per pensare questa crisi.
Si tratterebbe infatti di mettere in relazione due temi potenti: una teoria della preadolescenza da una parte e una teoria delle uguaglianze dall’altra. È Strumenti
stato così fin dall’inizio: il lunghissimo, e a modo suo sempre cieco dibattito che ha accompagnato la nascita e poi le riforme decisive della scuola media uni-ca contemplava queste due espressioni: “la scuola del preadolescente” (o la scuo-la dagli 11 ai 14 anni) e “scuo-la scuoscuo-la di tutti”. Eppure mai si è arrivati davvero a pensare un individuo in Europa a 11 anni e cosa significhi dare a tutti un ac-cesso emancipatorio alla cultura. La pubertà è il momento della maturazione sessuale ed è anche quello in cui sorgono nuove facoltà cognitive e nuovi inte-ressi speculativi: la società, il suo funzionamento, la complessità del mondo e il proprio possibile posto in esso. In definitiva la differenza fra sé e gli altri e le differenze sociali divengono l’interesse dominante; l’infanzia finisce e la legge, il potere, la cultura, le differenze diventano l’alfabeto da apprendere per par-lare come membri attivi della città.
Per iniziare a imbastire una riflessione converrà dare per assodati due pun-ti: 1) la scuola cambia davvero solo se cambia il mondo attorno ma intanto i ragazzini e le ragazzine non aspettano per crescere; 2) messa tra parentesi l’isti-tuzione (che insiste su chi ci sta dentro con la pesantezza che sappiamo) biso-gna vedere come farsi istituenti di pratiche e pensieri diversi, sia “lì dentro”
che nelle non-scuole che nascono all’esterno, considerando entrambi questi ambiti generosi e rispettabili per chi abbia voglia di fare pedagogia o mestieri educativi.
C’è un libro molto bello di Françoise Dolto che si intitola Adolescenza. Espe-rienze e proposte per un nuovo dialogo con i giovani tra i 10 e i 16 anni. È una raccolta disparata di articoli e interventi, e ad avere la pazienza di leggerli tut-ti se ne esce con una impressione molto profonda di come sia e di come si pos-sa trattare una persona nella fascia d’età comprepos-sa tra la fine dell’infanzia e l’adolescenza vera e propria.
La grande psicoanalista infantile dice sostanzialmente quattro cose: vorreb-bero usare del denaro; vorrebvorreb-bero usare dell’amore e del corpo sessuato; vor-rebbero diventare grandi e dire addio all’infanzia senza esser divorati dalle paure, sia quelle di ieri che quelle di domani; vorrebbero che si sapesse stare loro vi-cini ma anche lontani.
E poi più volte ribadisce che l’inizio dell’adolescenza è un periodo delica-tissimo e decisivo come quello dei primi mesi dopo la nascita: il paragone ri-torna decine di volte, ogni volta declinato diversamente e ogni volta rafforzato.
La “muta” adolescenziale è muta davvero, dice: le/ i preadolescenti in seduta analitica per esempio parlano pochissimo, sebbene non se ne rendano conto e abbiano anzi l’impressione contraria. Bisogna sapere che sono come crisalidi:
se le apri forzando c’è dentro acqua, cioè nulla; se ci parli, se ascolti, se agisci
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nella relazione devi sapere usare un grande tatto perché all’apparenza non suc-cede niente ma in realtà intervieni in una fase della formazione molto delica-ta. E poi Dolto specifica sempre che in questo secondo venire al mondo servono altri adulti oltre alla famiglia, che se hai un una famiglia chiusa, con pochi scam-bi sociali, che ti impedisce incontri costruttivi con altri adulti, in questa fase tu rischi di marcire come un feto che non viene alla luce. È un linguaggio cru-do e immaginifico, che qui parafraso alla meglio, ma che è davvero molto uti-le per entrare in situazione e comprendere.
