LE OBBLIGAZIONI E I CONTRATTI CAPITOLO IX
7. Forma. Di sicuro interesse, per la frequente ricorrenza
della fattispecie, è Sez. U, n. 18214/2015, Travaglino, Rv. 636227, relativa al contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta ex art. 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 431. Un simile contratto, afferma la pronuncia citata, è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, attesa la ratio pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale; fa eccezione l’ipotesi prevista dal successivo art. 13, comma 5, in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore. In concreto, precisa la medesima sentenza, l’abuso deve ritenersi realizzato ove “il locatore ponga in essere una inaccettabile pressione (una sorta di violenza morale) sul conduttore al fine di costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale, mentre, nel caso in cui tale forma sia stata concordata liberamente tra le parti (o addirittura voluta dal conduttore), torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità”.
In materia di comunione, Sez. 2, n. 14694/2015, Manna, Rv. 635902, ha ribadito che l’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari può essere consentito per accordo fra i partecipanti solo se l’utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., rientri tra quelle cui è destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando l’utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri. Pertanto, sottolinea la detta pronuncia, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra più nell’ambito dell’uso frazionato consentito, ma nell’appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale è necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti che, trattandosi di beni immobili, deve essere espresso in forma scritta ad substantiam.
Con riferimento ai contratti ultranovennali di affitto di fondi rustici a coltivatore diretto, interessante è la precisazione di Sez. 3, n. 10136/2015, Cirillo, Rv. 635455, circa la portata dell’art. 41 della
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legge 3 maggio 1982, n. 203, il quale stabilisce la validità ed efficacia anche nei confronti dei terzi di tali contratti, pur se stipulati in forma verbale e non trascritti: si tratta, osserva la citata pronuncia, di una deroga alla disciplina di cui agli artt. 1350, n. 8), e 2643, n. 8), c.c., secondo cui tutti i contratti di locazione immobiliare ultranovennali (e quindi anche quelli agrari) debbono farsi a pena di nullità per atto pubblico o scrittura privata, ma non agli artt. 2923 c.c. e 560 c.p.c., sicchè, in caso di pignoramento del bene oggetto del rapporto agrario, il contratto ultranovennale è opponibile all’aggiudicatario d’asta solo se recante data certa anteriore al pignoramento e, se non trascritto, solo nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione.
Nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita immobiliare per persona da nominare, Sez. 2, n. 15944/2015, Picaroni, Rv. 636202, ha ritenuto soddisfatto il requisito della forma scritta della dichiarazione di nomina ex art. 1402 c.c. ove la electio amici sia avvenuta in sede di assemblea dei soci di una società cooperativa, quale promittente venditrice, con verbalizzazione e sottoscrizione da parte del socio assegnatario, promissario acquirente, nonché del terzo nominato.
Anche la risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l’estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam, al pari del contratto risolutorio di un definitivo, rientrante nell’espressa previsione dell’art. 1350 c.c., in quanto, come osservato da Sez. 2, n. 13290/2015, Nuzzo, Rv. 635893, la ragione giustificativa dell’assoggettamento del preliminare alla forma ex art. 1351 c.c. – da ravvisare nell’incidenza che esso spiega su diritti reali immobiliari, sia pure in via mediata, tramite l’assunzione di obbligazioni – si pone in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare stesso.
Da notare invece che, come ritenuto da Sez. 6-5, n. 21764/2015, Caracciolo, Rv. 636996, la semplice modifica della clausole di un contratto per il quale la forma scritta è richiesta solo ad probationem e non ad substantiam (nella specie, si trattava di un contratto di affitto di azienda stipulato in forma pubblica ex art. 2556 c.c.), così come la risoluzione consensuale, non deve essere pattuita necessariamente con un accordo esplicito dei contraenti, potendo risultare anche da un comportamento tacito concludente.
