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Il godimento della cosa comune. In forza delle

I BENI CAPITOLO VI

2. Il godimento della cosa comune. In forza delle

disposizioni dedicate alla comunione ordinaria, ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso, secondo il loro diritto. Ai sensi dell’art. 1102, comma 2, c.c., il comunista non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri comunisti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. Ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune, ai sensi dell’art. 1104, comma 1, c.c. Con riferimento all’amministrazione della cosa comune, regolata dall’art. 1105 c.c.,

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tutti i partecipanti hanno diritto di concorrervi in via disgiuntiva. Le innovazioni dirette al miglioramento della cosa comune o a renderne più comodo o redditizio il godimento possono essere disposte con la maggioranza prescritta dall’art. 1108, comma 1, c.c., purché non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa. Infine, ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione, ai sensi dell’art. 1111 c.c.

In applicazione dei principi innanzi esposti in ordine all’uso della cosa comune, Sez. 2, n. 07466/2015, Nuzzo, Rv. 635044, ha puntualizzato che la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’art. 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione.

Sicché Sez. 2, n. 18661/2015, Petitti, Rv. 636433, ha ritenuto che il comproprietario di un cortile può porre nel sottosuolo tubature per lo scarico fognario e l’allacciamento del gas a vantaggio della propria unità immobiliare, trattandosi di un uso conforme all’art. 1102 c.c., in quanto non limita, né condiziona, l’analogo uso degli altri comunisti.

Di contro, Sez. 2, n. 04372/2015, Matera, Rv. 634683, ha osservato che l’uso della cosa comune, in quanto sottoposto dall’art. 1102 c.c. ai limiti consistenti nel divieto di ciascun partecipante di alterare la destinazione della stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non può estendersi all’occupazione di una parte del bene, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, all’usucapione della porzione attratta nella propria esclusiva disponibilità.

Pertanto, secondo Sez. 2, n. 04501/2015, D’Ascola, Rv. 634770, in tema di uso della cosa comune, è illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una

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servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini.

In ordine all’argomento relativo all’uso della cosa comune, Sez. 2, n. 14694/2015, Manna, Rv. 635902, ha sostenuto che l’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari può essere consentito per accordo fra i partecipanti solo se l’utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., rientri tra quelle cui è destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando l’utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri. Pertanto, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra più nell’ambito dell’uso frazionato consentito, ma nell’appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale è necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti, che - trattandosi di beni immobili - deve essere espresso in forma scritta ad substantiam.

D’altronde, in base all’orientamento di Sez. 2, n. 02423/2015, Scalisi, Rv. 634127, l’uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari, nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., non è idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l’occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non sia stato loro concesso.

Orbene, afferma l’arresto di Sez. 2, n. 04162/2015, Proto, Rv. 634416, i comproprietari che abbiano gestito insieme il bene comune, senza distinzioni di ruolo o ambiti diversi di attività, sono obbligati a rendere il conto al comproprietario non gestore e a restituirgli la sua quota di frutti in regime di solidarietà passiva, essendo unitaria sia la causa obligandi, sia la res debita.

Sotto il profilo dell’abuso del godimento da parte di un comunista e dei rimedi giudiziali attuabili, Sez. 2, n. 17072/2015, Falaschi, Rv. 636225, ha ammesso l’esperibilità della tutela possessoria ove il singolo condomino abbia alterato o violato, senza il consenso degli altri condomini, lo stato di fatto e la destinazione di una parte comune dell’edificio, sì da impedire o restringere il godimento spettante agli altri compossessori pro indiviso. Nella specie era stata eretta, sulla facciata del palazzo, una canna fumaria di dimensioni non trascurabili che, priva di qualsiasi collegamento dal

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punto di vista architettonico o funzionale con la parete esterna dell’edificio, costituiva un elemento di grave degrado e alterava notevolmente l’estetica del fabbricato.

In ordine all’estensione del diritto sulla cosa comune da parte di un partecipante in danno degli altri, fattispecie che esige il compimento di atti idonei a mutare il titolo del possesso, Sez. 2, n. 11903/2015, Abete, Rv. 635615, ha rilevato che, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva. In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente escluso l’avvenuto acquisto per usucapione, da parte di un condomino, della porzione del condotto di scarico della spazzatura adiacente al suo appartamento per non essersi palesata in forme inequivoche per gli altri condomini l’intenzione di possedere attesa l’impossibilità, per loro, di ispezionare il condotto a causa del blocco degli sportelli di accesso - presenti su tutti i ballatoi - dovuto a ragioni pratiche e di sicurezza.

In tema di innovazioni, Sez. 6-2, n. 05729/2015, Falaschi, Rv. 634993, ha escluso che l’attività di bonifica di un terreno compiuta da un comproprietario integri gli estremi di un atto innovativo, per il quale è necessaria la maggioranza qualificata ex art. 1108 c.c., trattandosi di opera di ordinaria amministrazione che non altera la destinazione economica del terreno ed è diretta al miglioramento ovvero a rendere più comodo o più redditizio il suo godimento, senza pregiudicare il diritto di godimento degli altri comproprietari.

Quanto all’aspetto della tutela giudiziale della comunione, Sez. 6-2, n. 01650/2015, Bianchini, Rv. 634034, ha divisato che ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l’intera cosa comune (e non una sua frazione), è legittimato ad agire o resistere in giudizio per la tutela della stessa

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nei confronti dei terzi o di un singolo condomino, anche senza il consenso degli altri partecipanti.

Quanto allo scioglimento della comunione, che - ai sensi dell’art. 1112 c.c. - non può essere chiesto quando si tratti di cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinate, Sez. 2, n. 07044/2015, Nuzzo, Rv. 634835, ha ritenuto che, per accertare la divisibilità di un’area comune destinata all’accesso a due fabbricati di diverso proprietario, il giudice deve tener conto della diminuzione del valore complessivo dell’area che sarebbe causata dalla divisione nonché degli effetti che essa produrrebbe sull’efficienza, funzionalità e comodità dell’accesso ai fabbricati.

Infine, Sez. 2, n. 16700/2015, Migliucci, Rv. 636398, ha rilevato che la prescrizione del diritto dei comunisti ai frutti dovuti loro dal comproprietario utilizzatore del bene comune decorre soltanto dal momento della divisione, cioè dal tempo in cui si è reso (o si sarebbe dovuto rendere) il conto, non essendo configurabile, con riguardo a tali crediti, un’inerzia del creditore alla quale possa riconnettersi un effetto estintivo, giacché è appunto dalla divisione che traggono origine l’obbligo del rendimento del conto, con decorrenza dal momento in cui è sorta la comunione, e l’esigenza dell’imputazione alla quota di ciascun comunista delle somme di cui è debitore verso i condividenti.