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un nuovo orizzonte di confronto

Le neuroscienze: un nuovo orizzonte di confronto 217

A

voler essere molto sintetici, si può affermare che le neuro- scienze siano un dominio ibrido riservato allo studio del cervello o, più in generale, del sistema nervoso. Allargando il campo della messa a fuoco, ci si accorge che «il fine delle neuro- scienze è comprendere i meccanismi biologici che spiegano l’attività mentale». 1 Esse, di fatto, «cercano di capire in che modo i circuiti

neurali che si formano durante lo sviluppo permettano agli indivi- dui di percepire il mondo intorno a sé, di ricordare queste perce- zioni e di agire sul ricordo di queste percezioni. Cercano anche di comprendere le basi biologiche della nostra vita emotiva, il modo in cui le emozioni colorano i nostri pensieri e che cosa accada nella regolazione di emozioni, pensieri e azioni». 2 A chiarire questi con-

cetti, «estremamente complessi, molto più di ogni altro problema affrontato, in passato, dalle altre aree della biologia» 3 intervengono

le parole di Eric Kandel, nonagenario psichiatra e neuroscienziato statunitense, vincitore del premio Nobel 4 e principale curatore del

volume che, evolvendosi di edizione in edizione, è diventato rife-

1

Thomas D. Albright, Thomas M. Jessel, Eric R. Kandel & Michael I. Posner, ‘Neural Science: A Century of Progress and the Mysteries that Remain’, in Cell / Neuron Millennial Review Supplement: Neuron, vol. 100 & Cell, vol. 25 (2000), pp. S1-S55. Tradotto da Diego Sarracino, ‘Neuroscienze: Un secolo di progressi e i misteri ancora irrisolti’, in Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente, a cura di Eric R. Kandel, edizione italiana a cura di Diego Sarracino (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2007), p. 247. 2 Ibid. 3 Ibid. 4

Eric Richard Kandel (Vienna, 1929) ha ricevuto il premio Nobel per la medicina nel 2000, insieme ai colleghi Paul Greengard e Arvid Carlsson, per le loro scoperte sui segnali di trasduzione nel sistema nervoso.

rimento mondiale per l’intero settore 5, testo sacro per numerose

generazioni di studenti. Il termine ‘neuroscienze’ è la traduzione del neologismo inglese neuroscience 6, coniato negli anni Sessanta

dal biologo americano Francis Otto Schmitt per designare il com- posito gruppo di ricerca internazionale (Neurosciences Research

Program – NRP), che ha costituito nel 1962 presso il Massachusetts

Institute of Technology (MIT), con l’intento di investigare la com- plessità della dinamica cerebrale e del comportamento umano, a partire dall’analisi delle loro matrice biologica. L’uso della forma plurale allude alla polifonia di competenze disciplinari convoca- te da Schmitt, esperto microscopista elettronico e microchimico di formazione: al fianco di scienziati (come fisiologi, neurobiologi, biochimici e fisici) egli schiera, infatti, una squadra di matematici, informatici, neurologi, psichiatri e psicologi.

La storia delle neuroscienze affonda, in realtà, le proprie radici ben più lontano nel tempo: da sempre, il cervello catalizza interessi di qualsiasi tipo (anche spirituali e letterari), e la mole enciclopedica a esso dedicata dalla ricerca scientifica documentata lo testimonia. «La pietra miliare di questa disciplina è la scoperta del neurone: prima di essa le neuroscienze non erano unificate da un asse por- tante ed erano frammentate in diversi componenti […]. In segui- to alla scoperta del neurone da parte di Camillo Golgi e Santiago Ramón y Cajal, gli studiosi del sistema nervoso si trovarono di fronte a un panorama completamente nuovo». 7 Tale scoperta ar-

rivò nel 1873. E fu subito oggetto di contesa, scientifica. Golgi, che perfezionò in quell’anno un metodo di colorazione delle cellule nervose (detta reazione nera), capace di rendere visibili le singole cellule all’interno del tessuto (evidenziandone ogni componente, tra cui le ramificazioni degli assoni, i filamenti nervosi che conducono

5

Eric R. Kandel et al. (a cura di), Principles of Neural Science, edizione n. 5 (New York, NY: The McGraw-Hill Companies, 2013). Chiamato d’abitudine, semplicemente, il Kandel. La prima edizione in lingua in- glese risale al 1981.