Sui limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, si è espressa Sez. 1, n. 03336/2015, Didone, Rv. 634413”, sottolineando che tali
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limiti, così come quelli di valore previsti dall’art. 2721 c.c.. per la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo, qual è il curatore che agisce in revocatoria fallimentare. In applicazione di tale principio la Corte ha quindi ritenuto ammissibile la prova per presunzioni dell’accordo, intervenuto tra il fallito ed il convenuto nel giudizio di revocatoria, diretto a porre in essere una situazione di coesistenza di reciproci debiti allo scopo di ottenerne l’estinzione per compensazione in danno degli altri creditori.
Quale coerente applicazione di tale assunto, Sez. 2, n. 05165/2015, Migliucci, Rv. 634706, ha ritenuto l’inammissibilità della prova testimoniale (salvo che per dimostrare la perdita incolpevole del documento) e di quella per presunzioni, in relazione ad una contraversia instaurata per accertare l’esistenza di un rapporto di agenzia tra le parti ed ottenere il pagamento dei relativi compensi provvisionali: il contratto di agenzia, infatti, deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 1742, comma 2, c.c., come modificato dal d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, sicché la prova della sua esistenza non può rivacarsi, come nella specie asserito, neppure dai documenti comprovanti l’effettuazione delle prestazioni riconducibili al rapporto.
Va tuttavia ricordato che, in mancanza di espressa previsione normativa della forma scritta, vige nel nostro ordinamento il principio generale di libertà di forma, in applicazione del quale Sez. L, n. 04176/2015, Nobile, Rv. 634576, ha ritenuto valido l’accordo aziendale anche se non stipulato per iscritto, affermando conseguentemente che non è necessaria la forma scritta neppure per la ratifica di un accordo aziendale stipulato da falsus procurator, ossia da organizzazione aziendale priva di rappresentanza, e che, pertanto, la ratifica potrebbe intervenire anche per facta concludentia.
Con riferimento, infine, ai contratti stipulati con la P.A., Sez. 1, n. 05263/2015, Nappi, Rv. 634726, ha ricordato che gli stessi devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta con la sottoscrizione di un unico documento, salva la deroga prevista dall’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, per i contratti con le imprese commerciali, che possono essere conclusi attraverso atti non contestuali, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio”. Anche in quest’ultimo caso, precisa la sentenza citata,
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non è comunque sufficiente che da atti scritti risultino comportamenti attuativi di un accordo solo verbale e, pertanto, le fatture prodotte in giudizio dalla P.A. convenuta non possono rappresentare la forma scritta dell’accordo e non sono neppure suscettibili di rappresentare un comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dall’atto negoziale non esibito.
Su tale argomento è intervenuta anche Sez. 1, n. 12316/2015, Valitutti, Rv. 635756, la quale ha puntualizzato che i menzionati contratti stipulati dalla P.A. a trattativa privata ai sensi dell’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, pur richiedendo in ogni caso la forma scritta ad substantiam, possono anche non risultare da un unico documento, ove siano stipulati secondo l’uso del commercio e riguardino ditte commerciali. Peraltro, la medesima pronuncia ribadisce che, ai fini del perfezionamento del contratto, occorre in ogni caso lo scambio di proposta e accettazione, non potendo ritenersi sufficiente che la forma scritta investa la sola dichiarazione negoziale della Amministrazione, né che la conclusione del contratto avvenga per facta concludentia, con l’inizio dell’esecuzione della prestazione da parte del privato attraverso l’invio della merce e delle fatture, secondo il modello dell’ accettazione tacita previsto dall’art. 1327 c.c.
Il requisito della forma scritta ad substantiam per i contratti della P.A. si atteggia, però, in modo peculiare nel contratto di patrocinio legale, in quanto, come chiarito da Sez. 6-3, n. 03721/2015, Amendola, Rv. 634430, in tale ipotesi il predetto requisito è soddisfatto mediante il rilascio al difensore, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., con atto pubblico o scrittura privata autenticata, di una procura generale alle liti purché in essa sia puntualmente fissato l’ambito delle controversie per le quali opera.