La metafora dell’inizio della pubertà come seconda nascita è antica. Ne scrive già Rousseau nell’Emile. E poi la riprendono in maniera attentissima la Montessori e la Dolto, per l’appunto. Le due scienziate concordano in più luoghi: come il neonato, la/il preadolescente è sensibilissimo e impressiona-bilissimo. Come il neonato, aggiungerei, è muta/o e ci vuole molta pazien-za, molta fiducia nel tempo e nella bontà di quello che si fa anche in assenza di risposte evidenti e immediate. Chiunque lo sa: è molto più facile e piace-vole stare (o fare cose) con un bambino di 8-9 anni o con un adolescente di 16-17 che con un/una mutante di 12-13. Sembrano non ascoltare (bene), non capire (bene), non parlare (bene) e invece tutto quello che “butti den-tro” in questo giro d’anni (come nel primo e secondo di vita) ti torna indie-tro potentemente.
Sono anche gli anni, del resto, in cui nascono le vocazioni, vengono alla luce le inclinazioni. Si sceglie davvero e di nuovo qualcosa per sé. Quindi la media, o secondaria di primo grado, sarebbe effettivamente la scuola dell’orien-tamento, non era sbagliata l’idea di un grado d’istruzione apposito per lasciar affiorare, in condizioni paritarie ed eccellenti, il carattere e l’inclinazione di cia-scuno. Ma ovviamente è ridicolo pensare di consentire questa emergenza va-lutando i risultati dell’apprendimento per ogni materia, peraltro insegnata assurdamente come ancora si fa cioè sui libri e seduti nell’aula per ore, mentre il corpo e l’intelligenza scalpitano. Questa è l’età in cui si scopre la differenza e si diviene differenti e sarebbe totalmente incongruente aspettarsi, una volta ottenuta una preparazione di base leggere-scrivere-far conto, che tutte/i si rie-sca ugualmente in tutte le discipline. Solo da una lunga osservazione globale nell’approccio a un sistema integrato di approfondimenti culturali si potreb-be contribuire a una funzione di orientamento. Ma su questo e sulla forma at-tuale della scuola media ritorniamo.
Non sorprende che sia la Montessori che la Dolto derivino dai loro assun-ti la proposta utopica di una scuola per la preadolescenza totalmente impara-gonabile a quella esistente. Se è l’età in cui si può trovare la propria forma e il Strumenti
proprio campo di espressione (forma ed espressione pubbliche, civili, adulte), non può che avvenire in un ambiente in cui si facciano esperienze complesse e protette di socialità e mondanità, sufficientemente lontano dalla famiglia che ci ha de-formato e dalla quale tocca emanciparsi sotto la guida delicatissi-ma di altre/i adulti. Le scuole campagna o le scuole residenza sono i modelli che hanno in mente le grandi pedagogiste, luoghi di ricche esperienze di au-togestione e autogoverno e di alte rielaborazioni culturali che rispettino sem-pre le inclinazioni personali e l’educazione civile.
Se si guarda al discorso psicoanalitico e psicologico contemporanei si tro-vano gli stessi temi di cui sopra. La preadolescenza è la fase in cui la differen-ziazione sessuale (lo sviluppo puberale per intenderci) riattiva i conflitti infantili:
dopo la fase di latenza dell’infanzia riemergono i contenuti psichici irrisolti ed è, secondo la letteratura più recente, proprio la fase di ricapitolazione quella in cui è possibile per l’ultima volta “fare davvero una bella riparazione”. Mai più infatti l’individuo vivrà una fase di riorganizzazione così generale, mai più sa-rà così disponibile ad ascoltare e farsi aiutare e mai più sasa-rà possibile sostene-re una fase di ristrutturazione identitaria così forte. Specularmente accade che traumi o choc (come divorzi o violenze ma io penso anche alle umiliazioni, al-le bocciature, ai commenti) in questa epoca siano più dannosi.
Comunque non è solo nel campo affettivo e psicologico che si trovano simili indicazioni. Dal punto di vista cognitivo è fin dagli studi degli anni cinquanta di Piaget che l’avvento della pubertà è identificato con quello del pensiero cosiddetto ipotetico deduttivo. Finita l’infanzia la ragazzina/il ra-gazzino inizierebbe a manipolare le idee e le ipotesi astratte sul funzionamen-to del mondo e dell’umanità; ragiona in maniera differente dal bambino, più astratta e complessa, immaginando altre possibilità presenti e future su di sé e sugli altri. Cambiano interessi e facoltà intellettuali, progressivamen-te e in progressivamen-tempi unici per ciascuno. È detto sinprogressivamen-teticamenprogressivamen-te ma è pressappoco così, e le neuroscienze confermano questo genere di rilievi in maniera sem-pre più sem-precisa.