6

Gerald Maurice Edelman, ‘The Neurosciences Research Program at MIT and the Beginning of the Modern Field of Neuroscience’, in Journal of the History of the Neurosciences: Basic and Clinical Perspectives, vol. 19, n. 1 (2010), pp. 15-23.

7

Alberto Oliverio, Prima lezione di neuroscienze (Roma-Bari: Editori Laterza, 2002), p. 4.

l’impulso elettrochimico generato dal neurone), difendeva la cosid- detta teoria reticolare del sistema nervoso: era, cioè, fermamente convinto che la struttura del cervello potesse essere identificata in una compagine reticolare di circuiti nervosi, diffusa nelle diver- se regioni cerebrali e costituente un nucleo continuo e autonomo rispetto ai neuroni, deputata a collegare funzionalmente tutti i centri nervosi. Ramón y Cajal, che si avvalse della tecnica istolo- gica elaborata da Golgi per verificare le proprie tesi, sosteneva, al contrario, una teoria cellulare del sistema nervoso, in cui ribadiva che ogni cellula avesse una sua autonomia anatomico-funzionale. La tensione tra i padri di quella che diverrà la teoria del neurone sfociò in un scontro diretto, dai toni aspramente accesi, scoppiato proprio in occasione della cerimonia di assegnazione del Nobel per la medicina, di cui vennero insigniti – insieme – i due luminari nel 1906. A titolo di cronaca, grazie al procedere delle sperimentazioni fisiologiche, sarà la posizione dell’istologo spagnolo a dimostrarsi esatta: i neuroni, unità elementari del cervello, sono in contatto tra loro, ma non in continuità, essendo indipendenti l’uno dall’altro.

La scoperta del neurone ha, dunque, varato un nuovo ciclo di ricer- che aprendo la strada alle neuroscienze moderne. Con la seconda metà del XX secolo, esse vengono travolte da una fase di intensa e rapida crescita, che perdura sino a oggi. Anzi, addirittura accelera di anno in anno, tanto che l’epoca contemporanea sta affrontando gli effetti stordenti di una poderosa ubriacatura da ‘neuro-mania’ 8,

esplosa nel passato recente con le tutte le sue promesse e potenzia- lità, i risultati progressivamente consolidati, ma anche il peso dei suoi limiti. Molteplici sono i fattori che hanno compartecipato a tale propulsione: — la convergenza di teorie e modelli formalizza- ti dalla psicologia cognitiva, con cui le neuroscienze condividono trame di ricerca e orizzonti di sviluppo; — i progressi acquisiti nel campo della genetica; — i progressi ottenuti dalla neurologia fon- data su basi molecolari; — il potenziamento dell’assistenza fornita dalle scienze informatiche, essenziale per scomporre e ricostruire i processi computazionali della macchina cerebrale; — la disponibi- lità di tecnologie immersive realistiche (quali la realtà virtuale e la

8

Paolo Legrenzi & Carlo Umiltà, Neuro-mania: Il cervello non spiega chi siamo (Bologna: Il Mulino, 2009).

