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Capitolo 3. L'oggetto della ricerca

4. L'ostaggio veniva rapato a zero e fotografato con un cartello inneggiante alla rivoluzione.

3.3. I luoghi del terrorismo.

Tralasciando di affrontare direttamente il problema delle cause del terrorismo italiano, si è fin qui cercato di individuarne le principali caratteristiche. Un tassello importante di questo mosaico è costituito dall'analisi del contesto geografico in cui le organizzazioni clandestine operarono. Anche nel corso di questo paragrafo si metterà in guardia contro le superficiali semplificazioni del fenomeno. Pure la dislocazione territoriale delle attività mutò, infatti, nel tempo. La concentrazione degli eventi nello spazio spingerà a muoversi in direzione di interpretazioni più micro-sociologiche. Le esplosioni di violenza - e i loro rigurgiti armati - vanno analizzate in relazione alle forme peculiari che i conflitti collettivi assunsero in specifici contesti urbani. L'individuazione dei luoghi in cui il terrorismo ha operato aiuta, infine, a comprendere meglio gli obiettivi dei gruppi armati. I dati presentati

nel corso di questo paragrafo mostreranno almeno due caratteristiche del terrorismo italiano: la prima, che esso fu prevalentemente urbano o, meglio, metropolitano; la seconda, che esso si concentrò nelle regioni più industrializzate.

I nostri dati si riferiscono ad eventi avvenuti in 165 comuni, dislocati in 56 provincie di 18 regioni. La prima impressione è dunque quella di una certa diffusione del fenomeno nel paese. Essa viene però corretta se i dati vengono analizzati in modo più approfondito.

Analizziamo, in primo luogo, la distribuzione regionale del terrorismo. Tre sono gli indicatori che prenderemo in esame: il numero di- eventi terroristici; il numero di attentati contro le cose e quelli contro le persone. La loro distribuzione è riprodotta nella Tabella 3.3..-

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(tabella 3.3. approx. qui)

Si può in primo luogo osservare che gli episodi di terrorismo si concentrarono nelle regioni del triangolo industriale e nelle regioni centrali, in particolare nel Lazio. In Piemonte, Lombardia e Liguria furono condotte il 65.3% delle azioni, mentre il 16,1% ha avuto come teatro il Lazio. L'81,4% dell'attività dei gruppi armati si è quindi svolta in quattro regioni, mentre appena il 4,2% ha riguardato il Sud (quasi esclusivamente la Campania).

Una diversa distribuzione hanno gli episodi contro le cose e quelli contro le persone. Questi ultimi hanno, infatti, un peso percentuale maggiore nelle regioni in cui gli episodi di violenza non-terroristica sono meno presenti, come la Liguria, il Friuli Venezia Giulia e, più in generale, il Sud.

Questi primi dati offrono già importanti elementi di valutazione del fenomeno. Le azioni terroristiche contro persone sono state peculiari alle aree di maggiore sviluppo industriale, ma hanno raggiunto una notevole virulenza anche in Lazio. Esse hanno avuto una consistenza elevata nelle regioni dove più alti sono stati i livelli di violenza diffusa, ma sono presenti anche in altri contesti in cui essa ha avuto una scarsa diffusione. Il ridotto numero di episodi nel Sud dimostra il fallimento dei ripetuti tentativi dei gruppi clandestini di "esportare" la lotta armata nelle zone in cui le contraddizioni sociali sono più stridenti. Il terrorismo italiano non ha coinvolto dunque le zone più povere del paese - dove le condizioni di miseria producono semmai sporadiche esplosioni di ribellismo - ma ha operato piuttosto nelle regioni industriali e nella capitale.

Approfondendo l'analisi si può aggiungere che il fenomeno si concentra in un ristretto numer.o di provincie e riguarda soprattutto i contesti urbani.

La concentrazione del fenomeno appare ancora più evidente se si guarda alla distribuzione per provincia. Il 72,2% degli episodi avviene in sole 4 provincie: Torino (21,8), Milano (26,5), Roma (15,6) e Genova (8,3). In appena 9 delle 56 provincie colpite si concentrano un numero di episodi superiori a 20, per un totale pari a l l '85% degli eventi rilevati. Alle quattro provincie già nominate si aggiungono Vercelli, Varese, Venezia, Firenze e Napoli.

I dati sulla distribuzione comunale confermano ancora la concentrazione geografica, indicando inoltre la "metropolitaneità" del fenomeno. Un primo indicatore delle caratteristiche metropolitane del terrorismo è il rapporto tra episodi avvenuti nelle città capoluogo e quelli avvenuti in provincia. La concentrazione nei capoluoghi è

elevatissima in tutti gli anni, con una percentuale complessiva d e l l 185,6%. Appena 152 su 1127 sono le azioni condotte in provincia. Si può ancora osservare che, dei 152 eventi avvenuti in comuni non capoluogo, ben 69 furono azioni di autofinanziamento.

