quantitative.

14

Paolo Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive (Roma-Bari: Editori Laterza, 2002), p. V.

Nuovi orizzonti

prossimi al tramonto del secondo decennio del terzo millennio, freme una nuova rivoluzione industriale, la terza. Il ventunesimo secolo non si appassionerà esclusivamente di materiali ad alta pre- stazione, nanotecnologie, sostenibilità ambientale, soluzioni smart

grid e idrogeno: esso viene, con forza, invocato come il secolo della mente 15, raccogliendo la preziosa eredità lasciatagli dal Novecen-

to, quando «la scienza della mente ha spodestato la scienza dell’a- nima» 16, grazie ai contributi della psicologia, della psicoanalisi e

dell’intelligenza artificiale. A testimonianza di quanto le attuali ricerche su mente e cervello (del cui rapporto si parlerà dettagliata- mente più avanti) 17 infervorino la comunità scientifica internazio-

nale, si richiamano due progetti transdisciplinari promossi e finan- ziati dal governo statunitense, a distanza di pochi anni: l’iniziativa

Decade of the Brain (1990-2000) 18, incentrata sullo studio neuro-

scientifico del cervello umano e – parallelamente – sull’esortazio- ne a un dialogo anche di matrice etica, filosofica e umanistica 19; e

l’iniziativa Decade of the Mind (2007-2017) 20, destinata alla com-

prensione della mente umana, sulla scorta dei presupposti emersi dalle precedenti indagini compiute sull’attività biologica del cervel- lo, senza però limitarsi ai risultati delle sole applicazioni cliniche. L’influenza di tali esperienze si è propagata rapidamente in Europa e Asia, dove sono stati avviati analoghi percorsi di ricerca, a svi- luppo e complemento di quanto già impostato dagli Stati Uniti. 21

15

Robert L. Solso (a cura di), Mind and Brain Sciences in the 21st Century

(Cambridge, MA: The MIT Press, 1999).

16

Paolo Legrenzi, La mente: Anima, cervello o qualcosa di più? (Bolo- gna: Il Mulino, 2002), p. 85.

17

Cfr. supra cap. 8.

18

Edward G. Jones & Lorne M. Mendell, ‘Assessing the Decade of the Brain’, in Science, vol. 284, n. 5415 (1999), p. 739.

19

Jon Leefmann & Elisabeth Hildt (a cura di), The Human Sciences After the Decade of the Brain (Amsterdam: Academic Press, 2017).

20

James Sacra Albus et al., ‘A Proposal for a Decade of the Mind Initiative’, in Science, vol. 317, n. 5843 (2007), p. 1321.

21

L’Unione Europea, per esempio, lancia il suo programma European Dec- ade of Brain Research nel settembre 1992.

L’identità interdisciplinare dell’architettura 205 204 Neurocosmi

Oggigiorno, le necessità – materiali e psicologiche – che un archi- tetto deve soddisfare per l’appagamento del benessere del futuro utente, nel momento in cui interviene sul suo ambiente, control- landolo e trasformandolo, sono assai complesse e ampiamente progredite rispetto all’elementare richiesta di riparo assolta dalla capanna primigenia. La società (occidentale) odierna sta scalando – con inarrestabile velocità – l’ordine gerarchico dei bisogni da cui dipende la sua sopravvivenza. La qualità della vita (di cui sareb- be, a questo punto, più corretto discutere anziché di sopravvivenza propriamente detta) si è sollevata dalla massa di quelle necessità primarie che nella celebre piramide di Maslow 22 assemblano il ba-

samento istintuale; vale a dire: bisogni di natura fisiologica (come fame, sete, sonno e sesso) e bisogni di sicurezza (come senso di protezione, tranquillità, equilibrio e contatto). Adesso, si aspira a esigenze superiori di carattere conoscitivo, estetico e creativo. Ne era già ben consapevole Richard Neutra, più di sessant’anni fa:

Eppure la costruzione di un ambiente contemporaneo che sod- disfi i bisogni umani invece di frustrarli, che promuova il buon funzionamento del sistema nervoso umano invece di imporgli uno sforzo intollerabile, è un problema che certamente non si risolverà col puro aiuto della fortuna. La dimora della specie umana – che in origine era la foresta primordiale o la distesa er- bosa di praterie e pampas – ha subito sempre di più le modifiche dell’intervento umano. E nel caso nostro è forse nella misura del 90% opera di mani umane e – dobbiamo sperarlo – di cer- velli umani. Gli uomini civili passano la vita nelle costruzioni artificiali o fra di esse. Queste costruzioni, e relativi spazi inter- medi, hanno urgente bisogno di progettazione sana e integrata. Ne hanno tanto bisogno perché sono statiche e permanenti, a differenza dei bivacchi nomadi, che si potevano sporcare e poi agevolmente abbandonare una volta divenuti inabitabili. 23

Nella loro irrequieta dinamica di raffinamento, i bisogni umani trascinano a sé un desiderio di sapere sempre più sofisticato e sem- pre più rigoroso: appare, dunque, inevitabile un incontro tra la di-

22

Abraham Harold Maslow, Motivation and Personality, edizione n. 2 (New York, NY: Harper & Row, 1970).