Di nuovo chi ci sta lo sa: paiono distratte, paiono irrequieti e incontinen-ti o superficiali, sono gli anni della “esplosione spazio-motoria” in cui il biso-gno di andare, muoversi, vedere, usare il corpo in mutamento ostacolano la concentrazione. In realtà da ogni parola che sentono derivano idee molto com-plicate sullo stato delle cose: ciò che in assoluto gli preme è quello su cui per la prima volta mettono gli occhi e a cui vogliono lentamente ma precisamen-te essere condotti, finché potranno non solo pensarci ma anche toccare: il ses-so, il denaro, il potere, la città.
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Ciò che serve nella scuola media è dunque un’elaborazione culturale e politica dell’esperienza durante la fase decisiva dell’apprendistato sociale. Ci vorrebbero tutte e tre le cose: l’esperienza; la mediazione di questa in termi-ni culturali; la presa di parola e di responsabilità nel gruppo autogestito e isti-tuzionale.
In termini realistici accade questo: nei paesi nord europei si prende atto del fatto che il ragazzino/la ragazzina non sono più bambine ma che non sono an-cora adulti e che hanno diritto alla loro fase di moratoria e quindi non vi è frat-tura tra la primaria e la secondaria. Fino a 13-14 anni è un ciclo unico.
Nei paesi diciamo di area tedesca, come Germania Austria Belgio, dove c’è un’altra visione del rapporto stato-cittadino, si esclude che tocchi alla scuola, bensì al governo di tutti gli aspetti della vita associata, farsi carico di tempera-re le diffetempera-renze sociali e si opera una selezione orientativa alla fine delle elemen-tari, a 10-11 anni. Come è ovvio le carriere formative rispecchiano quasi sempre le provenienze socio-culturali, ma solo recentemente questo inizia a essere per-cepito come un problema.
Nei paesi dell’Europa del sud, tipo Italia Francia Spagna, una tradizione diversa dei concetti di persona e di cultura ha fatto sì che si pensasse a un or-dine d’istruzione separato e unitario, come la nostra la scuola media unica ap-punto. Una scuola dell’orientamento, una scuola della cittadinanza e una scuola che permettesse a tutti di avere accesso a una formazione culturale secondaria, qualunque fosse poi il destino sociale scelto.
In Italia concretamente abbiamo oggi una scuola dove le docenti più an-ziane e meno preparate insegnano materie e discipline ripartite assurdamente in orari e curricoli, in modo esclusivamente libresco, con effetti frustranti e im-miserenti su tutti e in particolare come è ovvio su chi ha meno chance socio-culturali. Sono cose stranote ma sono anche così gravi oramai, è tale lo spreco e il danno che subisce chi si affaccia per la prima volta sulla realtà politica e so-ciale dove vivrà, che l’argomento è messo in agenda anche a livello politico istituzionale.
Intanto è difficile non farsi prendere dal furore utopico, l’unica reazione veramente sensata.
I kinderzentren montessoriani, scuole fattoria dove ci si gestisce l’orga-nizzazione domestica, materiale ed economica mentre si studia dal vero e in comunità, per adesso non sono a portata di mano se non nella ricerca prezio-sa e difficile di piccoli gruppi. Nella scuola media di città vanno ogni giorno persone in carne e ossa e qualcosa bisogna pure ingegnarsi a fare, sapendo anche che per le/i giovanette/i nelle città di oggi, così povere di spazi e atti-Strumenti
vità loro dedicate, la scuola è anche un’opportunità di incontro sociale uni-ca. A meno che anche questo aspetto non sia deformato e reso non godibile da un corpo docente particolarmente gretto, ignorante, razzista quale si può ad esempio incontrare facilmente in certe scuole delle periferie urbane meri-dionali come ha spiegato benissimo sulle pagine di questa rivista Giuseppe Montesano (Tra peluche e cinismo, “Gli asini”, n. 11, agosto/settembre 2012).
