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Ciclo di protesta della fine degli anni Sessanta e prima emergenza terroristica

4 petrolio nel 1973, nel secondo

A. Ciclo di protesta della fine degli anni Sessanta e prima emergenza terroristica

La comparsa della violenza politica in Italia va dunque analizzata nell'ambito del ciclo di protesta che emerse alla fine degli anni Sessanta. Alcuni risultati di uno studio

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sulle caratteristiche e le dinamiche del ciclo sono già stati utilizzati per verificare alcune ipotesi sullo

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sviluppo della violenza nell'evolversi della protesta Riprenderemo qui le principali conclusioni di questa analisi.

Il risultato più rilevante è che la curva della violenza non è in nessun modo isomorfica a quella della protesta: essa crebbe dopo, si sviluppò prevalentemente nel corso di azioni di protesta condotte da gruppi di piccole dimensioni e non fu uno degli aspetti principali della fase intensa del ciclo. Le prime fasi della protesta furono pacifiche. La violenza fu in questa fase episodica, risultato di interventi maldestri della polizia durante manifestazioni di massa o di occasionali degenerazioni di repertori d'azione nuovi e- talvolta dirompenti. Le organizzazioni tradizionali .furono all'inizio in qualche modo marginali alla protesta, che si allargava nel frattempo a nuovi settori della popolazione.

All'inizio degli anni Settanta, mentre nuovi temi venivano portati sulla scena politica, si ebbe un contemporaneo aumento del numero degli attori sociali e di quello delle organizzazioni politiche. Un tipo diverso di violenza cominciò allora ad emergere come conseguenza della competizione tra gruppi politici nello stesso movimento o di movimenti concorrenti. Furono principalmente la violenza di piccolo gruppo e le forme più estreme di violenza, che crebbero in peso percentuale durante tutto il periodo. Queste forme di violenza di piccolo gruppo erano, tuttavia, ancora in quel periodo tuttavia equilibrate dalla presenza

di più ampie azioni di massa. Esse aumentarono di numero, invece, man mano che le azioni di massa si riducevano in entità e divenivano meno spontanee.

La fine del ciclo alto della mobilitazione accentuò il contrasto tra quegli attori politici che nel corso della protesta avevano visto crescere le loro possibilità di accesso a risorse istituzionali e quelli che invece erano rimasti esclusi. La quantità di risorse disponibili per le organizzazioni del movimento si riduceva, producendo un accentuazione della competizione tra organizzazioni differenti all'interno dello stesso movimento. La violenza non fu infatti un aspetto principale del conflitto • industriale, né di quello nel settore dell'educazione o dei

servizi. Essa non si sviluppò nel corso di proteste orientate su specifiche richieste, ma piuttosto in forme d'azione ad alto contenuto simbolico. Inoltre, la violenza fu maggiore nei casi in cui gruppi organizzati con forti componenti ideologiche erano coinvolti nell'organizzazione della protesta, crescendo nelle interazioni con la polizia e nei conflitti con i gruppi di estrema destra.

Così, alla fine della prima metà del decennio, mentre gli attori tradizionali riuscivano ad assumere un sempre maggiore controllo, altre organizzazione reagivano ad una minore disponibilità di risorse istituzionali accentuando l'uso di incentivi simbolici, insiti nella stessa radicalizzazione delle azioni e delle ideologie. Da un lato, cambiò l'atteggiamento di alcuni attori istituzionali rispetto alla protesta. Se nei primi anni del ciclo sia il Pei che i sindacati erano stati in qualche modo canali di intermediazione delle domande emergenti, la situazione iniziò a mutare già alla fine della prima metà del decennio. La crisi del petrolio e la politica di austerity costrinsero - a partire dal 1974 - il sindacato in posizione

difensiva, producendo delusioni tra i militanti più attivi. Le forme d'azione violenta, che in passato erano state tollerate dal sindacato come strumento per rafforzare l'identità collettiva e come momento di pressione, cominciarono ad essere duramente stigmatizzate. La strategia delle riforme, adottata nel tentativo di riguadagnare l'iniziativa perduta nelle singole fabbriche contemporaneamente avviò un processo di riaccentramento

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nella gestione dell'azione sindacale . Fu, inoltre, proprio tra la fine del 1973 e l'inizio del 1974 che la politica di unità delle sinistre propugnata dal Pei contro i governi di centro-destra, venne sostituita dalla proposta dell'unità delle forze popolari cattoliche e socialiste.

Questo isolamento accrebbe, dall'altro lato, la propensione dei gruppi radicali ad adottare forme d'azione violenta mentre altre organizzazioni del movimento tesero invece a radicalizzarè le loro domande. La ' maggiore violenza delle forme d'azione assolveva allora a funzioni simboliche. Innescando una serie di interazioni violente con le forze dell'ordine, essa aiutò a rafforzare il senso di solidarietà collettiva, aumentando al contempo i costi di uscita.

Nella fase bassa del ciclo di lotta, molti quadri reclutati nei periodi di maggiore conflittualità divennero eccedenti rispetto ai bisogni di gestione delle conquiste ottenute. Mentre alcuni dei militanti si allontanavano dall'attività politica, altri intensificarono la propria partecipazione, in alcuni casi divenendo dei professionisti della politica in altri accentuando il coinvolgimento

volontario. "Quello che succede in Italia verso il 1972 e il 1973 - ha scritto Fizzorno - è una fermata brusca della conflittualità e della militanza di classe ...; dagli inquadramenti di partito e di sindacato escono di colpo molti individui che si trovano a possedere solo una esperienza di lotta di classe; la maggior parte restano frustrati, altri hanno processi psicologici di disperazione, altri, respinti dal sindacato e dal partito - continuano la militanza rifugiandosi nel movimento ... E' la frenata brusca data alla fase della conflittualità quella che provoca questa continuazione di corsa, senza più possibilità

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di controllo" . Deluse dai risultati delle forme legali del comportamento collettivo - soprattutto se valutati nel confronto con obiettivi "gonfiati" per necessità strategiche di sopperire con risorse ideologiche alle debolezze strutturali del movimento sindacale r .frange estreme 'residuate' al movimento hanno costituito, a partire dal 1973/1974, una base di reclutamento per le organizzazioni clandestine.

Si può così dire che l'istituzionalizzazione è favorita dal declino della partecipazione di massa, ma che essa favorisce anche la violenza settaria e le scelte della clandestinità. Incorporazione di alcuni gruppi e repressione di altri sono reazioni che avvengono contemporaneamente rispetto allo stesso movimento.

Due sono inoltre le peculiarità del caso italiano, che possono spiegare la particolare entità della violenza. Una è la "densità" del settore del movimento sociale, in termini di numero di organizzazioni presenti, dovuta in parte alla

forte politicizzazione della società italiana. Un'altra, con la prima interagente, è la notevole durata del ciclo di mobilitazione della fine degli anni Sessanta. Questo periodo, descritto come fase culminante del consolidamento della democrazia italiana, introdusse mutamenti di una tale entità - tra cui l'inizio di relazioni industriali moderne - da giustificare un conflitto intenso e prolungato.