Per quanto riguarda la concentrazione delle azioni, si può notare che appena 10 furono i comuni in cui si verificarono più di una decina di eventi: Torino, Varese, Genova, Milano, Bergamo, Venezia, Firenze, Pisa, Roma, Napoli. Essi coprono il 79,3% del totale degli episodi. Solo altri quattro comuni superano la soglia, bassissima, dei 5 episodi: Brescia, Verona, Bologna e Cinisello Balsamo. Questo vuol d-ire che la -media degli episodi avvenuti in ciascuno dei restanti comuni è di 1,3%. Ancora, il 66,1% del totale degli episodi si concentra in quattro comuni: •Torino (21%), Milano (-21,7) Roma (15,1) e Genova (8,3), cioè

nelle grandi metropoli italiane.

Prima di tentare una qualunque interpretazione di questi dati, ci sembra utile approfondire le caratteristiche che il terrorismo assunse nei 7 comuni in cui esso fu più diffuso. Procederemo analizzando, per ciascuna città, l ’andamento nel tempo del totale delle azioni terroristiche e di quelle contro le persone e le tattiche utilizzate. I prime due tipi di dati sono riportati nella Tabella 3.4..

(tabella 3.4. approx. qui)

Essi ci indicano, innanzitutto, una diversa distribuzione geografica del fenomeno nelle molteplici fasi della sua esistenza. Si può iniziare con il rilevare un graduale spostamento dalle città del Nord a quelle del Centro-Sud, che interessa l'intero periodo. In una prima fase le organizzazioni armate operarono prevalentemente

nelle regioni settentrionali. Nei primi due anni in esame esse furono presenti solo a Milano e a Roma. Mentre però negli anni immediatamente successivi il numero degli episodi si' mantenne elevato nel capoluogo lombardo, il terrorismo cessò invece di esistere nel Centro, fino al 1974. Nel 1972 esso cominciò ad operare a Torino, e nel 1974 a Venezia e Genova. Questo ampliamento del raggio d'azione al Nord fu causato dal rafforzamento organizzativo delle Br, mentre nelllo stesso periodo si cominciò ad avvertire una debole presenza del fenomeno al Centro-Sud, dovuta alla nascita dei Nap.

L'attività delle formazioni armate divenne consistente nella capita-le solo dal 1977, mantenendosi su una media costante di una trentina di episodi nei tre anni successivi. Allo spostamento nelle regioni centrali delle capacità operative d e ù gruppi armati non corrispose, però, alcuna riduzione delle loro capacità offensive nella zona del triangolo industriale. Le stesse città che avevano visto la nascita del terrorismo continuarono ad essere afflitte dalla sua presenza. La stagione del terrorismo durò, infatti, solo due anni a Firenze, ma fino a tutto il 1979 a Torino e fino al 1980 a Milano e Genova, il numero degli episodi di terrorismo si mantenne, invece, elevatissimo. Il crollo fu drastico a Torino a partire del 1980 e coincise con i numerosi arresti che distrussero le colonna brigatista e il gruppo piellino. A Genova un drastico calo dell'attività terrorista si registrò dal 1981 - quando vennero arrestati quasi tutti i membri della colonna brigatista operante nella città. Lo stesso avvenne a a Milano dal 1982. In questi anni le organizzazioni clandestine spostarono le loro strutture logistiche in altre aree geografiche: in particolare in Veneto, dove c'era già stato un minimo di attività, in coincidenza con la fondazione di una colonna

brigatista, poi "congelata", nella prima metà degli anni Settanta; a Napoli, dove ad un primo periodo segnato dall'attività dei Nap erano seguiti degli anni di assenza del fenomeno; e, soprattutto, nella capitale, dove il numero di episodi rimase ancora alto - in percentuale - alla fine del periodo.

Si può, inoltre, osservare una diversa distribuzione tra azioni contro le cose e azioni contro le persone. Queste ultime assunsero, ad esempio, un peso percentuale molto maggiore nelle città in cui il terrorismo arrivò più tardi - Napoli e Roma - e più ridotto, invece, dove la stagione terroristica fu più breve - Firenze.

E' difficile ricondurre ad un'unica chiave esplicativa i dati ricavabili sulle caratteristiche geografiche del fenomeno terroristico. In alcuni casi, le forme d'azione più specificamente terroristiche sono apparse in contesti e momenti in cui i conflitti sociali tendevano ad esprimersi nei modi più violenti, mentre in altri casi esse sono state introdotte da gruppi provenienti dall'esterno in città in cui la violenza politica non aveva ancora raggiunto dimensioni allarmanti. In alcune aree le organizzazioni clandestine hanno cominciato ad operare sin dalla prima metà degli anni Settanta, in altre esse sono apparse solo nella seconda metà. Non dappertutto il terrorismo ha avuto gli stessi livelli di cruenza. Se molte organizzazioni clandestine hanno operato nel triangolo industriale, e, in particolare, a Milano, altre hanno invece concentrato la loro attività a Roma o, addirittura, al Sud. Un suggerimento metodologico ci sembra tuttavia rilevante: senza sottovalutare il peso determinante delle variabili macro­ sistemiche nella nascita del fenomeno, lo studio dell'evoluzione del terrorismo non può tuttavia trascurare alcune caratteristiche relative agli ambienti in cui i

gruppi clandestini sono emersi, ai contesti territoriali in cui essi hanno reclutato, al tipo di movimenti di protesta presenti nelle città nelle quali esse hanno operato.