4. Ragionevolezza e proporzionalità nell’elaborazione della Consulta.
4.1. Il criterio del “mezzo più mite”.
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Il ricorso al controllo di costituzionalità da parte della Consulta è assai frequente in quei casi in cui debba valutarsi l’adeguatezza di misure restrittive di diritti fondamentali. Pur non potendo parlare propriamente di struttura trifasica della proporzionalità o di proporzionalità in senso lato e in senso stretto, tuttavia, l’analisi della casistica giurisprudenziale consente di ricavare per lo meno due livelli di test.
Ad un primo livello, lo scrutinio della Corte è teso a verificare l’idoneità e la necessità delle misure legislative applicando il criterio del minimo mezzo. Spesso, infatti, la Corte ha affermato come la proporzionalità costituisca un vincolo generale dell’attività legislativa tesa a comprimere i diritti dei privati. In tal senso la giurisprudenza tende a valutare che gli strumenti legislativi non comportino restrizioni delle libertà eccessive rispetto allo scopo da realizzarsi, valutando, dunque, non solo la loro idoneità a tal fine, ma anche che esse siano effettivamente il mezzo più mite53. Anche in questo caso si richiede la sussistenza di più mezzi idonei al perseguimento di un fine, potendo in caso contrario la Corte “salvare” strumenti anche non particolarmente lievi in quanto gli unici idonei a garantire un determinato risultato; o potendo essere la stessa Corte ad indicare i mezzi da adottarsi in quanto gli unici idonei allo scopo54. Un classico campo del criterio di proporzionalità nella forma del c.d criterio del “minimo mezzo” si ha nell’ambito dello scrutinio sulle cause di ineleggibilità, partendo dal presupposto che lo scrutinio di tali cause deve essere particolarmente stretto, dato che esse costituiscono un’eccezione rispetto alla regola del libero accesso alle cariche elettive. In tali casi la Corte ha sempre affermato la necessità che, sia le cause di ineleggibilità, sia in particolare il loro momento operativo, non appaiano irrazionali e sproporzionate rispetto all’esigenza da soddisfarsi, che è sempre quella di preservare la genuinità delle elezioni. Così, ad esempio, sono state censurate quelle norme che, anticipando ad un momento eccessivamente precoce il determinarsi della causa di ineleggibilità, realizzavano una irragionevole compressione del diritto d’accesso alle cariche pubbliche, limitando oltre al
53 Sul punto si veda A.Anzon, Modi e tecniche del controllo di ragionevolezza, cit., Giappichelli,
Torino, 1991, pp. 34 e ss.
54 In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale il 28 Aprile 1992, con la sentenza n.194, in materia
40 necessario tale diritto55.
Un ruolo importante in tale materia si registra anche nelle note sentenze sul monopolio statale delle trasmissioni televisive, in particolare nella sentenza n.153/1987, che aveva ad oggetto il divieto per i privati di installare ripetitori di trasmissioni televisive verso l’estero56. Con detta pronuncia, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale del monopolio statale in tale ambito, sostituendolo con un regime di autorizzazione discrezionale suscettibile di revoca (con provvedimento motivato). Il regime di monopolio, infatti, appare sproporzionato ed eccessivamente limitativo della libertà individuale rispetto alla necessità di garantire l’interesse pubblico del pluralismo dell’informazione televisiva, che ben può essere soddisfatto da un sistema autorizzatorio. In questa pronuncia, dunque, la Corte applica chiaramente il criterio del “mezzo più mite”, dimostrando la possibilità di garantire tale risultato anche mediante un diverso strumento legislativo, comunque idoneo ma più lieve. Il regime di autorizzazione legislativa appare pertanto come il risultato di una ponderazione di due interessi contrastanti. La Corte, infatti, opera una valutazione sul bilanciamento di interessi effettuato dal legislatore, giudicandolo eccessivamente restrittivo della libertà individuale e perciò irragionevole, ed effettua essa stessa un bilanciamento tra i due interessi, trovando quella che deve ritenersi la situazione ottimale. In tal modo, è chiaro che il controllo sulla proporzionalità segue ad una valutazione della ragionevolezza dei bilanciamenti legislativi, anzi ad un bilanciamento direttamente operato dalla Corte, in base alla possibilità di realizzare il fine prescelto dal legislatore con una minore restrizione del diritto del singolo. Dunque, anche nel sistema italiano, il giudizio di costituzionalità va oltre la valutazione dell’idoneità e della necessità degli strumenti legislativi, frutto di un’analisi tra mezzi e fini, e può comportare valutazione sul bilanciamento di interessi costituzionali, secondo un’analisi costi- benifici. In altri termini, la Corte considera se il risultato da perseguirsi, “il beneficio” dell’intervento legislativo, possa essere raggiunto mediante uno strumento meno incisivo sulle libertà individuali e dunque se il costo della norma non sia eccessivo rispetto al fine57. In particolare riguardo alla limitazione dei