Le neuroscienze: un nuovo orizzonte di confronto 221 220 Neurocosmi

realtà aumentata) 9, adottate per testare la responsività dell’organi-

smo umano sotto specifici, seppur restrittivi, protocolli di progetto; — e, al disopra ogni di altra cosa: il perfezionamento, concretiz- zato negli scorsi trenta-trentacinque anni dai ritrovati della fisica e dell’ingegneria biomedica (che si migliorano ininterrottamente con straordinaria velocità), delle tecniche di tipo neurofisiologico e di neuroimmagine. Il portato di queste ultime è rivoluzionario. Esse consentono di eseguire indagini in vivo su soggetti umani, studian- doli nel loro comportamento normale o in condizioni affette da patologia. Si tratta di strumentazioni altamente specializzate e pre- cise, finalizzate all’osservazione, istantanea e diretta, delle funzioni superiori del cervello. Qualsiasi sia, la tecnologia scelta, l’atto di monitoraggio dell’attività cerebrale non è mai un’operazione inva- siva, né tanto meno dolorosa. In precedenza, non potendo servirsi di tali dotazioni, si avevano sostanzialmente tre possibilità: lavo- rare su pazienti neurologici colpiti da singolari lesioni cerebrali, e quindi sofferenti di deficit del funzionamento cognitivo; effettuare esami autoptici; oppure, sperimentare delle ipotesi terapeutiche in occasione di interventi di neurochirurgia e coglierne le «inaspettate conseguenze» 10. Tutte queste esperienze hanno, in ogni caso, avuto

una significativa ricaduta concettuale. Come spiega Eric Kandel, «in generale, questi studi hanno rivelato che tutti i processi men- tali, non importa quanto complessi, derivano dal cervello e che la chiave per comprendere ogni particolare processo mentale risiede nella comprensione del modo in cui una serie di segnali coordinati in regioni cerebrali interconnesse dà origine al comportamento. Una conseguenza di questo approccio […] è stata una prima demi- stificazione di varie funzioni mentali: il linguaggio, la percezione,

9

La realtà virtuale (virtual reality – VR) e quella aumentata (augmented reality – AR) offrono due tipi di esperienza diversa, tra loro sovrappo- nibili e integrabili. La prima è una tecnologia che consente di simulare tridimensionalmente al computer scenari del tutto assimilabili alla re- altà effettiva ed esplorabili, in modo immersivo e intuitivo, per mezzo di periferiche elettroniche (come visori e sensori di movimento). La se- conda, invece, agisce sul contesto reale esistente e vi proietta una serie di contenuti digitali (quali indicazioni, testi, suoni e animazioni) che, coincidendo con soddisfacente precisione nel sistema occhio-scena, pro- muovono una conoscenza ‘arricchita’ dell’ambiente circostante, con cui risulta possibile relazionarsi su più piani.

10

John D. E. Gabrieli, Satrajit S. Ghosh & Susan Whitfield-Gabrieli, ‘Pre- diction as a Humanitarian and Pragmatic Contribution from Human Cognitive Neuroscience’, in Neuron, vol. 85, n. 1 (2015), p. 11.

il controllo delle azioni, l’apprendimento e la memoria». 11

Tra le strategie di indagine attualmente usate per lo studio delle competenze cerebrali si differenziano due famiglie: le tecniche di neurofisiologia e quelle di neuroimmagine. A queste poi si somma- no metodiche ibride, nate da una loro combinazione. I criteri neu- rofisiologici «si basano fondamentalmente sull’analisi dei segnali elettrici prodotti spontaneamente o indotti a livello del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso periferico, della giunzione neuromuscolare e del muscolo» 12. Per quanto concerne l’attività del

cervello, oltre alla registrazione dei campi elettrici (eseguita con procedure di elettroencefalografia – EEG), si possono rilevare an- che i campi magnetici a essi correlati (mediante meccanismi di ma- gnetoencefalografia – MEG). Tra i molteplici esami neurofisiologi- ci 13 oggi a disposizione per la ricerca neuroscientifica si distingue

l’elettroencefalogramma (EEG); esso, attraverso una distribuzione di elettrodi posizionati sul cuoio capelluto (di norma, in un numero variabile da due a duecentocinquantasei), misura e registra l’attivi- tà elettrica cerebrale spontanea, riproducendola su uno schermo, sotto forma di onde sinusoidali (che vanno a trascrivere il tracciato EEG). Le indagini neurofisiologiche sono largamente impiegate nel settore delle neuroscienze, soprattutto perché valutano in maniera diretta l’attività dei neuroni, sia essa istintiva che evocata (ovvero, in risposta alla presentazione di uno stimolo indotto), garantendo una risoluzione temporale assai miniaturizzata (vantano, infatti, un’accuratezza dell’ordine del millisecondo). Hanno, tuttavia, alcu- ni limiti. Su tutti la loro modesta capacità di risoluzione spaziale, ossia soffrono della non-unicità del cosiddetto ‘problema inverso’, il procedimento di conversione che permette di localizzare anato-

11

Thomas D. Albright, Thomas M. Jessel, Eric R. Kandel & Michael I. Posner, ‘Neural Science: A Century of Progress and the Mysteries that Remain’ (cit.), p. 248.

