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3. La peculiarità dell’interpretazione costituzionale in relazione alla dogmatica giuridica italiana.

3.1. La circolarità triadica ed il ruolo del soggetto interprete.

L’interpretazione costituzionale, pur essendo qualitativamente diversa dalla comune interpretazione degli atti normativi, non può comunque prescindere dal testo costituzionale; difatti i vincoli testuali sono insopprimibili, per la semplice ragione che l’interpretazione è sia concorso alla creazione della norma, ma anche concorso vincolato all’esistenza della disposizione o degli enunciati linguistici di riferimento.

In questo senso, secondo la prospettiva delineata da F. Modugno, il punto di partenza del processo interpretativo è il testo cui si ascrive il significato (la norma) o sulla cui base si costruisce il principio che trae con sé il valore retrostante, il secondo momento è la domanda che il caso concreto (il problema) rivolge all’interprete–giudice, il terzo è la scelta della normativa, ritenuta necessaria e sufficiente alla risposta, alla soluzione del caso, il quarto è la verifica di tale normativa con riferimento al testo. Il circolo ermeneutico è così completo.47

Pertanto, si interpreta sempre e soltanto un quid cui può essere ascritto un significato. E quel quid è appunto il testo costituzionale che presenta prevalentemente, o comunque essenzialmente, enunciati espressivi di principio, di norme finalistiche, di programmi, di definizioni, ecc.

L’attività interpretativa, come ogni altra attività, può essere disciplinata sia da norme di diritto positivo che da norme sull’interpretazione. A tal proposito ci si chiede se le consuete regole sull’interpretazione dei testi normativi (per esempio gli articoli 12-14 delle preleggi) siano veramente valevoli anche per l’interpretazione del testo costituzionale.

A sostegno della risposta negativa vi sono due circostanze: a) le regole sull’interpretazione sono contenute in un atto normativo primario e non

47 F. Modugno, Interpretazione Costituzionale ed interpretazione per valori, in Interpretazione

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costituzionale (codice civile), mentre la costituzione tace in proposito; b) la posizione, il ruolo e l’attitudine dei soggetti costituzionali (enti, organi) le cui interpretazioni del testo costituzionale finiscono per concorrere in maniera determinata a definire le norme da seguire o da applicare alla fattispecie concreta (si pensi all’importanza delle convenzioni e delle consuetudini costituzionali). Nell’interpretazione giuridica comune si delinea un dilemma tra principio della separazione dei poteri e natura dell’attività interpretativa degli organi statali e, in definitiva, dei giudici.

Da un lato i giudici e gli organi dell’esecutivo sono distinti e subordinati al legislatore nel senso che non devono creare le norme, ma soltanto rispettarle ed applicare; dall’altro, gli operatori giuridici e, in definitiva, i giudici, nell’interpretare non possono non concorrere a determinare le norme da rispettare ed applicare. Insomma, il giudice non deve creare il diritto; il giudice non può non crearlo.

Secondo la concezione normativa della separazione dei poteri in senso stretto, le funzioni statali sono distribuite tra organi specializzati nelle rispettive funzioni: separazione non significa bilanciamento bensì divisione o separazione in senso stretto.

E’ soltanto secondo questa concezione della divisione dei poteri che è possibile escludere la partecipazione del giudice alla legislazione, ad escluderla cioè come dottrina normativa, affermando non che i giudici non producano diritto, bensì che i giudici non debbono produrlo. Il dilemma tra dottrina della separazione dei poteri (in senso stretto) secondo la quale il giudice non deve partecipare alla creazione del diritto, e teoria giusrealista (moderata) secondo la quale il giudice non può non partecipare a tale creazione, sia pure solo scegliendo entro una cornice di significati, dipende in gran parte dalla formulazione troppo generica delle due tesi.

Come per il testo costituzionale, anche il soggetto interprete riveste una posizione del tutto peculiare: tra i vari organi costituzionali la Corte Costituzionale ricopre, infatti, un ruolo specialissimo, in quanto il ruolo preponderante della Corte nell’interpretazione costituzionale è indiscutibile, non soltanto per il suo ruolo istituzionale, ma perché da essa sono venuti i maggiori contributi all’intendimento

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del ruolo pervasivo dei diritti fondamentali e che la sua giurisprudenza rappresenta quello che è il diritto costituzionale vigente ed effettivo.

Tutto ciò non significa che la c.d. interpretazione per valori debba giungere ad una sorta di “giusliberismo casistico”. Il punto centrale della concezione della ragionevolezza è quello della precisazione della natura dell’interpretazione costituzionale e del rapporto tra norme ed enunciati costituzionali che è spesso mediato dall’individuazione, o meglio, dalla costruzione di principi, tramite i quali sono immessi nell’ordinamento quei valori fondamentali che, positivizzati o secolarizzati, possono ora ritenersi i valori costituzionali. Tali principi-valori e le operazioni di costruzione di essi, nonché la determinazione della norma applicabile ai casi concreti e la stessa individuazione dei c.d nuovi diritti, non possono non essere tutti verificati alla luce del testo costituzionale, avendosi altrimenti, un inammissibile e contradditorio “giusliberismo ermeneutico”.

Le norme costituzionali, pur contribuendo tutte alla costruzione o individuazione dei principi-valori, esigono una valutazione non assoluta, ma conforme al sistema complessivo e l’interprete deve avere riguardo anche all’insieme degli altri valori costituzionali. Si tratta del metodo d’interpretazione sistematica riferito però al sistema delle norme-principi-valori costituzionali come sfera a sé, la quale, però, non è un metodo esclusivo nell’ermeneutica dei testi costituzionali. Laddove l’interpretazione va ad agire sullo stesso piano valutativo sul quale si muove il legislatore, diventa decisivo il quadro dei valori di riferimento, soprattutto se s’intende la giustizia come certezza, ordine, prevedibilità, sicurezza alla stregua del pensiero sistematico, ovvero come equità riferita al caso concreto, alla stregua del pensiero problematico. A questo punto si potrebbe pensare all’integrazione dei due metodi, perseguibile fondamentalmente attraverso due vie, tra loro complementari, per raggiungere questo obiettivo: da una lato scoprire il tasso di sistematicità nel profilo problematico, ossia, come Alexy, tentare di razionalizzare i meccanismi dell’argomentazione giuridica; dall’altro lato introdurre un tasso di problematicità nel sistema, attraverso lo studio dei rapporti tra sistema giuridico e valori ed attraverso la formalizzazione di una più rigorosa dogmatica dei valori giuridici.

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3.2. La “logica del probabile” nel rapporto tra interpretazione costituzionale

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