23

Richard Joseph Neutra, Survival Through Design (New York, NY: Oxford University Press, 1954). Tradotto da Glauco Cambon, Proget- tare per sopravvivere (Milano: Edizioni Comunità, 1956), p. 21. Evoluzione

dei bisogni umani

sciplina architettonica e le scienze cognitive, figlie di una sintesi incubatrice di competenze che, ambendo coralmente alla «com- prensione del funzionamento del cervello e della sua capacità di produrre la mente» 24, costituiscono l’ultima frontiera del sapere

umano – la grande sfida conoscitiva del ventunesimo secolo. D’al- tro canto, come scrisse Auguste Rodin «L’architettura è fra tutte le arti quella che risulta più cerebrale e sensibile al tempo stesso, e che più delle altre impegna tutte le facoltà umane nella loro interezza; in nessun’altra arte invenzione e ragione hanno un ruolo così attivo». 25

La nascita delle scienze cognitive risale agli anni Cinquanta, sebbene le discipline che le compongano siano molto più longeve e il cuore della loro indagine, la cognizione, abbia animato il dibattito filoso- fico già dai tempi dei grandi pensatori greci. L’embrione teorico da cui si dipana l’intreccio delle successive applicazioni, sia speculative che sperimentali, è il gioco dell’imitazione 26, un criterio statistico

(né definitorio né sufficiente, per ammissione dello stesso autore), proposto dal matematico Alan Turing nel 1950 per valutare se ‘le macchine siano in grado di pensare’, ovvero se siano dotate di un ‘pensiero intelligente’, introducendo in tal modo il concetto di in- telligenza artificiale. La prima apparizione – ufficiale – delle scienze cognitive, così battezzate, è stata la pubblicazione nel gennaio 1977 della rivista Cognitive Science. Essa anticipa di pochi mesi il debut- to della Cognitive Science Society (registrata come organizzazione professionale non profit in Massachusetts nel 1978) alla sua prima conferenza annuale, svoltasi a La Jolla, in California, nell’agosto 1979. Altri nomi 27 sono stati inizialmente ipotizzati per identificare

l’emergente campo di ricerca, tra questi ‘epistemologia applicata’ e

24

Paolo Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive (cit.), p. VI.

25

Auguste Rodin, Les Cathédrales de France (Paris: Librairie Armand Colin, 1914), citato in Auguste Perret: 1874-1954, di Roberto Gargiani (Milano: Mondadori Electa, 1993), p. 36.

26

Alan Mathison Turing, ‘Computing Machinery and Intelligence’, in Mind, vol. 59, n. 236 (1950), pp. 433-460.

27

Allan M. Collins, ‘Why Cognitive Science’, in Cognitive Science, vol. 1, n. 1 (1977), p. 1.

Le scienze cognitive

‘teoria dell’intelligenza’: a spuntarla fu, però, l’espressione ‘scienze cognitive’. L’uso del plurale, quando si parla di scienze cognitive, è d’obbligo: esse sono, infatti, un amalgama di discipline, accomu- nate dall’insieme di problematiche a cui si rivolgono «nell’ambito dell’intelligenza, naturale e artificiale» 28. Non si tratta di una som-

ma di conoscenze che si occupano della mente, bensì della confluenza – equipollente – delle loro collaborazioni. Il tavolo di lavoro, su cui convergono tutte le risposte, ospita invitati di pari livello, che nell’in- terloquire e confrontarsi si integrano mutuamente, rafforzandosi.

Una piena comprensione della mente umana richiede una pro- spettiva integrata: la mente non solo deve muovere da un ‘cogi- to’ non fisico al regno dei tessuti biologici, ma deve anche essere correlata con un organismo intero, in possesso di un cervello e di un corpo integrati e in piena interazione con un ambiente fisico e sociale. 29

Le scienze cognitive possiedono, dunque, una struttura che è con- naturatamente interdisciplinare, fondata – per convenzione – da sei discipline costitutive: 30le scienze informatiche;la psicologia;la filosofia;la linguistica;l’antropologia;le neuroscienze.28 Ibid. 29

António Rosa Damásio, Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain (New York, NY: Avon Books, 1994). Tradotto da Filippo Macaluso, L’errore di Cartesio: Emozione, ragione e cervello umano (Milano: Adelphi Edizioni, 1995), p. 341.

30

Nel 1978 l’istituto filantropico statunitense Alfred P. Sloan Foundation promuove la stesura di un rapporto, che fotografi i più ragguardevoli livelli di sviluppo raggiunti dalle scienze cognitive sino a quel momen- to. I risultati ottenuti vengono graficamente condensati nell’icastico dia- gramma a esagono, che campeggia anche sulla copertina del fascicolo finale (Cognitive Science, 1978; cfr. nota successiva): tale schema mo- stra come per «studiare i principi con cui entità intelligenti interagiscono con il loro ambiente» sia necessario includere il contributo «egualmente interessante ed entusiasmante» di sei approcci disciplinari (scienze in- formatiche, psicologia, filosofia, linguistica, antropologia, neuroscienze).

Nello studiare la mente umana ognuna di queste aree di ricerca pro- pone un proprio linguaggio, una propria impostazione teorica, pro- prie metodologie, propri strumenti. Gli antropologi sono, per esem- pio, interessati alla dimensione sociale dei fenomeni cognitivi, vale a dire a come questi vengano condizionati dal contesto culturale, a come evolvano in milieu differenti; i filosofi, invece, si concentrano su modelli più astratti di rappresentazione del pensiero, interrogandosi su come questo possa essere partorito dal cervello biologico. Facendo riferimento al celebre esagono cognitivo, elaborato per la Alfred P. Sloan Foundation 31* alla fine degli anni Settanta, è possibile notare

come ogni disciplina offra sì una prospettiva differente sull’organiz-