12

Paolo Girlanda, ‘Diagnostica strumentale neurofisiologica’, in Dizio- nario di medicina (Istituto Giovanni Treccani, 2010), versione online, data consultazione: 12 novembre 2018 (www.treccani.it).

13

Si possono menzionare l’elettromiografia (EMG), la neurografia (ENG), le metodiche per analizzare la trasmissione neuromuscolare, lo studio dei riflessi, i potenziali evocati (PE), i potenziali evocati motori (PEM) da stimolazione magnetica transcranica (TMS), la polisonnografia (PSG) e i test di funzionalità autonomica.

micamente le sorgenti corticali di eventi di interesse, a partire dalla distribuzione dei segnali misurati. Elevate prestazioni di risoluzio- ne spaziale, che si traducono graficamente in dettagliate mappature a diverse scale di colore, sono invece il punto di forza dei metodi di

neuroimaging, tra i quali si evidenziano le procedure di visualizza-

zione cerebrale funzionale. Esse, oggigiorno, sono probabilmente le tecniche «più informative e popolari per valutare l’attività cerebrale connessa a funzioni cognitive» 14, nonostante abbiano intervalli di

risoluzione temporale piuttosto dilatati (anche di alcuni secondi). Il principio di fondo del loro funzionamento consiste nel registrare le variazioni ematiche correlate al consumo energetico dell’encefalo:

Il cervello utilizza una porzione notevolmente grande delle ri- sorse di energia corporea. Circa il 20% del glucosio e dell’os- sigeno utilizzati dal corpo è consumato dal cervello e, in ogni dato momento, le cellule nervose più attive utilizzano questi e altri metaboliti in proporzione maggiore rispetto ai neuroni relativamente inattivi. Per far fronte all’aumento delle richieste metaboliche dei neuroni particolarmente attivi, il flusso san- guigno dell’area cerebrale rilevante aumenta. La rivelazione e la mappatura di queste variazioni locali del metabolismo cere- brale e del flusso sanguigno rappresentano la base emodinami- ca di due tecniche di visualizzazione funzionale che sono state ampiamente utilizzate: la tomografia a emissione di positroni (PET) e la visualizzazione mediante risonanza magnetica fun-

zionale (fMRI). Poiché queste tecniche rivelano con una buona

risoluzione spaziale il quadro di attività nel cervello integro, hanno fatto progredire di molto la nostra capacità di studiare le funzioni cognitive e i loro substrati neuronali. 15

I continui miglioramenti tecnologici conseguiti nelle metodiche strumentali appena descritte hanno costituito, per l’evoluzione del- la materia neuroscientifica, un apporto di eccezionale importan- za. Rimangono, però, ancora dei blocchi operativi da sviluppare, per avanzare nello studio dei paradigmi cognitivi. Le simulazio- ni sperimentali richiedono, infatti, il supporto di apparecchiature complesse e costose (si pensi, soprattutto, ai macchinari necessari

14

Dale Purves et al. (a cura di), Principles of Cognitive Neuroscience, edizione n. 1 (Sunderland, MA: Sinauer Associates, 2008). Edizione italiana a cura di Alberto Zani, Neuroscienze cognitive, edizione n. 1 (Bologna: Zanichelli Editore, 2009), p. 67.

