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La classe capovolta

Nel documento cambia il mondo, cambia la scuola (pagine 94-99)

di Francesca Scenini

La “content curation” è diventata un concetto chiave

per chi scri-ve e pubblica contenuti sul web. Con questo termine, che ancora non ha eguali efficaci in italiano, si intende la pratica di ricerca, selezione, aggregazio-ne e comunicazioaggregazio-ne di dati e informazioni significative su un determinato ar-gomento, con attenzione per la costruzione di conoscenze di qualità utili al pubblico di riferimento.

L’importanza dell’attenzione su questo processo da parte della scuola risul-ta evidente se si considera il ruolo che essa ha nella produzione e comunica-zione della conoscenza, e la sua necessaria flessibilità in rapporto alle esigenze informative e di apprendimento degli alunni. Oggi il sistema educativo si tro-va di fronte l’aumentare della complessità dei flussi informativi e un’imprescin-dibile revisione dei paradigmi di comunicazione docente-discente, in un dialogo che armonizzi in modo proficuo i propri risultati e le proprie pratiche con le risorse cui lo studente accede nei momenti di apprendimento informale e le competenze che matura fuori dall’istituto scolastico. Tutti, infatti, siamo in po-tenza nodi attivi della società di rete, e la percezione dell’auctoritas, cardine di una cultura basata sul libro, si indebolisce. A complicare questo panorama, quello che sembra essere un generale scadimento delle competenze di base di lettura, scrittura e argomentazione. Diventa prioritaria, così, la messa a punto di modelli e strumenti di costruzione del sapere da proporre come paradigma agli studenti stessi. Sorge con forza, cioè, la priorità per la scuola di una for-malizzazione e condivisione di strategie di content curation.

L’ecosistema informativo

L’ecosistema informativo, oggi, è sempre più complesso e muta con una rapi-dità impressionante in alcune delle sue caratteristiche e proprietà essenziali: la

Film velocità di trasmissione dell’informazione; la quantità di dati che è possibile condividere e archiviare; la molteplicità dei codici attraverso i quali l’informa-zione stessa viene veicolata. Causa di queste trasformazioni è la tecnica di di-gitalizzazione delle informazioni e il progredire delle tecnologie che ne fanno uso. Tra le conseguenze, lo strutturarsi di forme orizzontali di comunicazione e partecipazione a una conversazione sempre più globale e rapida: si pensi al-la diffusione e al ruolo dei social network, come Facebook o Twitter, nelal-la crea-zione di uno spazio di conversacrea-zione istantanea e senza confini; il diversificarsi della qualità dell’informazione disponibile e il problema della selezione delle fonti: l’ausilio dei motori di ricerca, infatti, non risolve efficacemente il pro-blema della selezione dell’informazione di qualità; infine la necessità di svilup-pare competenze di trattamento e gestione di testi ipermediali: per la fruizione di testi altrui e la produzione di testi propri.

In Italia, la penetrazione delle tecnologie digitali di informazione e comu-nicazione è ancora segnata da grosse carenze strutturali. Al problema infrastrut-turale si somma il problema del raggiungimento di competenze di base di uso delle Ict (tecnologie digitali di informazione e comunicazione), e di translite-racy, cioè di tutte quelle competenze necessarie a esprimersi e collaborare in modo completo nell’attuale panorama mediale complesso.

A questo proposito, lo scollamento tra il sistema di educazione formale e l’informale, rispetto all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comuni-cazione, nel nostro paese è evidente. All’interno delle famiglie italiane, secon-do l’ultima rilevazione Istat (il report completo è scaricabile dal sito dell’istituto), sono i più giovani, ossia, tendenzialmente, le stesse fasce d’età affidate al siste-ma educativo forsiste-male della scuola, a fare un uso siste-maggiore delle Ict: “le fami-glie con almeno un under 18 sono le più tecnologiche: l’83,9% possiede un personal computer, il 79% ha accesso a Internet e il 70,8% utilizza per questo una connessione a banda larga” e, ancora, “i maggiori utilizzatori del personal computer e di Internet sono i giovani tra gli 11 e i 34 anni (rispettivamente, oltre il 78% e oltre il 76%); per le generazioni successive la quota di utenti de-cresce progressivamente e drasticamente in modo direttamente proporzionale all’età”; tra gli usi “il web viene utilizzato soprattutto dai giovani sia per man-tenere i rapporti con la rete amicale che per informarsi e trasmettere la propria opinione su temi sociali o politici”. A scuola, invece, come ha sottolineato l’ultimo report Ocse 2012, “l’Italia è in ritardo rispetto alla maggioranza dei paesi Ocse per quanto riguarda le dotazioni multimediali e l’uso delle tecno-logie dell’informazione e della comunicazione (Ict) nella scuola”, e risultano solo “un parziale rimedio”, dei piani di sperimentazione, come il Piano Lim o

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Cl@ssi 2.0, soluzioni di “scarsa efficacia” e che non “coprono l’insieme dei bi-sogni in materia”.

