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Cessione volontaria. Sulle vicende inerenti alla

I BENI CAPITOLO VI

4. Cessione volontaria. Sulle vicende inerenti alla

disposizione pattizia del trasferimento del diritto inciso dal procedimento ablativo, in tema di determinazione del prezzo della cessione volontaria del bene Sez. 1, n. 13517/2015, Sambito, Rv. 635683 ha affermato – ribadendo un indirizzo espresso, tra le altre, da Sez. 1, n. 19656/2006, Napoleoni, Rv. 592135 –, che qualora detta determinazione del prezzo faccia riferimento al criterio dell’“acconto salvo conguaglio”, secondo i parametri indennitari provvisori di cui alla l. 29 luglio 1980, n. 385 (Norme provvisorie sulla indennità di espropriazione di aree edificabili nonché modificazioni di termini previsti dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 5 agosto 1978, n. 457 e 15 febbraio 1980, n. 25), già dichiarati costituzionalmente illegittimi al momento della stipulazione della cessione per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983, la pattuizione sul prezzo viene determinata in relazione al criterio legale di quantificazione dell’indennità, ma il termine decennale di prescrizione del diritto del cedente a conseguire il conguaglio inizia a decorrere, in ragione dell’immediata azionabilità di tale diritto, dal giorno stesso del contratto di cessione volontaria.

Del pari, in tema di interessi sul conguaglio, Sez. 1, n. 24549/2015, Campanile, in corso di massimazione, ha ribadito il principio, già affermato da Sez. 1, n. 19935/2011, Schirò, Rv. 619017, secondo cui in tema di cessione volontaria del bene soggetto ad espropriazione ai sensi dell’art. 12 legge n. 865 del 1971, con determinazione del prezzo salvo conguaglio ai sensi dell’art. 1 l. n. 385 del 1980, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 223 del 1983 dalla Corte costituzionale, gli interessi sul conguaglio sono dovuti a decorrere da detta sentenza poiché «il maggiore importo da riconoscersi al cedente nasce da un diritto che prende il posto del conguaglio a suo tempo pattuito, il cui pagamento era stato

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convenzionalmente differito all’emanazione della nuova normativa: tale concordata dilazione comporta che tale credito relativo al conguaglio insorge al momento del verificarsi della sostituzione della normativa illegittima con quella applicabile (…), e ciò è avvenuto con la pubblicazione della citata pronuncia di incostituzionalità, onde detto momento segna il dies a quo del decorso degli interessi con riguardo al prezzo della compravendita».

In fattispecie di espropriazione di area ricompresa in un piano di edilizia residenziale pubblica, conclusasi con la cessione volontaria del bene ex art. 12 della l. n. 865 del 1971, Sez. 1, n. 17786/2015, Sambito, Rv. 636852 ha affermato che «obbligato al pagamento del conguaglio del prezzo è il comune espropriante, beneficiario dell’area medesima, con conseguente sua legittimazione passiva nel giudizio riguardante la quantificazione della stessa, atteso che la indicata cessione, pur qualificabile come contratto cosiddetto ad oggetto pubblico, presupponendo l’esistenza della procedura espropriativa che automaticamente conclude, è, per il resto, sottoposta alla disciplina propria del contratto, caratterizzata dall’incontro di volontà dei contraenti su di un piano paritetico. Alla vicenda contrattuale devono, pertanto, ritenersi totalmente estranei gli assegnatari degli alloggi, ancorché debitori finali».

Identico principio è stato espresso, sempre in fattispecie di cessione volontaria di terreno con indennità soggetta a conguaglio nell’ambito di espropriazione preordinata alla realizzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, anche dalla già citata Sez. 1, n. 24549/2015, Campanile, in corso di massimazione, con riferimento all’intervenuta delega da parte del comune ad altro soggetto, ex art. 60 della l. n. 865 del 1971, per l’acquisizione delle aree ablate.

5. Le espropriazioni “indirette”. A) L’accessione invertita al vaglio delle Sezioni Unite. La rassegna delle decisioni

rese dalla Corte nel corso del 2015 sul tema dell’occupazione sine titulo – tema complesso e risalente, sul quale sono intervenute, come è ben noto, pronunce dei massimi organi giurisdizionali sia nazionali che sovranazionali – non può che prendere le mosse da Sez. U, n. 00735/2015, Di Amato, Rv. 634017-634018, così massimata: «In materia di espropriazione per pubblica utilità, la necessità di interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “buona e debita forma”, comporta che l’illecito spossessamento del privato da parte della P.A. e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’amministrazione, sicché il

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privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente».

«L’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente».