15

Ibid.

per svolgere gli esami di fMRI), che esigono competenze tecniche sofisticatamente specializzate; spesso le sessioni sperimentali ob- bligano il soggetto a lunghi cicli di stasi (una seduta di MEG può durare persino un paio d’ore), e pertanto non risultano idonee a particolari popolazioni cliniche, che con scarsa probabilità posso- no restare vigili e immobili per periodi eccessivamente prolungati (come bambini, pazienti autistici o malati di Parkinson). Infine, c’è un aspetto di grande interesse per l’investigazione dei meccanismi di percezione spaziale: le condizioni di prova sono vincolate – in modo estremo – dall’ingombro fisico dei dispositivi impiegati, che ne snatu- rano le normali configurazioni di interazione e riducono le domande sperimentali che si potrebbero approfondire. Ciò si verifica in mi- sura ridotta con l’allestimento degli elettrodi previsti dalla EEG, o con le cuffie precablate utilizzate nelle registrazioni di routine, e si amplifica considerevolmente quando il soggetto testato viene intro- dotto in posizione sdraiata all’interno di uno scanner fMRI, isolato da qualsiasi stimolo sensoriale esterno e sintonizzato su una sele- zione di segnali sintetici, somministratagli tramite appositi occhiali visori. Nel frattempo, si stanno perfezionando soluzioni ibride 16 e

progettando prototipi sempre più confortevoli e maneggevoli, che possano consentire almeno la navigazione spaziale. Un esempio è fornito dall’innovativo sistema di magnetoencefalografia, portatile e indossabile come un casco, che concede la libertà di muoversi in maniera spontanea durante la scansione, collaudato dai ricercatori del Sir Peter Mansfield Imaging Centre (University of Nottingham) e del Wellcome Centre for Human Neuroimaging (University Col- lege London – UCL). Per la prima volta si rende, così, possibile la rilevazione «dell’attività elettrofisiologica umana, con una riso- luzione dell’ordine dei millisecondi, osservando i soggetti mentre eseguono movimenti naturali, incluse azioni come annuire con il capo, fare stretching, bere e giocare con una palla» 17. Con questa

neonata tecnologia si è sbloccata la flessibilità motoria: permane, tuttora, l’urgenza di risolvere la sensazione di soggezione fisica,

16

Attraverso procedure di fusione, si possono combinare sia metodiche appartenenti alla stessa categoria (facendo, per esempio, un uso inte- grato della PET e della fMRI, per compensarne i relativi limiti) che me- todiche miste (ottenute, per esempio, mediante registrazione EEG da soggetto posto all’interno di un magnete).

17

Elena Boto et al., ‘Moving Magnetoencephalography Towards Real- World Applications with a Wearable System’, in Nature, vol. 555, n. 7698 (2018), pp. 657-661.

Le neuroscienze: un nuovo orizzonte di confronto 225 224 Neurocosmi

dovuta alla presenza di una maschera rigida che avvolge per inte- ro la testa, lasciando scoperti solo occhi, orecchie e bocca.

Storicamente, nel coordinare indagini e riflessioni sul sistema ner- voso, e di conseguenza sulla dinamica mentale, le neuroscienze mo- derne hanno seguito due binari di ricerca, in apparenza divergenti: da un lato l’approccio olistico (detto anche ‘dall’alto verso il basso’,

top-down); dall’altro l’approccio riduzionista (ovvero ‘dal basso

verso l’alto’, bottom-up). In realtà, emerge «in maniera chiara e con- vincente che i due approcci non solo sono entrambi necessari, ma devono interagire tra loro se si vuole progredire nella comprensione dell’attività cognitiva, delle emozioni [e] del controllo del comporta- mento […]. Va aggiunto, tuttavia, che si progredisce solo se si affron- ta ogni particolare problema con il giusto approccio» 18. Per capire

le differenze che intercorrono tra le due strategie metodologiche, si fa di nuovo affidamento alla lettura critica del professor Kandel:

L’approccio riduzionista […] cerca di studiare il sistema ner- voso nei termini dei suoi componenti elementari, esaminando una sola molecola, una sola cellula o un solo circuito per volta. Il comune oggetto di studio di questo approccio è rappresenta- to dalle proprietà di segnalazione delle cellule nervose e dalle modalità di comunicazione tra neuroni, al fine di determinare come si formino le reti neurali nel corso dello sviluppo e come si modifichino con l’esperienza. L’approccio olistico […] privilegia lo studio delle funzioni mentali di individui umani e di animali da laboratorio integri, cercando di correlarne il comportamen- to alle proprietà sovraordinate di ampi sistemi di neuroni. 19