Il sistema scolastico, nonostante sia per sua natura lento al cambiamento, avendo tra i suoi scopi la sintesi della complessità informativa e tra i suoi obiettivi un’efficace condivisione di contenuti culturali e modelli scientifici e di comportamento, avverte le problematiche insite in questo panorama. Per non soffocare in una sterilità anacronistica e rischiare di sprofondare nell’in-comunicabilità docente-discente allontanandosi dalla società, la scuola si im-pegna a rinnovare i modelli di insegnamento-apprendimento formalizzando procedure e buone pratiche che includano, tra gli altri strumenti, l’utilizzo della rete e di tutte le tecnologie digitali, sfruttandone le positività e ricono-scendo il ruolo che queste hanno assunto nella vita quotidiana e politica, e que-sto sforzo è evidente nell’entusiasmo di tantissimi docenti e dirigenti che propongono progetti innovativi, si pensi solo a casi come “Policultura” del Po-litecnico di Milano, che si focalizza sulla narrazione digitale, o “Book In Pro-gress” per la creazione e condivisione di testi didattici.

In generale, è chiaro che lo sforzo richiesto al docente, e soprattutto a quei docenti formati in epoca pre-digitale, è notevole, e il cambiamento deve esse-re attuato in maniera critica per evitaesse-re il tragico erroesse-re di faesse-re tabula rasa del sistema tradizionale nella speranza che la tecnologia, da sé, risolva ogni con-traddizione.

L’esamificio non produce conoscenza

L’apprendimento non avviene solo a scuola, questo è evidente, ma alla scuola, nella nostra società, è delegata gran parte della formalizzazione dei percorsi di apprendimento e della valutazione dei loro risultati. Il sistema dell’educazione formale era tradizionalmente portato a chiudere il suo spazio fisico tra le mu-ra degli istituti di diverso ordine e gmu-rado, un’impostazione oggi senza senso vi-sto il moltiplicarsi di situazioni e risorse di apprendimento fuori dell’orario scolastico, si pensi solamente ai corsi open, aperti a tutti e fruibili online, co-me quelli del progetto “Coursera” lanciati da alcune delle più grandi universi-tà del mondo, o l’italianissimo progetto Repetita dell’Enciclopedia Treccani.

La scuola, inoltre, da sempre si impegna a stabilizzare la sua configurazione, proponendo dall’alto modelli teorici, procedurali e legislativi e tentando di ar-monizzare in essi la pratica quotidiana, la voglia di innovazione o, al contra-rio, la spinta reazionaria di chi, nella scuola, lavora ogni giorno. La discussione dei modelli curriculari e organizzativi adottati negli ultimi decenni oggi affron-ta la necessità di cambiamento.

Film A questo proposito, in un recente discorso sugli scopi dell’educazione, Noam Chomsky, linguista, filosofo e teorico americano celebre per i suoi stu-di sulla grammatica generativo-trasformazionale e per il suo attivismo sociale e politico, ha sottolineato come l’organizzazione odierna del percorso d’appren-dimento solo in pochi e illuminati casi porti il discente a un processo di ri-co-struzione e scoperta del contenuto culturale. Nella maggior parte delle situazioni, invece, il sistema scolastico prevede il mero inserimento del discente in un ri-gido meccanismo di prove d’esame molte delle quali lontane dalla sua realtà e dall’interesse quotidiano. Il cuore di questo modello, cioè il proporre (e pre-tendere) lo studio mnemonico di blocchi di informazione, avrebbe il solo ed esclusivo fine ultimo di ottenere un voto che attesti il superamento di un mo-dulo e risulterebbe, perciò, non solo poco motivante per il discente, ma anche inutile al progresso culturale e scientifico. Chomsky non ha mancato di augurar-si che il augurar-sistema educativo odierno sappia convergere verso un modello diffu-so che si stacchi da una concezione del percordiffu-so di apprendimento come quello descritto, assimilabile a una serie di ostacoli da superare, per istituire un para-digma di sapore illuminista che veda l’educazione dare impulso a un lavoro col-laborativo di ricerca della sfida, di messa in discussione di dottrine o autorità, di ricerca di alternative e di uso dell’immaginazione.