La pronuncia giunge all’esito di un complesso percorso di rivisitazione della giurisprudenza della Corte sull’istituto della occupazione cd. acquisitiva (o espropriativa o appropriativa) – risalente, nella prima compiuta formulazione, a Sez. U, n. 01464/1983, Bile, Rv. 426292 – e dà puntuale conto delle censure mosse all’istituto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per contrasto con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione con plurime e note pronunce (tra le tante, Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 marzo 2007, Scordino c. Italia ) per escludere – conformemente ai precedenti di cui a Sez. 1, n. 01804/2013, Lamorgese, Rv. 625023 («Alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha disapprovato l’istituto della cd. accessione invertita, nonché dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 (che ha introdotto un procedimento espropriativo semplificato), in tutti i casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia mancante o carente dei termini o sia annullata o il decreto di esproprio non sia emesso o sia annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’amministrazione si configurano come un illecito di diritto comune, ovvero come comportamento “mero”, insuscettibile di determinare il trasferimento della proprietà in suo favore») ed a Sez. 2, n. 00705/2013, Giusti, Rv. 624971 (sulla qualificazione come azione di rivendicazione della domanda con cui l’attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto) – la possibilità di sopravvivenza dell’istituto dell’occupazione acquisitiva

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nell’ordinamento italiano e negare, attraverso la rilettura dell’art. 55 del d.P.R. n. 327 del 2001 (norma transitoria disciplinante il risarcimento dei danni per il caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità in assenza di un valido ed efficace provvedimento di espropio), la valenza sistematica della distinzione tra occupazione cd. acquisitiva e occupazione cd. usurpativa. Concludono infatti le Sezioni Unite nel senso che «alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all’amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni. In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell’illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la cd. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. A tale ultimo riguardo, (…) si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell’immobile rimasto nella sua titolarità. Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l’opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato (…); tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’amministrazione. (…) La cessazione dell’illecito può aversi, infine, per effetto di un provvedimento di acquisizione reso dall’amministrazione, ai sensi dell’art. 42 bis del t.u. di cui al d.P.R. n. 327 del 2001, (…)».

5.1. (Segue). B) Occupazione illecita e danno. La

sentenza testé commentata ha avuto immediate ricadute. Così, in tema di occupazione di urgenza e connesse pretese risarcitorie per illecito spossessamento del privato da parte della pubblica amministrazione, Sez. 1, n. 04476/2015, Campanile, Rv. 634528 ha affermato – relativamente alla questione della decorrenza del termine prescrizionale quinquennale per l’esercizio dell’azione risarcitoria a seguito di occupazione cd. acquisitiva – che «in conformità alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la natura permanente dell’illecito spossessamento del privato da parte della P.A.

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sussiste anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, con conseguente diritto del privato di chiedere la restituzione del bene, salvo che non opti per la reintegrazione in forma specifica; in tal caso la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data della domanda». La pronuncia si pone dunque nel solco interpretativo della citata Sez. U, n. 735 del 2015 e dà continuità alla rimeditazione della questione operata da Sez. 1, n. 08965/2014, Piccininni, Rv. 631075, nel senso che non è sufficiente la mera consapevolezza dell’occupazione o comunque della manipolazione senza titolo dell’immobile, occorrendo che il danneggiato si trovi nella possibilità di apprezzare la gravità delle conseguenze lesive per il suo diritto dominicale anche con riferimento alla loro rilevanza giuridica e, quindi, in particolare, al verificarsi dell’effetto estintivo-acquisitivo definitivo perseguito dall’amministrazione espropriante. L’onere di provare tale presupposto richiesto dall’art. 2947 c.c. grava sull’amministrazione e, in mancanza di prova, si deve ritenere, in adesione all’indirizzo della Corte europea dei diritti dell’uomo, che detto momento coincida con quello della citazione introduttiva del giudizio nel quale il proprietario richieda il controvalore dell’immobile (con i relativi accessori), incompatibile con il perdurare del suo diritto dominicale su di esso.

Ancora nel solco di Sez. U, n. 735 del 2015 cit., Sez. 1, n. 07137/2015, Di Amato, Rv. 634947 ha affermato che «nel giudizio di risarcimento del danno derivante dalla occupazione e trasformazione irreversibile di un fondo senza titolo, la qualificazione in primo grado della domanda risarcitoria come di accessione invertita (o occupazione cd. acquisitiva) non esclude l’ammissibilità di una riqualificazione della stessa in occupazione usurpativa da parte dell’attore in sede di appello, atteso che la presenza o meno della dichiarazione di pubblica utilità non è in grado di differenziare le due forme di illecito, entrambe a carattere permanente ed improduttive di effetti giuridici, poiché non comporta l’acquisizione del bene occupato alla mano pubblica, né incide sulla causa petendi giuridicamente significativa, rappresentata in entrambi i casi dalla occupazione illegittima». La pronuncia dà atto del contrasto evidenziatosi in seno alla Corte circa la novità o meno della domanda con la quale si alleghi una ipotesi di occupazione cd. acquisitiva – si richiama, in senso affermativo, Sez. 1, n. 13515/2014, Benini, Rv. 631518 e, in senso negativo, Sez. 1, n. 16750/2010, Bernabai, Rv. 614064 –, ma chiarisce che tale tematica è rimasta del tutto superata dopo la sentenza 19 gennaio 2015, n. 735, cit., «con la quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno dissolto ogni differenza pratica tra le due forme di illecito, considerate entrambe a carattere permanente ed improduttive, anche nel caso della presenza di una valida