8. Preliminare del preliminare, preliminare ed esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre. Merita
in primo luogo risalto Sez. U, n. 04628/2015, D’Ascola, Rv. 634761, la quale, rivisitando un precedente orientamento espresso dalla stesse Sezioni Unite (con sentenza n. 8038 del 2009), ha affermato che la stipulazione di un contratto “preliminare di preliminare”, ossia di un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l’esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento) è valido ed efficace, e dunque non è nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un
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interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.
La medesima pronuncia ha precisato, altresì, che la violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale.
La nozione di “causa concreta” è stata la chiave di lettura utilizzata dalle Sezioni Unite nella citata sentenza per riconsiderare gli approdi schematici ai quali erano pervenute in passato dottrina e giurisprudenza (quest’ultima definendo il “preliminare del preliminare” come “una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela”): tale via interpretativa ha, infatti, condotto le Sezioni Unite ad osservare che dietro la stipulazione contenente la denominazione di “preliminare del preliminare” vi possono essere situazioni fra loro differenti, che delineano sia figure contrattuali atipiche, ma alle quali corrisponde una “causa concreta” meritevole di tutela, sia stadi prenegoziali molto avanzati, cui corrisponde un vincolo obbligatorio di carattere ancora prenegoziale che vede intensificato e meglio praticato l’obbligo di buona fede di cui all’art. 1337 c.c.
In tema di contratto preliminare di vendita, Sez. 2, n. 04164/2015, Matera, Rv. 634464, ha opportunamente precisato che il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell’altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l’acquisto del promissario direttamente dall’effettivo proprietario. La medesima sentenza ha sviluppato tale principio affermando che il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all’atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela.
Affrontando il particolare caso di un contratto preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa, Sez. 6-2, n. 01866/2015, D’Ascola, Rv. 635010, ha ritenuto che, qualora uno dei promittenti venditori sia stato dichiarato fallito anteriormente alla
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stipula del preliminare, la relativa dichiarazione di volontà è invalida, sicché va escluso che l’accordo si sia concluso, ovvero che il promissario acquirente possa agire ex art. 2932 c.c. nei confronti dei restanti promittenti, in quanto, in mancanza di prova contraria, le singole manifestazioni di volontà dei contraenti non hanno specifica autonomia perché destinate a fondersi in un’unica dichiarazione negoziale sul presupposto che il bene costituisca un “unicum” inscindibile.
Qualora invece si versi in una ipotesi di preliminare di vendita nel quale il promissario acquirente si sia riservato la facoltà di nominare un terzo fino al tempo del rogito ma la electio amici non sia intervenuta prima di tale momento, Sez. 2, n. 04169/2015, Parziale, Rv. 634705, ha ritenuto che lo stesso promissario possa agire per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto effettuando la nomina al più tardi in seno alla domanda giudiziale, risultando invece tardiva la nomina intervenuta in corso di giudizio, con conseguente consolidamento degli effetti del contratto in capo all’originario contraente.
Interessante è anche la puntualizzazione di Sez. 2, n. 21855/2015, Nuzzo, Rv. 636876, in merito alla dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia a norma dell’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la quale, avendo natura negoziale, deve essere fatta dalla parte, sicché la sentenza ex art. 2932 c.c. non può essere pronunciata in base a una dichiarazione del difensore del promissario acquirente.
È stato infine evidenziato da Sez. 6-3, n. 08607/2015, Carluccio, Rv. 635149, con specifico riferimento al preliminare di locazione, che la sentenza ex art. 2932 c.c.. non ha efficacia retroattiva e vale solo per il futuro, sicché è inidonea ad assicurare tutela al promittente locatore per il periodo pregresso relativamente ai canoni non percepiti, i quali possono, invece, essere ottenuti tramite le domande di risarcimento del danno o indennità d’occupazione. A fronte di tale principio, e dunque in considerazione della non idoneità della norma invocata ad assicurare il bene della vita chiesto dall’attore, è stata rigettata l’azione ex art. 2932 c.c. promossa con riferimento ad un preliminare di locazione a termine, avente scadenza anteriore alla data dell’eventuale sentenza, finalizzata ad ottenere il pagamento di tutti i canoni pregressi.