La sterilità di un modello esclusivamente trasmissivo del sapere non è un concetto nuovo, ma rimane verità sommersa all’interno di molti istituti e fi-lo conduttore del modus operandi di molti docenti. Queste realtà, però, og-gi sono spinte ad affiorare e costrette ad affrontare un auto-esame critico, visto il cambiamento dirompente dato dalle tecnologie digitali di informa-zione e comunicainforma-zione (Ict). La diffusione delle Ict (insieme a una serie di processi iniziati in epoca pre-digitale, tra cui l’alfabetizzazione massiva) por-ta con sé da una parte la trasformazione del consumatore di informazione a produttore-consumatore (prosumer) dotato di tecnologie che ne facilitano e veicolano l’espressione e sempre più portato a cercare di collegare teoria e prassi: si pensi all’evoluzione di forme di citizen journalism: cittadini armati di smartphone o tablet che scrivono, commentano o filmano quello che ac-cade nel loro quartiere in segno di partecipazione o denuncia; in Italia, un esperimento di notevole interesse e qualità è quello della piattaforma per il giornalismo partecipativo “Timu” della Fondazione Ahref. Dall’altra, le tec-nologie digitali determinano la riconfigurazione dei modelli di comunicazio-ne da uno-a-molti a molti-a-molti: con l’organizzaziocomunicazio-ne dei flussi di comunicaziocomunicazio-ne in forma reticolare a-gerarchica, dove si fa sempre meno affidamento alle auc-toritas in favore di un impegno di produzione e revisione collaborativo dei

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contenuti: si pensi, in questo caso, ai progetti di produzione collaborativa del sapere, dalla notissima Wikipedia a progetti come “Cinquantamila giorni dell’Italia unita”, patrocinato tra gli altri dall’Istituto Cinecittà Luce e dal

“Corriere della Sera” e che, in occasione del centocinquantenario dell’Unità ha chiesto agli utenti web aiuto per scrivere la storia dell’Italia Unita, gior-no per giorgior-no.

Content curation nella “classe capovolta”

Obiettivo della scuola dev’essere formare uno studente capace di dubitare, un cittadino padrone degli strumenti democratici di costruzione del sapere, atti-vo e partecipe nella costruzione di pratiche sociali e di azioni politiche positi-ve e volte a garantire equità, giustizia e felicità. Quest’obiettivo trova strumenti e potenzialità nuove proprio nelle recenti forme di creazione e con-divisione dei contenuti da utilizzare come terreno fertile per l’affinarsi di un processo di costruzione attiva della conoscenza. In un panorama, come quel-lo attuale, caratterizzato dalla mancanza di risorse per il sistema educativo e do-ve la competenza di gestione dell’informazione e di comunicazione non trova uno spazio dedicato consistente nella programmazione scolastica fino ai gradi più alti dell’istruzione, l’auspicio è che la scuola sappia affrontare in maniera coraggiosa un cambio di paradigma più metodologico che tecnologico, verso un modello di costruzione partecipativa attiva e diffusa del sapere.

In questo, si impari a riconoscere come sempre più incidente il problema della content curation, e la scuola contribuisca con ruolo primario a diffonder-ne le pratiche. Si persegua, cioè, un’organizzaziodiffonder-ne dell’informaziodiffonder-ne secondo logiche di architettura dell’informazione che ne distinguano la pertinenza (rele-vance), siano volte ad assicurarne la reperibilità (information retrieval), e ad ar-ricchirne il valore, anche tramite la socializzazione del processo di significazione e organizzazione (social networking, social tagging). L’attività in classe, quindi, si capovolga, come sostiene il neonato modello della flipped classroom (classe capovolta), e dall’esclusiva proposta di lezione ex cathedra, con il docente di-spensatore di sapere, figura sacrale in un panorama di risorse informative scar-se, si passi al declinare il momento scolastico in un’attività di scoperta insieme, di progettazione di modelli o prodotti, di esercitazione pratica di competenze e discussione di fatti o esperienze.

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