Steven Hyman, nel commentare il lavoro di Eric Kandel, precisa in che modo si debba interpretare la declinazione di riduzionismo scientifico che questi propone, e che ha testato sia nell’ambito dei

18

Steven E. Hyman, ‘Neural Science’ (commento al sesto capitolo), in Psychiatry, Psychoanalysis and the New Biology of Mind, a cura di Eric R. Kandel (Washington, DC: American Psychiatric Publishing, 2005). Tradotto da Diego Sarracino, in Psichiatria, psicoanalisi e nuo- va biologia della mente (cit.), p. 243.

19

Thomas D. Albright, Thomas M. Jessel, Eric R. Kandel & Michael I. Posner, ‘Neural Science: A Century of Progress and the Mysteries that Remain’ (cit.), pp. 247-248.

Iati

suoi progetti prettamente neuroscientifici che in successive espe- rienze di tangenza con l’universo artistico 20.

Il genere di riduzionismo sperimentale di Kandel non si pone il fine di spiegare ogni comportamento umano in termini di com- ponenti sempre più elementari, che siano cellule, molecole, atomi o quark. Piuttosto, l’obiettivo è scomporre i problemi in compo- nenti studiabili, al fine di comprendere in che modo questi intera- giscono – riconoscendo appieno che individuare e definire le sin- gole parti non significa spiegare i fenomeni di ordine superiore. 21

Il terreno di indagine delle neuroscienze è minato da interruzioni e aperture, frutto di iati concettuali e metodologici. Il divario più rilevante nell’investigare la diade cervello-mente, vede contrapporsi

monisti e dualisti. I primi, influenzati da una formazione di stampo

riduzionista, fanno collimare i domini di mente e cervello, ammet- tendo per le funzioni mentali una base naturale saldata all’archi- tettura neurale. I secondi, al contrario, rifiutando una visione ridu- zionista, più o meno accentuata, affermano che le attività cerebrali e quelle psichiche sono assolutamente distinte e non scaturiscono da un’origine comune. Tra i due poli, radicalmente opposti, si in- terpongono posizioni di mediazione, che nel collegare i processi mentali alla struttura neurale introducono stadi di interdipendenza progressivi. «Al giorno d’oggi» va, d’altro canto, constatato che «la maggior parte dei neuroscienziati adotta un’ottica fortemente ri- duzionistica, e il fatto che mente e cervello coincidano rappresenta un aspetto quasi implicito di questa disciplina». 22 Tale tendenza si

è solidamente stabilizzata grazie alle teorie (dal portato, oltretutto, spiccatamente divulgativo) del neurobiologo francese Jean-Pierre Changeux, che all’inizio degli anni Ottanta ha elaborato la fortu- nata immagine dell’uomo neuronale, con cui viene annullata ogni distinzione tra organo cerebrale e fenomeno mentale. Egli, infatti, afferma: «le possibilità combinatorie legate al numero e alla diversi- tà delle connessioni del cervello dell’uomo sembrano effettivamente

20

Eric R. Kandel, Reductionism in Art and Brain Science: Bridging the Two Cultures (New York, NY: Columbia University Press, 2016). Tra- dotto da Gianbruno Guerrerio, Arte e neuroscienze: Due culture a con- fronto (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2017).

21

Steven E. Hyman, ‘Neural Science’ (cit.), p. 243.

22

sufficienti per rendere conto delle capacità umane. La separazione fra attività mentali e neuronali non si giustifica. Ormai, a che pro parlare di ‘Spirito’? Ci sono soltanto due ‘aspetti’ di un solo e iden- tico evento che si potranno descrivere con termini presi a prestito sia dal linguaggio dello psicologo (o dell’introspezione) sia da quel- lo del neurobiologo». 23 Attualmente, lo straordinario sviluppo delle

neuroscienze procede verso innovative frontiere di evidenza esplica- tiva nei confronti del sostrato biologico della nostra essenza menta- le. «Il punto», come rivelano Kandel e altri importanti membri della comunità neuroscientifica contemporanea, «non è più stabilire se,