55 Così, in particolare la citata sentenza n.129/1975. 56 Corte Costituzionale, 13 Maggio 1987, n.153.
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diritti fondamentali, la scelta del mezzo più mite non può prescindere dalla predisposizione, in ogni caso di una strumentazione minima in grado di rendere effettivo il diritto costituzionalmente tutelato. Quanto detto appare chiaro in molte pronunce tra cui la sentenza n.141/1984, in materia di amnistia ed indulto58. Sebbene la pronuncia risenta della peculiarità della materia, a detta della Corte, nei casi in cui essa è chiamata a giudicare della legittimità di tipizzazione legislativa (come è nel caso della categoria di soggetti da escludere dal provvedimento di amnistia ed indulto al fine di evitare un incentivo a commettere reati), la stessa deve valutare se il sacrificio imposto a taluni casi particolari rientri nella regola discendente dalla imprescindibile astrattezza della norma, oppure se, eccedendo tali limiti, la norma determini situazioni di irragionevole disparità. Anche in questo caso si registra la presenza di un’analisi costi-benifici, tesa a valutare se l’obiettivo perseguito dal legislatore non possa realizzarsi con una minor compressione delle situazioni soggettive. Ulteriori considerazioni emergono dalla sentenza n.220 del 1995 in materia di procedimento disciplinare. La pronuncia dichiarava illegittimo l’articolo 1258, primo comma, del codice navale, in quanto prevedeva la pena disciplinare della cancellazione dal registro d’impiego come effetto automatico di una condanna penale che determini l’incapacità all’iscrizione allo stesso registro. La Corte ha ritenuto, invece, che in tali casi sia sempre necessaria una valutazione di merito da parte dell’amministrazione competente, nel rispetto del principio di proporzione della pena disciplinare al caso concreto. Ciò che appare più interessante della pronuncia in esame è il ribadire chiaramente come il criterio del “minimo mezzo” esprima l’esigenza che un diritto non subisca limitazioni non strettamente necessarie alla realizzazione di un altro diritto di pari rilievo costituzionale e che tali eventuali limitazioni non siano mai eccessive rispetto a tale scopo. In questo modo, il criterio di proporzionalità finisce per operare secondo quel criterio di “coessenzialità” del limite, principio tipico del giudizio di bilanciamento, in forza del quale la limitazione di un diritto fondamentale si giustifica soltanto in base alla necessità di tutelare un interesse di rango paritario o superiore.
Il giudizio di proporzionalità, così, si configura come un giudizio di ponderazione
Giuffrè, Milano, 1988.
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di interessi con cui si valuta l’adeguatezza delle limitazioni di interessi individuali, ma soltanto dopo aver valutato, mediante operazione di bilanciamento, la legittimità di tali limitazioni, in base al criterio di “coessenzialità” appena ricordato. Pertanto la proporzionalità non si risolve nel bilanciamento, ma ne presuppone la verifica della sua ragionevolezza.