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dichiarazione di pubblica utilità, dell’acquisizione del bene occupato alla mano pubblica», sicché è venuta meno la rilevanza del connotato distintivo tra le due azioni, come in passato configurate dalla giurisprudenza.

Un richiamo alla sentenza n. 735 del 2015 è contenuto anche in Sez. 1, n. 06024/2015, Lamorgese, Rv. 635180, in tema di costituzione di servitù di elettrodotto, secondo cui «il decreto di autorizzazione provvisoria previsto per la costruzione di elettrodotti dall’art. 113 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, richiamato dall’art. 9, decimo comma, del d.P.R. 18 marzo 1965, n. 342, determina il sorgere in capo all’ENEL di una servitù coattiva di natura temporanea, la quale è destinata a venire meno in assenza di autorizzazione definitiva emessa ai sensi degli artt. 108 e 109 del menzionato r.d. n. 1775 del 1933, che ha anche efficacia di dichiarazione di pubblica utilità. Pertanto, in difetto di autorizzazione definitiva alla realizzazione dell’elettrodotto da parte dell’autorità competente, la collocazione degli impianti, sebbene provvisoriamente autorizzata, si traduce in un’attività materiale lesiva del diritto dominicale avente i connotati dell’illecito permanente, con la conseguenza che il privato può chiedere la rimozione dell’elettrodotto e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento del danno». Puntualizza poi la sentenza che, analogamente, deve escludersi che, in mancanza di autorizzazione dell’autorità competente e di un valido provvedimento di asservimento (in presenza di autorizzazione e dichiarazione di pubblica utilità), possa configurarsi il sorgere di una servitù secondo lo schema dell’occupazione acquisitiva, non solo perché detto istituto è stato espunto dall’ordinamento a seguito della citata sentenza n. 735 del 2015, ma perché esso non si applicava all’acquisto di diritti reali su cosa altrui.

Sulla determinazione del risarcimento del danno da occupazione cd. usurpativa, Sez. 2, n. 11041/2015, Bianchini, Rv. 635645 – in continuità con l’indirizzo espresso da Sez. 1, n. 13585/2006, Benini, Rv. 590689 – ha affermato che «in caso di occupazione usurpativa, il debito risarcitorio connesso alla perdita della proprietà del bene va commisurato al suo valore di stima al momento in cui, a seguito della irreversibile trasformazione del fondo, si è verificato il fatto illecito e il proprietario ha subito il danno, mentre non assume alcuna rilevanza il momento in cui il proprietario, optando per la tutela risarcitoria, abbia implicitamente rinunciato alla proprietà».

D’altro canto, in ordine al peculiare profilo della delega del compimento delle operazioni espropriative e dei connessi rapporti tra delegante e delegato in punto di responsabilità per il danno da illecita occupazione, Sez. 1, n. 18236/2015, Campanile, Rv. 636754, pronunciando su una fattipecie relativa alla realizzazione di opere

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stradali in conformità al decisum di Sez. 1, n. 21096/2007, Benini, Rv. 600663, ha affermato che «la delega da parte dell’ANAS del compimento delle operazioni espropriative non esime il delegante dai poteri di controllo e di stimolo dell’attività del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio vale a rendere l’ente stesso corresponsabile del danno da occupazione appropriativa, con la conseguenza che spetta al delegante l’onere di allegare e dimostrare di aver esercitato i propri poteri di controllo e di stimolo, esplicitandone i tempi e i modi, dovendosi peraltro presumere, in assenza di contrarie risultanze processuali, il mancato esercizio di tali poteri in caso di mancata tempestiva emissione del decreto di esproprio nel termine di durata dell’occupazione legittima, attesa l’applicabilità anche alle procedure inerenti l’acquisizione dei suoli necessari alla realizzazione di opere di viabilità dell’art. 2 della l. 7 febbraio 1961, n. 59 e dell’art. 8 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che impone all’ANAS il controllo sull’esecuzione dei lavori».