Al proposito sarebbe davvero opportuno che le vagonate di finanziamenti disposte dall’ultimo sottosegretario Rossi Doria per la dispersione scolastica al sud siano monitorate nel loro impiego in maniera assai differente da come è avvenuto in precedenza, dato che in quelle mani finiranno e se sulla carta risulteranno spese bene in realtà nulla giungerà a coloro ai quali erano desti-nati, già sempre ultimi.
Un’altra battaglia fondamentale, da condurre sia dentro che fuori la scuo-la media, riguarda l’escuo-laborazione culturale cioè in soldoni il curriculum, i con-tenuti culturali e la maniera per elaborarli in gruppo. A coloro che per la prima volta si avvicinano con capacità, strumenti e domande nuove al sapere viene ammannita una roba miserrima. Prendete in mano i libri di testo di se-conda media, i manuali di storia o di grammatica o di scienze e verificatene il linguaggio, la qualità scientifica, sintattica, iconografica: se non è bassa, è di certo inadeguata ai destinatari. In piena crisi della cultura alfabetica e demo-cratica non viene investita un’oncia di creatività per l’accesso costruttivo alle conoscenze. Tutto è immobile e distante dall’esigenza di crescita, comprensio-ne, partecipazione culturale e scientifica. Bisogna mettere in campo uno sfor-zo culturale elevato per narrare e apprendere in maniera interdisciplinare e laboratoriale, utilizzando ogni risorsa artistica e multimediale.
Queste cose la migliore ricerca le afferma da anni, eppure sono anche an-ni che sappiamo quanto le tecan-niche della pedagogia attiva debbano essere rivi-ste, in particolare per la fascia d’età che ci interessa e dall’avvento delle tecnologie della comunicazione e informazione. Mancano i materiali e le tecniche di ge-stione delle attività di studio antiautoritarie nelle classi delle istituzioni. C’è da faticare molto, da farlo in rete, da farlo forse in maniera semiclandestina e di certo autorganizzata, fregandosene dei concorsi e dell’Invalsi e persino inven-tandosi mecenati, autofinanziamenti o altro pur di proporre alternative radi-cali ed efficienti.
Intanto mentre stiamo nella scuola ripetiamoci quello che abbiamo sem-pre detto: non smettere di chiamare gli artisti, gli intellettuali e i lavoratori che conosci perché vengano a raccontare esperienza e a fare cose assieme. Non smet-tere di studiare le leggi per riuscire a portarli fuori il più possibile. Hanno
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sogno di vedere la città, le fabbriche, le sedi del governo, fai più gite possibili.
Studia e studia quello che ti piace e porta loro quello che studi. Studia soprat-tutto ogni maniera per fare lavoro cooperativo, Freinet va digitalizzato, non il giornale con i caratteri mobili ma il giornalino con computer e le foto e la pit-tura digitale e la crossmedialità, tutte le pedagogie, attiva e istituzionale (Fer-nand Oury sempre e ancora) sono vere e vive ma ci vuole uno sforzo di immaginazione e di cooperazione nuovo da parte nostra. Mettiti in rete con chi in altre scuole della città pensa in sintonia, facciamo le corrispondenze in-terclasse, diamoci appuntamento a una mostra. Una rete di precari/e e fissi/e di varie materie che progettino moduli trasversali assieme. Trovare un/a diri-gente illuminata e cercare di creare un gruppo di colleghe affine in quella scuola, sperimentando un coinvolgimento positivo delle famiglie.
Ricordarsi infine sempre che questa è l’età in cui nasce la sensibilità alle dif-ferenze, in primo luogo a quella sessuale che di tutte è figura e chiave. Fare sport, giocare anche se si sentono grandi, andare a camminare e sudare sono cose importantissime. Smontare gli stereotipi, essere non conformi, anche a scuola presentarsi come adulti non conformi vale educativamente più di mol-te parole. Fargli produrre armol-tefatti in continuazione e vedere un sacco di buon cinema. La parola sì ma anche tutto il resto.