I BENI CAPITOLO VI
5. Le parti comuni nel condominio di edifici. In tema di
condominio, l’art. 1117 c.c. individua specifici beni di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio. Tale elenco non è né tassativo né omogeneo. Infatti, il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza dell’edificio stesso ovvero nel fatto che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. Pertanto, accanto ai beni necessariamente o strutturalmente condominiali si collocano i beni solo funzionalmente ed occasionalmente condominiali. La presunzione di comproprietà si riferisce esclusivamente ai beni la cui destinazione al servizio collettivo non si ponga in termini di assoluta necessità. Solo in questi casi la loro qualificazione in termini di beni comuni può essere derogata da un titolo da cui risulti il contrario. Per converso, il diritto sulle parti comuni necessarie o strutturali non può essere oggetto di abdicazione, ai sensi dell’art. 1118 c.c.
In applicazione di questi principi, Sez. 2, n. 01680/2015, Manna, Rv. 634966, ha chiarito che l’art. 1117 c.c. contiene un’elencazione solo esemplificativa e non tassativa dei beni che si presumono comuni, poiché sono tali anche quelli aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune, salvo che risulti diversamente dal titolo, mentre, al contrario, tale presunzione non opera con riguardo a beni che, per le proprie caratteristiche strutturali, devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.
Nello stesso senso, Sez. 2, n. 18344/2015, Parziale, Rv. 637193, ha ritenuto che, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell’edificio, elencate in via esemplificativa dall’art. 1117 c.c., alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso, la condominialità di un seminterrato non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni sovrastanti siano realizzate, anziché come porzioni di piano l’una sull’altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall’art. 1117.
Al contempo, Sez. 2, n. 04372/2015, Matera, Rv. 634682, ha affermato che negli edifici in condominio le scale con i relativi
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pianerottoli, che insistevano, nella specie, su un ballatoio e servivano da accesso al lastrico solare comune, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, tra le parti che devono presumersi comuni, in forza dell’art. 1117, n. 1, c.c., a nulla rilevando che le suddette opere siano state materialmente realizzate da uno solo degli originari comproprietari, valendo tale circostanza solo a giustificare la pretesa dello stesso a vedersi riconoscere dagli altri condomini un contributo per le spese di installazione e manutenzione dei manufatti, e non quale titolo idoneo ad attribuirne la proprietà esclusiva al loro autore.
Per converso, secondo Sez. 2, n. 11444/2015, Abete, Rv. 635508, il giardino adiacente l’edificio condominiale, se non è occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali, né destinato al servizio delle unità che vi si affacciano, non costituisce il “suolo su cui sorge l’edificio”, né, rispettivamente, un “cortile”, sicché la sua natura comune non può essere presunta a norma dell’art. 1117, n. 1, c.c., ma deve risultare da un apposito titolo.
Con riferimento alla verifica della natura condominiale di determinati beni, Sez. 2, n. 05895/2015, Proto, Rv. 634945, ha rilevato che, in ipotesi di controversia tra due soggetti che si affermano titolari di un locale adibito a cantina posto nel sottosuolo del fabbricato, ottenuto abusivamente da uno di essi nell’area sottostante al suo appartamento mediante svuotamento di volume ed asportazione di terreno, deve gradatamente accertarsi innanzitutto se la proprietà di tale locale sia attribuita dal titolo, ovvero sia altrimenti da riconoscersi acquisita per usucapione, o, infine, se esso, per la sua struttura, debba considerarsi non tra le parti comuni dell’edificio di cui all’art. 1117 c.c., quanto, piuttosto, destinato ad uso esclusivo, potendosi, del resto, estendere la disciplina prevista dagli artt. 840 e 934 c.c. anche ai vani sottostanti al pianterreno dell’edificio condominiale, sempre che dal titolo non risulti il contrario.
Peraltro, Sez. 2, n. 15929/2015, Falaschi, Rv. 636022, ha chiarito che, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c., non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da
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accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova.
Così, in base all’arresto di Sez. 2, n. 04501/2015, D’Ascola, Rv. 634771, la natura condominiale del lastrico solare, affermata dall’art. 1117 c.c., può essere esclusa soltanto da uno specifico titolo in forma scritta, essendo irrilevante che il singolo condomino non abbia accesso diretto al lastrico, se questo riveste, anche a beneficio dell’unità immobiliare di quel condomino, la naturale funzione di copertura del fabbricato comune.
Sul punto, Sez. 2, n. 16915/2015, Falaschi, Rv. 636163, ha puntualizzato che, al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell’ambito dei beni comuni (nella specie, portico e cortile) risulti riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni.
Ne consegue, come affermato da Sez. 2, n. 01680/2015, Manna, Rv. 634967, che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni, è nulla, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti, vietata dal capoverso dell’art. 1118 c.c.
Nello stesso senso, in base a Sez. 2, n. 18344/2015, Parziale, Rv. 637194, la rinuncia di un condomino al diritto sulle cose comuni è vietata, ai sensi dell’art. 1118 c.c., in caso di condominialità “necessaria” o “strutturale”, per l’incorporazione fisica tra cose comuni e porzioni esclusive ovvero per l’indivisibilità del legame attesa l’essenzialità dei beni condominiali per l’esistenza delle proprietà esclusive, non anche nelle ipotesi (nella specie, un locale seminterrato) di condominialità solo “funzionale” all’uso e al godimento delle singole unità, che possono essere cedute anche separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni.
Infine, Sez. 2, n. 06923/2015, Migliucci, Rv. 634983, sempre in tema di condominio degli edifici, ha prospettato il seguente precetto: la disciplina sulle distanze di cui all’art. 889 c.c. non si applica in caso di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto
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liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 c.c.) e l’insorgere del condominio e, dall’altro lato, la costituzione, in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia. Il principio è stato enunciato con riferimento all’apertura di vedute - relative ad un edificio originariamente oggetto di proprietà esclusiva di una cooperativa - compiuta prima dell’alienazione delle singole unità immobiliari, evenienza ritenuta idonea ad integrare la condizione, rilevante ai sensi dell’art. 1062 c.c., della sussistenza di un’opera di asservimento, visibile e permanente, al momento dell’alienazione dei fondi da parte dell’unico originario proprietario.