Al riguardo, la sentenza richiama innanzi tutto Sez. U, n. 24397/2007, Salvago, Rv. 600549, secondo cui nell’ipotesi della cd. occupazione appropriativa trova applicazione il principio per il quale dell’illecito risponde sempre e comunque l’ente che ha posto in essere le attività materiali di apprensione del bene e di esecuzione dell’opera pubblica, cui consegue il mutamento del regime di appartenenza del bene, potendo solo residuare, qualora lo stesso (come delegato, concessionario o appaltatore) curi la realizzazione di un’opera di pertinenza di altra amministrazione, la responsabilità concorrente di quest’ultima, da valutare sulla base della rilevanza causale delle singole condotte, a seconda che si tratti di concessione cd. traslativa, ovvero di delega ex art. 60 della l. 22 ottobre 1971, n. 865. In ogni caso, gli atti e le convenzioni intercorsi, anche se si concretano in assunzioni unilaterali di responsabilità, rilevano nei soli rapporti interni tra gli enti eventualmente corresponsabili, mentre dei danni causati nella materiale costruzione dell’opera pubblica risponde solo l’appaltatore-esecutore, in quanto gli stessi non sono collegabili né all’esecuzione del progetto, né a direttive specifiche dell’amministrazione concorrente, ma a propri comportamenti materiali in violazione del precetto generale dell’art. 2043 c.c. In secondo luogo, la pronuncia in commento esclude, sulla base dei principi affermati da Sez. U, n. 06769/2009, Salvago, Rv. 607788, che il carattere traslativo o meno della concessione abbia rilievo esclusivo ed osserva, in continuità con Sez. 1, n. 11849/2007, Benini, Rv. 597880, che in caso di irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio, il soggetto delegato al compimento dell’opera pubblica, pur se abbia ultimato i lavori entro il termine di scadenza dell’occupazione legittima, risponde del

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danno da occupazione appropriativa ove la delega fosse estesa al compimento delle procedure amministrative preordinate all’esproprio, poiché, anche se di fatto, nel rapporto con i soggetti proprietari dei terreni assoggettati a procedura ablatoria, non si sia manifestato come incaricato della conduzione del procedimento (come nel caso in cui risulti aver sempre agito in nome e per conto del delegante), l’onere di promuovere e sollecitare la tempestiva emissione del decreto di esproprio da parte del titolare del potere espropriativo rientra tra i compiti del delegato, che è dunque da ritenere compartecipe, attraverso la propria condotta omissiva, dell’illecito in cui si concreta la trasformazione del fondo in assenza di titolo, in applicazione del principio per cui chiunque abbia dato un contributo causale al danno ingiusto ne deve rispondere.

A tali consolidati principi in tema di collaborazione di più enti alla realizzazione dell’opera pubblica si è attenuta anche Sez. 1, n. 04614/2015, Campanile, Rv. 634925, soggiungendo – per l’ipotesi scrutinata di localizzazione delle aree in base a programma costruttivo di edilizia residenziale ai sensi dell’art. 51 della l. n. 865 del 1971 – che nel programma costruttivo di edilizia residenziale inerente alla localizzazione (programma non equiparabile al piano di zona, a cui è alternativo ed autonomo in quanto soggetto ad un procedimento semplificato ed accelerato d’’individuazione ed acquisizione delle aree destinate a iniziative di edilizia residenziale pubblica) l’art. 51 cit. impone che i termini stabiliti dall’art. 13 della l. n. 2359 del 1865 siano fissati nel provvedimento di adozione, o, al più tardi, in quello di assegnazione delle aree, dovendosi ritenere, in mancanza, l’illegittimità e, dunque, la natura usurpativa dell’occupazione.

Sempre in tema di occupazione acquisitiva, Sez. 1, n. 19082/2015, Giancola, Rv. 636678 ha affermato che «in caso di mancato tempestivo completamento della procedura espropriativa, tramite cessione volontaria o decreto ablativo, la riscossione dell’indennità provvisoria ex art. 23, comma 2, della l. n. 1 del 1978 (applicabile ratione temporis) non osta all’esperimento, da parte del privato, della ordinaria azione risarcitoria derivante dalla illecita occupazione acquisitiva del fondo, connessa alla irreversibile trasformazione di esso».

Infine, sui profili generali dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, Sez. 1, n. 21883/2015, Lamorgese, Rv. 637324 – pronunciando su complessa fattispecie relativa all’espropriazione di terreni finalizzata al trasferimento parziale dell’abitato di un comune interessato da frane, da attuarsi secondo le previsioni di un piano particolareggiato contemplante la costruzione di strade, parcheggi,

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rete idrica e fognaria, nonché di un’area per i servizi sociali (tra i quali una chiesa) – ha affermato che la valutazione dell’esistenza dell’irreversibile trasformazione va effettuata con riferimento agli immobili compresi nel piano urbanistico attuativo singolarmente