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4 petrolio nel 1973, nel secondo

B. Movimento del 77 e terrorismo

Pur in assenza di un'analisi comparata che permetta di verificare queste ipotesi, non sembra azzardato ritenere che alcuni margini di evoluzione violenta siano sempre presenti durante un ciclo di protesta. Ma ciò non ci aiuta a risolvere il problema che si è posto all'inizio: cioè quello di comprendere la specificità del caso italiano. Tale specificità si è espressa' - come si

è

detto - soprattutto nella seconda metà 'degli anni Settanta. La fase di terrorismo più peculiare al caso italiano si sviluppa in coincidenza con la nascita tumultuosa e la rapida degenerazione di nuovi fermenti collettivi. Il movimento del 77, ambiguo nei contenuti e violento nelle forme d'azione, si esaurì dopo pochi mesi di esistenza, lasciando dietro di sé alcune residui: gruppi semi-clandestini, destinati in parte a scomparire dopo avere siglato un paio di attentati e

in parte a strutturarsi maggiormente e a contribuire allo stillicidio di uccisioni e di ferimenti che si susseguiranno tra il 1978 e il 1980.

Tre elementi vanno valutati in relazione a quel periodo. L'emergere tumultuoso di una nuova fase di protesta, dotata di un "senso" e una morfologia differenti rispetto a quelli che avevano caratterizzato la fase precedente, mentre ancora non si sono riassorbite le frange violente residuate dal ciclo di protesta. L'assenza di

canali di accesso al sistema politico, per questo specifico tipo di movimento, cioè di organizzazioni istituzionali disposte a farsi portatrici delle domande emergenti. L'esistenza di organizzazioni già attrezzate per l'utilizzazione di pratiche violente, cioè la presenza nel sistema politico di una offerta di terrorismo. E' all'interazione di questi elementi che bisogna guardare per comprendere il sorgere di nuove organizzazioni armate, proprio in un momento in cui il fenomeno sembrava destinato ad un lento declino, così come era avvenuto in altri paesi.

Soffermiamoci brevemente sulla prima delle tre variabili. Vale la pena di sottolineare ancora una volta che le condizioni del sistema politico vanno considerate in relazione al tipo di attori emergenti e alle dinamiche con essi instaurate, cioè in relazione al processo di costruzione delle nuove, identità collettive e dell» loro evoluzione. Si richiederebbe, quindi, la definizione di un movimento che si presenta al suo nascere estremamente complesso. Negli avvenimenti del 1977 confluirono tutta una serie di esperienze emerse in aree di intervento esterne sia alla scuola che alla fabbrica: i circoli del proletariato giovanile, i consultori nati dal movimento femminista, le ronde contro gli spacciatori di eroina, i comitati per .1'autoriduzione delle tariffe elettriche o del prezzo del biglietto del cinema, le radio libere nate dai collettivi di sinistra. Non mi sembra, però, si possa sostenere che queste proteste erano portatrici di interessi in sé non negoziabili. L'eterogeneo insieme di domande presenti nel movimento giovanile in quegli anni potevano essere integrate attraverso i normali canali di mediazione

istituzionale del conflitto. Si può dire, invece, che questo movimento fu esterno all' "universo del discorso politico tradizionale" - cioè alla tradizionale definizione

di ciò che va considerato politico, dalle forme della 25

politica alle funzioni cui essa deve assolvere . Poco orientato verso rivendicazioni economiche, esso era piuttosto attento a quello che gli studiosi dei nuovi movimenti collettivi hanno definito come riappropriazione dell'identità contro un potere esteso ben al di là dello

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sfruttamento economico e del dominio politico . Le nuove domande incontrarono quindi notevoli difficoltà a trovare dei portavoce in grado di coglierle e di rappresentarle nel sistema politico. Nell'incapacità di trovare obiettivi intermedi sui quali fare maturare la protesta fu così l'ala più violenta dei collettivi dell'autonomia organizzata a prevalere rispetto alle altre, portando il movimento ad una rapida dissoluzione.

Se la protesta "del '77" aveva caratteristiche tali da renderla poco compatibile con gli altri attori tradizionali, anche altre contemporanee vicende portarono al suo isolamento da potenziali alleati. La vittoria laica al referendum sul divorzio e l'avanzata comunista alle elezioni amministrative del 1975, confermata poi alle politiche dell'anno successivo - prodotti secondo molti del ciclo di lotte precedente - ebbero un effetto paradossalmente disgregante sulle organizzazioni superstiti del movimento. Dopo la vittoria elettorale del 1976, l'azione del Pei venne condizionata dal desiderio di mostrarsi forza politica responsabile, capace di assumere funzioni di governo a livello nazionale. Apertosi con l'accordo parlamentare tra

25.Per la categoria “universo del discorso", si veda Janson, 1982, p. 2.

De e Pei del luglio del 1977, che portò al "governo delle astensioni” di Andreotti, il periodo proseguì, infatti, con la fiducia dei comunisti al nuovo governo Andreotti, nel marzo del ' 1978. La svolta politica del Pei ebbe ripercussioni immediate nel suo atteggiamento rispetto alla protesta giovanile emergente: dal maldestro tentativo di cooptazione del movimento ancora sul nascere che secondo molti ha rappresentato il comizio di Lama all'università di Roma alla chiusura indiscriminata verso tutte le diverse componenti presenti all'interno della protesta. Mentre il Pei rinunciò cosi ad assumere una funzione di referente di interessi collettivi emergenti, senza che per questo la sua politica di inserimento istituzionale riuscisse ad ottenere i risultati'sperati, altri elementi contribuirono a ridurre i canali istituzionali di mediazione della protesta. Mentre con le .elezioni del 19.76 svaniva la speranza del crollo democristiano e del sorpasso, i gruppi della Nuova sinistra vivevano nel contempo il fallimento della scelta parlamentare, esaurendo nel tentativo di divenire forze politiche nazionali le loro capacità di intervento in settori specifici. Quando scoppiò la nuova ondata di protesta, nessun attore politico istituzionale sembrò in grado di mediare le domande emergenti.

L'assenza di canali istituzionali di accesso al mercato delle decisioni interagì con una contemporanea scarsa attenzione alla integrazione delle nuove domande. Nel corso del ciclo precedente, soprattutto per quanto riguarda le rivendicazioni operaie, la risposta alle domande emergenti fu probabilmente più tempestiva in termini di policies. Nel confronto con altri paesi industrializzati che non sperimentarono il terrorismo interno, è stato sottolineato che la debolezza storica della borghesia italiana e l'eccezionale lunghezza del ciclo di protesta iniziato alla

fine degli anni Sessanta, rese il sistema politico più 27

permeabile alla protesta • Ma l'evoluzione positiva del confronto fra sistema politico e attori collettivi fu subito bloccata dalla crisi economica. Nel frattempo, solo molto lentamente i rappresentanti degli interessi emersi nel corso della protesta vennero integrate nel processo di negoziazione. Durante il secondo ciclo di protesta, il sistema politico reagì invece in modo negativo alle richieste relative a specifiche domande così come a quelle di riconoscimento istituzionale per i nuovi soggetti emergenti. Come ha opportunamente sottolineato Luigi Manconi, se nella fase precedente l'identità del movimento trovò riconoscimento istituzionale, nel secondo ciclo di protesta lo scontro tra forze istituzionali e movimenti emergenti si fermò prima della soglia del riconoscimento. Ricacciato in- condizioni pre-politiche/ il -movimento si

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auto-distrusse, cedendo al primato della violenza . Solo dopo un periodo di tempo piuttosto lungo, i governi locali iniziarono a rispondere alle richieste presentate, seppure

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